Home Da ascoltare “Rock, pop, jazz… e non solo” Sara Marini Torrendeadomo (Ritorno a...

“Rock, pop, jazz… e non solo” Sara Marini Torrendeadomo (Ritorno a casa)

Sara Marini
Torrendeadomo (Ritorno a casa)
(RadiciMusic Records)

 Davvero bello e approfondito, il percorso figlio della sfida di Sara Marini di realizzare musica popolare originale: tramite un viaggio verso le radici (di qui il titolo dell’opera) che per l’artista si collocano a metà strada fra Sardegna e Umbria, fra l’ancestralità di un territorio circondato dal mare e uno circondato dai monti, e con un linguaggio che alterna -senza perdere mai efficacia né tantomeno sentimento- sardo, italiano ed eugubino, il dialetto di Gubbio.

Grafica Divina


Sara Marini è un’interprete ed autrice che oltre a studi “normali” di canto ha a lungo approfondito la lezione delle tradizioni; prima studiando con la grande Giovanna Marini poi lavorando con artisti del calibro di Elena Ledda, Nando Citarella, Simonetta Soro; e si era già fatta notare per dischi di bel livello con testi d’oggi su musiche umbre tradizionali, come per la sua partecipazione intelligente a progetti tipo “Yayla” (canzoni sul tema delle migrazioni), “Djelem do mar” (lavoro etnopopolare sul Mediterraneo), “Alma Negra” (percorso centrato sulla tradizione sudamericana).


In “Torrendeadomo”, vero e proprio viaggio (sfaccettatissimo) in bilico tra passato e presente, nonché modulato tra filastrocche, ninne nanne, amore e preghiera, denunce e leggende, la Marini s’è affiancata a Paolo Ceccarelli alle chitarre, Goffredo degli Esposti ai fiati (antichi e moderni), Francesco Savoretti alle percussioni mediterranee e Monica Neri all’organetto; soprattutto ha avuto l’umiltà e l’intelligenza di lavorare alla creazione d’un repertorio insieme nuovissimo e radicato nella storia chiedendo collaborazioni anche a Claudia Fofi, Lorenzo Cannelli, Fabia Salvucci, Davide Ambrogio, Valentina Paiella, Franz Piombino, Nicolina Marini, Giorgia Gaggiotti.


Il risultato di questo lungo, complesso, temerario e composito lavoro è un susseguirsi d’intrecci strumentali speziatissimi, non di rado magici, fra suoni del passato e un’energia vitale prorompente; è un alternarsi di mille colori e sfumature cadenzato da andamenti ritmici altrettanto variegati, e spesso pure non scontati; è infine un cantare l’oggi coniugando a esso i modi -interpretativi, timbrici, strutturali, spesso altamente poetici- della storia. Tanto che è difficile, nel viaggio che la bella e intensa voce di Sara Marini guida ad ascoltare, segnalare un meglio. Forse sta in “Bellezza perfetta”, canto d’amore e di senso di altissimi struggimento e profondità, che sa essere incisivo pur dietro castelli d’arcaiche metafore; o forse sta nel gustoso patchwork di passato popolare, composto da pagine diverse, proposto in “Trucci trucci – Badarelle” aprendo qua e là nella tradizione squarci di moderna essenzialità autorale.


Ma si potrebbero pure citare il belcanto popolare e poetico, che mescola corpo e melodia, di “E me ne voglio andare”, il salmodiare in cui sfocia la delicatezza melanconica di “Pitzinna Deo”, o ancora la solare, ben scritta, fascinosa “Solo ‘nna vita”: canto per una femminilità vera, libera, rispettata, per la consapevolezza della donna di ieri, di oggi, di sempre. Perché certo è forte anche il portato dell’attualità, nell’azzeccato e coraggioso lavoro di Sara Marini: che esplode nel brano testé citato, è dietro le metafore e la poesia di tanti altri, ed è palesemente affermato in “Terra rossa”, denuncia di radici fraintese come gabbie e perciò portatrici d’emarginazione o razzismo: un brano che parte in modo intensamente saltellante, s’apre a suppliche drammaturgicamente coinvolgenti, si chiude in modo al tempo stesso incalzante sul fronte del canto di denuncia e soffocante per i rischi che la denuncia stessa mette in primo piano.


Ma “Torrendeadomo” mette in fila anche riferimenti all’Oltre, filastrocche a più livelli di significato, mediterraneità anche sensuale e grintosa (“Bentu lentu”), lievi ninne nanne, persino uno strumentale suggestivo dal sapore antico (“Già gioca”), sino ad una finale preghiera di pathos misurato ma profondo. Il tutto con grande cesello e qualità strumentale per una sfida vinta a più livelli, certo: soprattutto nella misura in cui Sara Marini dimostra la potenzialità ancora immensa della canzone popolare, la sua perenne attualità, la sua sempiterna adesione ai centri dell’animo umano, tramite il suo ardito e intelligente aver osato declinarla compositivamente, liricamente, vocalmente tenendo ferma la tradizione, sì, ma pensandola sempre come da scrivere ancor oggi, da cantare anche adesso, alfine da regalare in modo pieno e consapevole anche alla coscienza dell’uomo del 2020.

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Articolo precedenteRestiamo a casa live – Aspettando Arte per la libertà
Articolo successivoDa leggere: Bye Bye plastica
Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.