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Lucrezia Borgia e l’infanzia negata

Debutta in Italia al Teatro Comunale di Bologna il nuovo allestimento di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti con la regia di Silvia Paoli, co-prodotto dalla fondazione lirico-sinfonica felsinea con l’Auditorio de Tenerife e l’Ópera de Oviedo – dove è già andato in scena – e il Teatro de la Maestranza di Siviglia. Sospeso nel 2020 a causa dell’emergenza sanitaria, lo spettacolo arriva finalmente in Sala Bibiena per la Stagione lirica sabato 7 maggio alle 20.00, con repliche fino al 13 maggio. Sul podio Yves Abel, Direttore Principale dell’Opera di San Diego.

Lucrezia Borgia e l’infanzia negata


Quando la regista Silvia Paoli mette mani e testa, su un progetto teatrale è impossibile rimanerne indifferenti. Paoli sa bene come usare il mezzo teatrale e la scena per tramettere un messaggio potente, spesso disturbante, dove la figura femminile, in questo caso la protagonista, Lucrezia Borgia, viene ripulita da tutte le connotazioni romantiche e riportata a una dimensione per nulla mitologica, dove il pubblico contemporaneo si può ritrovare o comunque leggere la condizione femminile  da un altro punto di vista.

Grafica Divina

Nessuna corte cinquecentesca, Ferrara e Venezia sono solo nominate. La scena è asettica ma piena di crudele realtà: un’enorme mattatoio dove convivono bestie umane che si massacrano fra di loro. Più che la morte è la violenza a essere il tema dominante, sempre crescente, di atto in atto, dove non c’è possibilità di via di fuga per nessuno, ne di redenzione. La morte risulta così essere l’unica speranza di salvezza all’impossibilità di vivere una violenza perpetrata quotidianamente. 


Paoli ambienta lo svolgersi dell’azione nel periodo fascista, dove la società è esclusivamente fallocentrica e la donna è figurino di contorno e animale da soma. E’ da qui che parte tutta l’idea di Paoli, mettendo sotto una nuova luce, non priva di documentazioni storiche concrete, la condizione della Borgia che più che assetata di sangue, risulta essere una donna schiava del potere patriarcale. Una donna privata dell’innocenza che ha dovuto giocare fin da bambina, alle regole perverse di un padre rappresentato dalla figura del lupo cattivo, che per tutta la durata dell’opera, ricorda a Lucrezia quello che è stato e che è: un giocattolo.


Olga Peretyakto, molto attesa e amata a Bologna, non delude le aspettative e propone una donna bambina in grado di ripagare con la stessa moneta, le attenzioni maschili senza rinunciare a una ben nascosta, umanità. E’ protagonista assoluta della scena, incantando il pubblico senza mai deluderlo. Voce piena ed elegante, che perfettamente coincide alla sua stupenda presenza scenica, costantemente in bilico tra la voglia di vendetta e il desiderio di amore materno che solo alla fine potrà esaudire. Ottima l’idea nel far sembrare più’ che la madre di Gennaro, interpretato da un annunciato come indisposto Stefan Pop, rivelatosi invece perfetto nell’interpretazione, una sorella maggiore iper protettiva nei confronti dell’ignaro figlio.


Ottime le prove degli altri interpreti: il basso Mirco Palazzi nei panni di Alfonso I D’Este e il mezzosoprano Lamia Beuque in quelli di Maffio Orsini, che si alternano con Marta Torbidoni, Francesco Castoro, Davide Giangregorio e Nicole Brandolino (8, 11 e 13 maggio). 

 Completano il cast Cristiano Olivieri (Jeppo Liverotto), Tommaso Caramia (Don Apostolo Gazella), Tong Liu (Ascanio Petrucci), Stefano Consolini (Oloferno Vitellozzo), Nicolò Donini (Gubetta), Pietro Picone (Rustighello) e Luca Gallo (Astolfo). L’Orchestra e il Coro, preparato da Gea Garatti Ansini, sono quelli del Teatro Comunale di Bologna.

La direzione di Yves Abel è attenta ma manca di momenti drammatici stemperati da scelte musicali più affini all’operetta che alleggeriscono l’atmosfera di morte e l’odore di sangue che la scena costantemente ricorda.

Le scene dello spettacolo, bellissime, sono firmate da Andrea Belli, i costumi da Valeria Donata Betella, le luci da Alessandro Carletti (che non sbaglia mai un colpo) e la coreografia (qualche volta più che straniante rischia di scadere nel grottesco) è di Sandhya Nagaraja.

Crediti Andrea Ranzi

Articolo di: Susanna Alberghini

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