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Annarita Briganti ci dice qualcosa su Quello che non sappiamo

Ospite del nostro spazio interviste la giornalista e scrittrice Annarita Briganti da poco in libreria con il suo nuovo romanzo Quello che non Sappiamo  edito da Cairo Editore.

Questo libro è scritto come se fosse una chat, una sorta di romanzo epistolare adatto ai nostri tempi. Che lavoro hai fatto sulla scrittura?

Grafica Divina

Ti ringrazio di questa domanda perché è cruciale. Ci ho messo più di due anni a limare le varie stesure. Sapevo fin dall’inizio cosa sarebbe successo a entrambi i personaggi – Ginger e Paulo –, anche se ho cambiato la città dove finisce il libro alla fine. Era importante dosare bene la trama visto che la scopriamo dal loro dialogo attraverso le email, che sono le lettere dei giorni nostri. Quindi sì, è un romanzo epistolare del presente e del futuro ed è stata una bellissima sfida scriverlo, la realizzazione di un sogno. Ho sempre desiderato scrivere un romanzo epistolare e, come mi ha fatto notare una blogger, sono la prima tra gli scrittori italiani contemporanei a riscoprire questo genere che fa già parte della tradizione letteraria.
I lettori più attenti ci troveranno dentro un grande lavoro sullo stile, cambi di punti di vista, due voci autentiche e tantissimi colpi di scena. La scrittura è anche forma. Lo stile è importante.

Chi sono veramente Ginger e Paulo?

Il romanzo è un inno alla forza delle parole, tra relazioni virtuali e reali. Non potrei mai innamorarmi di qualcuno che non sapesse usare le parole. Parlare è come fare l’amore. Ginger e Paulo iniziano, in questo senso, a fare l’amore dalla prima mail che si scambiano.
Paulo cerca Ginger per email per errore – ma sarà veramente così? – e lei, reduce da traumi che svelo nel libro, gli dà corda. A chi non è successo in un momento di solitudine di confidarsi con un estraneo? È molto più facile raccontare i nostri segreti più intimi a un estraneo, magari protetti da uno schermo, sapendo che potremmo interrompere la chat e rinchiuderci di nuovo in noi stessi.
Come in tutti i miei romanzi i protagonisti sono le porte per mondi. Ginger fa un mestiere legato alla scrittura – non posso svelare di più – e cerca di realizzare i suoi sogni nell’Italia caotica e poco meritocratica che conosciamo. Il romanzo è ricco di citazioni letterarie e poetiche e di consigli di lettura. Paulo, anche lui con una storia romanzesca alle spalle, le dice di fare il ristoratore a Berlino. Berlino simbolo di tutto quello che in Germania funziona e da noi no. Una città che amo. Indizio: Paulo sarà veramente un ristoratore?
Per scoprire chi sono veramente loro due e cosa accadrà a entrambi bisogna arrivare fino all’ultima pagina. Dicevamo dei colpi di scena, no?

Quanto la virtualità nei rapporti è limite e quanto possibilità?

Reale e virtuale per me non fanno più differenza. Un po’ come il dibattito ormai superato tra carta e digitale. A volte rileggo i tweet perché ho paura di avere twittato per sbaglio un WhatsApp, ma passiamo la giornata così. Più altrove che qui e non sono tra quelli che lo considera un male. Pensiamo a quante persone riusciamo a non perdere di vista grazie al virtuale, pensiamo alle notti in cui ci sentiamo soli, pensiamo al messaggio inatteso che arriva a illuminare la nostra giornata, pensiamo alle belle conversazioni che si possono fare anche scrivendosi. Il momento più bello della giornata è quando scrivo a qualcuno che desidero e lui mi risponde.
Il romanzo parla del modo in cui interagiamo con gli altri e del modo in cui ci raccontiamo agli altri e a noi stessi, attraverso il virtuale, ma poi i protagonisti faranno i conti anche con il reale e lì si apriranno ulteriori fronti della narrazione. In entrambi i casi, reale e virtuale, è una storia che parla di tutti e tutti avranno qualcosa da dire sul tema. Mi piace molto interagire con chi legge i miei libri che siano colleghi o lettori.

Ma in tutta questa virtualità un ruolo importante però ce l’hanno anche i libri…

Nel capitolo che è già quello più fotografato dai lettori, pubblicato sui social, richiesto alle presentazioni faccio dire a Ginger, tra l’altro, che “Scrivere è camminare nudi per strada. La scrittura è il mio tiranno ma anche il mio amante migliore. Si scrive per scappare dall’inferno”.
Si scrive e si legge per scappare dall’inferno. Devo la mia vita ai libri. I libri sono fondamentali per capire il mondo, per capire quello che ci succede, per innamorarsi. Mi innamoro sempre attraverso i libri. Se con un uomo ho una conversazione decente sui libri poi sono cotta.
Quindi sì, i libri sempre sempre sempre. Lo consiglio a tutti.

Come hai scelto le tre citazioni all’inizio del libro?

Paulo a un certo punto dice a Ginger, per prenderla in giro affettuosamente, che lei legge troppi poeti. “Basta con questi poeti”, le dice. “Hai rotto con questa tristezza”. Lo fa per tirarla su. Lui, che pure fa ottime letture, le regalerà quella leggerezza calviniana di cui tutti abbiamo bisogno per vivere, che anche io amo molto.
Le epigrafi del mio nuovo romanzo sono tutti poeti più uno scrittore. C’è un poeta danese, che ha un ruolo anche nella trama. C’è la poetessa Premio Nobel che ricorre in tutti i miei scritti, che mi fa compagnia nelle notti insonni, che so a memoria, che ho cercato di leggere anche in polacco. C’è un romanzo poetico che ho riletto durante le prime stesure di Quello che non sappiamo. Ricordiamoci che anche noi, Cenerentole e Cenerentoli di tutto il mondo, possiamo concederci di amare solo chi ci ama. Ricordiamoci che degli altri non sappiamo niente, ma qualche incontro andrà bene anche a noi, non solo a Cenerentola, e comunque possiamo sempre rifugiarci in un poeta danese.

 

Intervista di: Elena Torre

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