Gerardo
Balestrieri
Canzoni del mare salato
(Autoprodotto / Distribuzione Egea Music)
Ci sono Paolo Conte, Vinicio Capossela, Fabrizio De André e anche Angelo Branduardi, nell’immaginario musical-poetico del bravo Gerardo Balestrieri. Il quale in questo concept-album di viaggio nelle avventure di Corto Maltese dalla Melanesia al Sudamerica, dall’Africa alla Siberia, da Venezia all’Oriente, realizza comunque un affresco discretamente originale, e spesso molto riuscito, tra la fantasia colta anche nelle sue venature più crude e la realtà concreta d’un avventuriero d’inizio Novecento dipinta anche nei suoi momenti più stravaganti, esotici, onirici.
Il limite di “Canzoni del mare salato” è però quando si sentono troppo, le succitate influenze dell’immaginario; come capita peraltro spesso, ad artisti così sinceramente legati a dati mondi espressivi tanto ben riconoscibili nonché ormai patrimonio collettivo. Solo che qui l’album mostra un po’ la corda sul finale, quando forse s’era già detto tutto e si è voluto procedere, finendo così con lo slabbrare le intuizioni e far sovrapporre in chi ascolta le eco d’un già sentito alle intuizioni dell’artista. Dunque convincono proprio poco “La casa dorata di Samarcanda” e “Tango di Fosforito”, soprattutto, perché invece i rimandi soprattutto a Faber della pacata “La finestra d’Oriente” sono riscattati da bei cambi di ritmo, e quelli della sospesa “Corte Sconta detta Arcana” passano in secondo piano grazie a squarci d’originalità d’autore molto convincenti.
Che poi Balestrieri una sua cifra appunto ce l’ha, immaginifica e ironica, teatrale e sferzante, visionaria e coltissima: e nel resto del disco, delizioso, detta cifra emerge appieno. Supportata dal groove elettrico e dagli svisi jazzati de “Il mondo di Mu” oppure accarezzata fra Brasile e Cool Jazz in “Samba con Tiro Fisso”; o ancora, valorizzata da multicolori orientaleggianti e da un azzeccato cantato scarno in “Cush”, o fotografata dal testo intrigante e poetico di “Favola di Venezia”.
L’altra parentesi veneziana dell’opera, “La filastrocca delle isole e dei pesci”, è appunto una parentesi: il cui inserimento e la cui lunghezza certo contribuiscono, alla pesantezza che s’avverte alla fine del percorso, e che però è un gioiellino di calembour e riferimenti melodrammatici che meritava spazio; un brano gustosissimo che aggiunge tinte e sfumature all’affresco d’un autore comunque di buon livello.
Il top Balestrieri, in questo suo arcobaleno poetico-musicale d’avventure e fantasie, stramberie e suggestioni, lo tocca però crediamo in “Banshee” e in “Rasputin”. “Banshee” è vera e propria intensità d’autore, molto personale, sviluppata con classe compositiva quanto testuale; e “Rasputin”, di cui il riferimento principe pare Tom Waits e male non fa, è dark, teatrale, irriverente, con fascini ombrosi e begli svisi jazz.
Siamo di fronte dunque, con “Canzoni del mare salato”, al buon ritorno d’un cantautore di qualità, capace di poesia cinematografica e visioni forti, che dovrà forse solo in futuro essere più essenziale, come in altre opere precedenti gli era riuscito. Per non minare fra slabbramenti e involontarie citazioni gli sprazzi magnifici cui sa giungere, quando tiene dritta davanti a sé la barra della sua propria scrittura.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da
ascoltare/guardare, “Banshee”:
https://www.youtube.com/watch?v=Os3qL41a5V8