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“Quella vecchia storia” di… Leonardo Gori

In libreria per Tea un nuovo libro di Leonardo Gori.
Torna il colonnello Bruno Arcieri con una nuova appassionante avventura, “Quella vecchia storia”, e lo fa con un romanzo ambientato nella Firenze degli anni ’70.
Leonardo Gori ancora una volta conferma il suo straordinario talento di narratore ed è proprio con lui che approfondiamo qualche aspetto del suo nuovo libro.

L’intervista

Arcieri e Firenze è una lunga storia d’amore… che in questo libro si concretizza in un luogo di accoglienza…

Grafica Divina

In realtà Arcieri è tornato a Firenze già nel 1968, due anni prima degli eventi raccontati in questo romanzo. Appena è uscito dalla clandestinità, recuperando la casa, la normalità, la quotidianità rassicurante, ha deciso di mettere su la trattoria. L’incontro con i ragazzi della proto-Comune fiorentina è stato infatti un cambiamento fondamentale: il vecchio colonnello tutto d’un pezzo, rigoroso se non rigido, ha scoperto un mondo apparentemente opposto al suo. Ma invece di rifiutarlo, come sarebbe stato legittimo aspettarsi, ha provato a comprenderlo, senza giudicare. Per una specie di miracolo, o forse perché questa sua qualità c’era sempre stata, ed è riemersa come un fiume carsico, ha acquistato – conquistato – una vita nuova. Accogliere i ragazzi, gli “spostati” che la Società bigotta respinge, è dunque una naturale conseguenza di quelle premesse.

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Leonardo Gori foto di Cristina Andolcetti
Leonardo Gori foto di Cristina Andolcetti

Quella vecchia storia

La storia d’amore con Firenze è tale perché somiglia davvero a quella fra due essere umani che si trovano, si lasciano, si riprendono… Fino a una conclusione che può essere felice oppure no, ma sempre un arricchimento. Arcieri è innamorato di Firenze ma anche di Milano, di Parigi, perfino un po’ di Roma. Questo romanzo si svolge infatti anche per una buona parte nel capoluogo lombardo, dove ha vissuto negli anni della gioventù e della sua prima maturità.

Libri-cucina-accoglienza-pretesto per stare insieme. Quanto la convivialità appartiene a te e ai tuoi personaggi?

La convivialità è il massimo momento di condivisione, è un’occasione per lo scambio di punti di vista, a volte anche per lo scontro, che però è stemperato, controllato, incanalato dal rito della tavola… Nel piccolo mondo di Arcieri e dei suoi, è addirittura qualcosa di più: è una narrazione essa stessa, vedi le surreali ricette del cuoco Max, che fanno da cornice ai rari momenti in cui Arcieri, Guerra, Nanette, Daniele e gli altri si trovano tutti insieme.

Per me personalmente, faccio mia una frase che mi disse Francesco Guccini: “più dei concerti, mi mancano le cene dopo lo spettacolo”. Nessuno ha detto una tale verità in modo migliore. Non a caso la convivialità è il tipo di aggregazione preferito dai solitari, coloro che scelgono di vivere la maggior parte del loro tempo in colloquio con loro stessi. Il ritrovarsi intorno alla tavola è un passaggio obbligato, una riemersione e una conferma.

In questo libro ambientato nel 1970 l’attenzione alla marginalità quanto racconta del tempo che stiamo vivendo?

È chiaro che i “miei” ragazzi della Comune fiorentina non sono quelli che potevano essere realmente nel 1968; e d’altronde erano ben pochi i sessantenni di allora, se mai c’erano, in grado di entrare in sintonia con loro. Arcieri vive nel 1970 ma non è e non può essere, realmente e pienamente, un uomo di quel decennio. Come del resto, il suo alter ego “giovane” non appartiene davvero in toto agli anni Trenta e Quaranta. Ogni romanzo, anche ambientato mille anni fa, anche controvoglia al suo autore, racconta l’attualità. Tutti noi abbiamo delle antenne, più o meno potenti, che captano alcune delle vibrazioni che ci circondano, anche se non ci sembra di vedere o di intuire il quadro di insieme. Così l’attenzione di Arcieri alla marginalità, alla diversità, al disagio sociale è molto personale e particolare, fortemente empatica, e in un certo senso moderna. Meno caritatevole in senso tradizionale, come poteva essere nel 1970, e più partecipe.

Come entra Marie nella vita di Arcieri e cosa lascia in lui?

Marie rappresenta per Arcieri un approdo tranquillo, la pienezza di un amore maturo. Non è più il simbolo di qualcosa d’altro, la proiezione di sé, un ideale. È una donna “vera”, almeno quanto può esserlo una creazione letteraria. In realtà, forse, più che essere diversissima da Elena Contini o da Nanette, Marie è la loro sintesi e la loro naturale evoluzione, la perdita dell’infingimento, e lascia in lui la consapevolezza serena del tempo che passa e del significato più profondo della vita.

Quanto Arcieri cambia nei tuoi libri?

Credo di avere già risposto: Arcieri cambia soprattutto quando un evento esterno, imprevedibile, lo mette di fronte alla realtà, strappandolo da un mondo di specchi, di finzioni, com’era quello di un alto funzionario dei Servizi Segreti. Mentre si nasconde a Parigi, facendo il sottocuoco in un bistrot, sotto falso nome, a sessantasei anni suonati, forse per la prima volta nella sua vita capisce cos’è importante, cos’è vero e cos’è giusto.

Come sai, io racconto due vite parallele di Arcieri: quella di lui “giovane”, fra il 1938 e il 1945, e quella del colonnello in pensione, dal 1966 in poi. La sfida, ora che cerco di colmare i “buchi” cronologici lasciati aperti in precedenza, è ricostruire il percorso di questo straordinario cambiamento, rintracciandone i segnali anche nella sua vita precedente. È affascinante per me e spero divertente per i lettori.

Intervista di Elena Torre

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