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Ospite del nostro format musicale Alfredo Marasti

Cantautore, regista, scrittore e insegnante, Marasti vince nel 2006, con La luna e il ladro, il Premio Fabrizio De André nella categoria Miglior Interprete.

Nel 2013 vince Musicultura XXIV Ed. nella sezione Miglior testo con Canzone per Mario, dedicata allo scomparso Mario Monicelli.

Grafica Divina

E’ uscito il 28 aprile 2020 per l’etichetta La Stanza Nascosta Records il suo nuovo progetto discografico, “Altri Tempi”.

In “Altri tempi”, dodici tracce attraversate dal tema del passato che ritorna, ora con dolcezza ora con inquietudine, Marasti, autentica anima da menestrello postmoderno, contamina la folk song con sonorità indie-pop a bassa fedeltà, fiammate elettroniche e tradizione cantautorale nostrana.

Come nasce la tua musica? Quali sono le tue fonti d’ispirazione?

Scrivo per sfogo, o traendo spunto dalla letteratura e dal cinema. Seguo soprattutto l’idea di rimettere al centro il testo; mi piace scrivere, scegliere le parole giuste e curare la metrica. È un’idea che si è un po’ persa dopo gli anni ’70; si sono diffusi luoghi comuni terribili, il ritornello che deve irrompere per forza, la canzone che non deve durare più di due o tre minuti, l’ossessione di dire qualcosa di assurdo o strampalato, pur di attirare l’attenzione. Mi hanno insegnato tantissimo  cantautori come Guccini o Vecchioni, che mettono sempre al centro il dubbio, lo spirito critico: mai certezze, mai forzature. Ma adoro anche Battiato, i C.S.I., i Beatles…

Quali sono i generi in cui spazi nella tua produzione?

Rifuggo un criterio fisso. Adoro i concept album, di conseguenza immagino ogni canzone come “parte del tutto”; da questo punto di vista mi sembra di rientrare nella categoria dei cantautori. D’altra parte a volte bisogna lasciare spazio all’atmofera, all’arrangiamento; in ALTRI TEMPI ogni canzone ha un colore diverso, le sonorità spaziano dal folk alla musica elettronica, ma ogni brano è legato all’altro da certe suggestioni di fondo, che creano una cornice comune. Ad esempio, in quasi tutte le canzoni compare la parola “tempo”.

Cosa hai deciso di raccontare con il tuo progetto?

Il messaggio di fondo di ALTRI TEMPI è che bisogna fare i conti col proprio passato per potersene liberare; è un’idea che abbiamo cercato di esprimere anche nell’immagine di copertina del disco. C’è una casa abbandonata – Villa Fettarappa, una dimora ottocentesca ormai in rovina situata sulle colline di Uzzano – invasa dai rovi e dai rampicanti, metafora di un vissuto affascinante ma pericoloso da riesplorare; un uomo, arrampicatosi sul tetto, la sovrasta, ormai libero dal peso dei ricordi.

Dicci dieci cose che ti piacciono e dieci che ti fanno arrabbiare.

Mi piacciono: le case abbandonate, i film di Bernardo Bertolucci, i maglioni comodi, il pensiero critico, la pizza,  il teatro, le discussioni accese, i romanzi lunghissimi, il primo Benigni, il suono del violino.

Mi fanno arrabbiare: le dirette social dei politici (tutti), il cavolfiore, la stupidità, lo sfoggio di cattiveria dei giudici dei talent (soprattutto quelli di cucina), l’ultimo Benigni, chi dice “poi ti devo parlare” e non dice di cosa, il politicamente corretto, chiunque parli di “pensiero unico”, la paura irrazionale del diverso, il senso di colpa.

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