Home Da ascoltare “Pop, rock, jazz… e non solo” Beige di Amalia Gré

“Pop, rock, jazz… e non solo” Beige di Amalia Gré


Amalia Gré

Beige
(Incipit Records / Egea)

    
Era sicuramente troppo raffinata per l’attuale stato del nostro mainstream, quell’Amalia Gré che s’era rivelata con smagliante esordio nel 2003 e quattro anni dopo aveva fatto ottima figura sulla ribalta sanremese; e però era decisamente un peccato se ne fossero perse le tracce discografiche da tempo, malgrado la certezza che l’artista stesse proseguendo il suo articolato percorso sia musicalmente, in lunghi tour nel mondo, sia confrontandosi con altre arti (è infatti pure pittrice, designer e creatrice d’abiti).

Comunque sia il ritorno sulle scene di Amalia Gré è smagliante quanto il suo esordio: grazie a questo album che già dal titolo, “Beige”, istiga a pensare a colori diversi dai soliti per il canto degli standard jazz, di cui la scaletta è ricolma. E l’ascolto conferma che sì, trattasi proprio di tinte e sfumature nuove; faccende che senza togliere nulla a quando tali classici vengono riletti in modo tradizionale ne spostano l’ascolto in dimensioni inedite, in cui il jazz viene più esplicitamente sotteso di blues, rimanda al funk, si fa contemporaneità sonora. Anche in un modo -ora suadente, ora tagliente- molto femminile, che è poi cifra rara nella musica di ogni tempo: purtroppo.

Grafica Divina

Amalia Gré però del resto viene dalla scuola della grandissima Betty Carter, solo una dei suoi mentori e insegnanti newyorchesi, e seguendone la lezione sino a omaggiarla gustosissimamente nell’ultima traccia del CD (“I Don’t Want To Set the World On Fire”, brano del ’38 cavallo di battaglia della Carter) realizza un piccolo-grande gioiello discografico: di raffinatissimo e modernissimo jazz per palati fini.

Gli ingredienti sono d’epoca, però, come detto; da “You Go To My Head” che cantava già Billie Holiday a quella “My Foolish Heart” che interpretarono via via Bing CrosbyAstrud Gilberto e finanche Bill Evans con Tony Bennett; e poi ancora una pagina in uso nei concerti di The Voice Sinatra (“S’posin’”), un Sacha Distel jazz-autorale “doc” del ’69 (“The Good Life”), il classico di Mingus “Goodbye Pork Pie Hat” col testo approntatogli addosso da Joni Mitchell.

Amalia parte proprio da quest’ultimo brano, che svela come suo incontro fatale col canto jazz, per il percorso; e in esso affronta i pezzi squadernandoli, con una voce splendida, ricca di opzioni e molto matura nell’interpretare, ben supportata da validi strumentisti che agiscono fra puntinismi melodici e tesi groove a tratti proprio soul o funk.

Ciò che ne esce è una sfilata di belle e soprattutto coraggiose quanto imprevedibili reinterpretazioni; nelle quali mai si avverte l’esigenza di fare paragoni con colossi tipo la Holiday o l’Ella Fitzgerald di quella “After You’ve Gone” che la Gré rende lievemente eppure intensamente jazz-reggae. E già “Goodbye Pork Pie Hat” diviene musica d’oggi, con ritmica pesante, elettronica, affascinanti riarmonizzazioni e virtuosismi vocali sempre entro i confini dell’essenziale, mai debordanti nell’eccesso.

“You Go To My Head”, più melodicamente incisiva del pezzo di Mingus, sfrutta poi paradossalmente proprio l’elemento melodico per rendersi più terrigna e meno eterea, ma sempre divenendo d’allure contemporaneo; e così via via accade con le altre pagine, perché Amalia ha la bravura di trovare ogni volta una strada differente per uscire dall’ovvio e dal già sentito. Che sia rarefacendo e graffiando di malinconia come in “Body and Soul” piuttosto che svaporando verso un’eleganza teatrale come accade per “The Good Life”. “S’posin’”, con la chitarra in primo piano, è chicca deliziosa che mostra vocalizzi stupefacenti senza esagerare, mentre “Autumn Leaves” la si riscopre nervosa, tutta ritmo, molto femminile e anch’essa molto teatrale: faccenda questa che pare altra cifra importante -e valida- della ritrovata Amalia Gré.

Detto del tiro a tratti persino più dance che funk di “My Foolish Heart”, con un cantato talmente moderno da adombrare sfumature hip-hop, o della languida e al contempo fisica versione della Gré di “Autumn In New York”, e senza dimenticare la finale sarabanda vocal-strumentale fra jazz, blues, Broadway, elettronica e quant’altro di “I Don’t Want…”, attenzione poi alla “parentesi” della scaletta. Perché tale “parentesi” segnala la forza del progetto: il coraggio d’osare con coscienza sempre strade alternative ben pensate, attente alla storia della musica, mai banali.

“I’ll Write a Song for You”, la “parentesi”, è infatti pezzo degli Earth Wind & Fire: e dunque suonerebbe da non “rivedere”, giacché più degli altri adatto al linguaggio sperimental-contemporaneo d’un jazz colorato di funk e danzante. Ebbene, Amalia Gré questo gioiello lo squaderna al contrario interpretandolo piano e voce, prima delicatissima poi intensissima, a confermare la cifra innovativa d’un album superbo come le qualità notevoli della sua voce: sia che lei la voglia carezzevole sia che voglia farla esplodere, il fatto è che sa usarla in mille modi e sempre bene.

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “My Foolish Heart”:
https://www.youtube.com/watch?v=66qlFZFoTMs

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Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

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