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La spia che ti amava ne parliamo con Marco Ongaro

In uscita con il suo album La spia che ti amava, abbiamo incontrato Marco Ongaro. Artista e cantautore raffinato, che ci ha raccontato tutte le molteplici sfaccettature di questo nuovo progetto musicale, dedicato all’amore.

– C’è una strana atmosfera in città. Al centro, un uomo dall’aspetto enigmatico si muove con cautela, le ombre giocano sul suo volto mentre scruta l’ambiente circostante. Gli occhi sono celati da occhiali da sole. Dietro una siepe, un altro individuo, osserva la scena e documenta ogni mossa con una macchina fotografica. È un’immagine che cattura il mistero, l’intrigo e il gioco di inganni tipico degli agenti segreti, suggerendo un’atmosfera densa di tensione e suspense. Partiamo da questo: dall’immagine di copertina de La spia che ti amava. Certamente emblematica dell’album.

Grafica Divina

Volendo rendere l’idea di un’ambientazione spionistica, l’elemento enigmatico è indispensabile al genere. È uno scatto che Stefania Tramarin ha preso sul set del video di lancio del disco, scelto e rielaborato da Tiziano Cristofoli per la copertina insieme a un’altra foto, usata all’interno del libretto e come effige del video di lancio, che vede il medesimo “agente segreto”, il sottoscritto, moltiplicato per sé stesso all’uscita di un locale oltre la cui vetrina un altro fotografo ne afferra l’immagine. La doppia scena di “qualcuno che fotografa qualcuno che fotografa qualcuno” che già è multiplo evoca la mise en abyme tanto cara ad André Gide, un gioco di specchi che sprofonda l’apparenza in una riproduzione all’infinito. Il mio nome in copertina è un’insegna alla sommità del complesso residenziale che fa da sfondo, un altro particolare del paesaggio calato nella luce da Miami Vice voluta dall’Art Director. La spia che ti amava, con la sua allusione a un classico di 007 variato unicamente nella particella pronominale, attraverso la distrazione del calembour intensifica ulteriormente le diramazioni del significato, coinvolgendo la seconda persona di chi legge nell’impersonalità tipica dell’espressione. Si aggiungessero lettere e numeri si avrebbe un vero e proprio rebus fotografico. Una buona copertina è un atto creativo che giunge a compimento di una creazione già avvenuta, la confezione che impacchetta il regalo aggiungendo il fiocco che ne annuncia il contenuto. Dovrebbe essere proporzionata. Ha la responsabilità della bella sensazione del pregustare. È una promessa che dovrebbe essere mantenuta. In un secondo momento diventa parte stessa del dono, oggetto di contemplazione una volta svelato il contenuto. Un grosso pacco per un piccolo regalo è inappropriato, a meno che dentro non ci sia ironicamente un piccolo gioiello di grande valore, il doppio effetto sorpresa. Ma un pacchetto irrisorio non esalta un bel regalo, viene presto messo da parte. La confezione è un’arte che presenta ma anche rispetta il significato di ciò che racchiude. Abbiamo puntato a un bilanciamento che creasse curiosità e tenesse poi fede alla promessa.


– Possiamo dire che “La spia che ti amava” è un viaggio attraverso le molteplici sfaccettature dell’amore, raccontate in undici brani che esplorano emozioni, situazioni e relazioni legate a questo tema universale?


Per questo album mi sono scoperto a dichiarare che tutte le canzoni sono canzoni d’amore, alcune più di altre. Ciò significa che la consapevolezza di aggirarmi tra le varie tematiche amorose era ben presente al momento della realizzazione, ancor più quando si è trattato di offrirne il risultato al pubblico. L’amore lo attraversa dalla prima all’ultima canzone come spesso è accaduto nei miei dischi precedenti. Il Fantasma baciatore e Canzoni per adulti, ma anche Archivio Postumia lo svisceravano e sminuzzavano, ne coglievano i lati perturbanti e quelli attraenti, ne esploravano impossibili soluzioni come fosse un problema, e spesso l’amore lo è: un affascinante problema che riempie la vita suggerendo ingannevoli vie d’uscita, proponendosi come LA VIA D’USCITA dalla difficoltà di vivere. Ma è la vita a essere la vera preoccupazione, il quesito cui rispondere, la situazione cui scampare verso una bellezza difficile da raggiungere. È un’incognita fatta di noia, indifferenza, dolcezza, malessere, violenza e blandizie, costrizione e sgomento, illusione e disillusione per sfuggire la quale ci s’impegna in mille attività tra cui la più appassionante è l’amore. Nella sua accezione di innamoramento, l’amore è il passatempo più formidabile che ci sia, così ricco di emozioni e colpi di scena, malinconie e improvvise felicità. In senso più lato, inteso come voler bene a persone e animali, al mondo, agli umani e alla sfera spirituale non solo aiuta a sconfiggere il tedio del tempo, ma è prezioso per riempirlo di senso e bellezza. Com’è possibile parlare d’altro?


– …E in tal senso possiamo considerare La spia che ti amava “un concept album”?

Un concept album spesso narra una storia o ne prende una come spunto. Burattino senza fili di Edoardo Bennato o Storia di un impiegato di Fabrizio De André, Automobili di Roberto Roversi e Lucio Dalla o Dust Bowl Ballads di Woody Guthrie sono chiaramente unificati da una storia o da un tema. Ma l’amore, come si diceva sopra, è il tema principale delle canzoni in genere e se lo si vede nelle sue varie declinazioni non ci sarebbe difficoltà a considerare concept tutta la storia della canzone mondiale, escludendo paradossalmente proprio quegli album dedicati a un argomento più specifico. Per quanto mi riguarda solo Anni ruggenti, che con il dixieland della Storyville Jazz Band raccontava gli anni del proibizionismo, è stato senz’altro un concept album, per tematica e uniformità musicale. Per il resto, perfino nel mio penultimo disco, Solitari, avevo creduto di rinvenire a posteriori un filo rosso che ne legasse le canzoni, ma questo si può fare per qualunque raccolta di un determinato periodo di qualsiasi autore. La sua poetica, circoscritta dal tempo che ne delimita il raggruppamento, fa di una silloge di canzoni, poesie o racconti qualcosa di organicamente connesso. Pure quando un componimento viene ripescato da periodi remoti e ficcato di forza in un insieme temporalmente demarcato, la scelta potrebbe mostrare risvolti intenzionalmente coerenti con i brani che già ne fanno parte. Quindi direi no, La spia che ti amava non è un concept album ma registra fedelmente la mia tendenza artistica degli ultimi due anni in una successione che alla fine pare davvero ragionata. Legato indissolubilmente al gruppo ristretto di musicisti raccolti all’uopo, rivela la sua coesione nella contemplazione empirica del fatto compiuto. In altre parole: il concept album sono io.

 

– …Quindi in ogni brano troviamo una diversa “declinazione” dell’amore?! Una diversa visione?

Differenti aspetti che ne toccano la varietà. Come varie sono le persone che negli anni hanno suscitato sentimenti inerenti alla sfera amorosa, in successione e talvolta simultaneamente, varie le manifestazioni, le reazioni, l’intensità del trasporto provato, la considerazione postuma a una storia sentimentale, la nostalgia o il sollievo, la sofferenza e il suo insperato spegnersi, il rammarico e il conforto della fine e del principio, l’esaltazione, la gioia, la speranza e l’illusione, il dissidio, il disincanto e la muraglia del distacco emotivo malinconicamente raggiunto, la voglia di essere riavvolti e la constatazione dell’assenza dopo una presenza pregnante. Si potrebbe scriverne in eterno, anche se la persona fosse una sola, perché infiniti sono i giorni riempiti dall’apparizione come dal suo svuotarsi, dalle sfumature del desiderio e del suo placarsi, l’incertezza di certi silenzi e l’indecenza di certo fragore. Se aggiungiamo alle nostre esperienze pure quelle altrui, lette, ascoltate o vagheggiate, ci troviamo davanti a un filone poetico imponente e di difficile esaurimento. L’amore è una miniera a cielo aperto sovrastante un subdolo vulcano, ogni minimo conflitto suscitato diventa linguaggio. Perfino nella sua ripetitività quotidiana alimenta la ricchezza della realtà.


– Analizziamone i brani, partendo proprio dall’incipit: “La spia che ti amava”.
Come è nata l’idea di dare vita a un’esperienza musicale che fonde il mistero dell’azione spionistica con la profondità delle emozioni amorose?

Niente di più aderente. Non tanto perché il maschilista “Bond abbondi in Bond Girls” e ogni paragone con l’agente segreto britannico faccia brillare per inadeguatezza qualunque uomo volesse misurarsi con le sue prodezze atletiche e/o sentimentali, quanto perché l’aspetto spionistico è connaturato al mistero passionale, fatto di segreti piccoli o grandi e tentativi di svelarli violando la privatezza della persona amata. Se da un lato l’agente segreto “deve operare nell’intimità” per raggiungere scopi che con l’amore nulla hanno a che fare, questioni di Intelligence insomma, dall’altro la persona innamorata sente di dover agire sotto copertura per appurare la sincerità della persona amata. In un caso l’amore è un mezzo per indagare su qualcos’altro, nell’altro è l’oggetto stesso dell’indagine. Mi amerà davvero? Il dubbio, che nella Seconda Cristallizzazione teorizzata da Stendhal nel suo libro Sull’amore interviene a cementare più strettamente il sentimento dello spasimante, diventa spesso motivo di separazione qualora ci si decida a scioglierlo spiando il cellulare del coniuge, per esempio, o puntando a verificare con troppo realismo la veridicità di dichiarazioni amorose spesso esternate per il semplice piacere di “giocare all’amore”. Insomma, per vivere felicemente una relazione sentimentale bisogna essere disposti a credere e non controllare, bisogna abbandonarsi. Alcune insinuazioni servono a riaccendere il fuoco, altre a depistare. Se si vuole porre fine a un rapporto, basta andare a controllare i messaggi dell’essere amato per gonfiarsi il cuore di malintesi che all’amore proprio non giovano. “L’amore è un’informazione che sfida l’algoritmo dell’iPhone”, cioè qualunque cosa si speri di scoprire non sarà mai la verità completa. Perché in questo bellissimo giocattolo misterioso la verità è ignota pure alla persona indagata, che a volte non è neanche consapevole di nascondersela. Meglio esplorare i propri sentimenti con tutta la possibile onestà. Cercare conferme nel comportamento occulto dell’altro è una forma deleteria di insicurezza. Nella Spia che ti amava tratto con la dovuta ironia il tema di amore e spionaggio alludendo al basso come all’alto di un universo che sprofonda troppo nell’inconscio per poter ambire a una qualche attendibile verità. Meglio il dubbio di Stendhal, e le sue palpitazioni notturne che lasciano alla passione molta più vita di quanto farebbe il burocratico resoconto di un’agenzia investigativa.


– “Il gelsomino” e “Ritratto di donna scomparsa” sono brani che si distinguono per la loro capacità di raffigurare vivide immagini attraverso la parola. Ogni nota e ogni verso contribuiscono a narrare una storia, e la musica crea un sottofondo emotivo che amplifica le sensazioni trasmesse dal testo. Cosa ne pensa?

Ad accomunare le due canzoni è il fatto che entrambe sono il ritratto di una donna. La stessa in due momenti diversi, una nella presenza e nell’incantamento iniziale dell’amore, l’altra dopo l’addio, nella scomparsa e negli indizi lasciati a testimonianza del suo passaggio in una casa che idealmente fu la sua. La musica del Gelsomino è nata insieme al testo, la storia c’era già tutta e ha fatto sgorgare la melodia mentre la raccontavo a me stesso. Ritratto di donna scomparsa invece era soprattutto un’idea per cui la musica era stata pensata, una sequenza armonica costruita lentamente su cui poi il testo è stato spalmato con pazienza, strato per strato, fino a edificare l’insieme dei reperti utili a ricostruire la figura della protagonista.

 
–  …E qual è il percorso realizzativo di queste canzoni dove il testo sembra essere “il centro”, la parola, il racconto minuzioso?


Un prima e un dopo, ora che ci penso, indispensabili a tratteggiarne la figura. Lei in principio è nella casa del gelsomino, il narratore vi si reca e torna indietro con l’umore rattenuto, condensato come un ricordo pronto per il deposito della memoria. Poi, nell’altro brano, in casa ci sono solo segnali della passata presenza di lei e il narratore ne cerca le tracce sperando di trovarne, come quando ci si imbatte in un indumento usato da una persona che non c’è più e lo si annusa per riafferrarne la reminiscenza. Le ho scritte in momenti relativamente lontani e le ho separate, una nella seconda e l’altra nella settima traccia dell’album. Se non me le avesse avvicinate nella domanda non ci avrei mai pensato. I verbi all’imperfetto indicativo della prima canzone cozzano duramente contro l’inesorabile indicativo presente della seconda. È il tempo al lavoro, da una canzone all’altra. Un’energia che si scarica e ricarica continuamente su un soggetto. L’on/off, accensione e spegnimento di una luce sul medesimo ritratto, che ne modifica i connotati.


– Parliamo di “S.r.d.” e “Concorsi di poesia senza poeti”. Sono brani che incarnano lo spirito rock dell’album, mescolando ritmi incalzanti con testi infarciti di fulgida ironia.
Queste canzoni sono una riflessione acuta sulla società contemporanea, e trattano temi complessi con una sottile critica.


S.r.d. (Società a responsabilità disperata) prende in giro la tendenza tra innamorati a creare profezie che si auto-avverano. «Mi lascerai, no, mi lascerai tu» è un tipo di conversazione che può impegnare anche delle ore nei convegni amorosi, un po’ perché è un altro modo di dichiararsi l’amore, in negativo, e un po’ perché si tende a tenere il contatto con l’altro senza di fatto dirsi granché se non l’amore stesso o confessare la paura della sua fine. Si crea un clima di disperazione annunciata per scongiurarne il verificarsi. L’andamento rock del brano, che pesca spunti dagli anni Sessanta passando attraverso il punk anni Settanta con venature alla Vasco Rossi anni Ottanta, aiuta la sdrammatizzazione voluta dal testo chiaramente ironico, direi disperatamente ironico perché pure le rassicurazioni che la profezia nefasta non si avvererà ne fanno parte venendo a loro volta neutralizzate.

Concorsi di poesia senza poeti vira piuttosto sensibilmente verso il funky, con la sua dimensione emotivamente estranea e un tantino declamatoria, e si occupa in particolare delle rivalse culturali di un mondo in cui la cultura è immagine da ostentare più che autentica fruizione della complessità delle idee. La poesia, forma oscura ai più fino a che non gli si spiega il significato etimologico greco di “creazione”, si presta particolarmente ai fraintendimenti e alle millanterie. Se non si sa bene cos’è, non si capisce neanche bene cosa non è. In un mondo sempre più pervaso dal kitsch dei social e dei contest tivù, la pornografia dei sentimenti appesantita da metafore abusate e emozioni d’accatto viene sempre più spacciata per tale senza che la gente se ne renda conto. La confusione che ne deriva nutre raduni e festival in cui il “poetico” ha il ruolo predominante e la poesia non si perita di mostrare il cangiante pallore del suo sacro volto. Nel clangore delle kermesse, giusto il silenzio s’innalza a rammentarne l’esistenza.

– Un altro brano rock ne La spia che ti amava dal carattere vivace, in parte ermetico, è “Una via di fuga”.

L’ermetismo in questo caso è dato dall’eccessiva facondia. Non troppo poche parole ma molte di più di quelle che ci si aspetterebbe dopo lo slogan dell’incipit “Tieni le distanze / poche confidenze”. Il ritmo del testo è tale da trasformare questo rock tirato in una variante quasi rap. Il cantato è intonato e melodico ma con una scansione stretta che in certi punti potrebbe essere parlata. I versi si riferiscono all’esperienza e agli esiti del lockdown da Covid-19, nell’intimo di un interlocutore che si rivolge a un tu non del tutto delineato, quindi impersonale abbastanza da diventare un sé. Il ritornello fa ricorso alla personificazione, la figura retorica che attribuisce a oggetti e animali prerogative umane, al fine di ripopolare i luoghi spopolati dalla pandemia: “C’era un’onda che si rifiutava di fermarsi in spiaggia”, quando mai un’onda si è fermata? “Certe estati pure un ombrellone si scoraggia”, certo, rimane chiuso. L’unica possibilità che l’amore offre all’esistenza svuotata della gente è la simbolizzazione del linguaggio. Le considerazioni nelle strofe hanno a che vedere con le emozioni di allora, ripensamenti sulla propria vita costretta in una casa, riesami di scelte e progetti in vista della futura liberazione, preoccupazioni per il lavoro. Quando non ci si è più potuti muovere per ordinanza amministrativa, l’idea di libertà è stata rimessa in discussione e si è aperta la valutazione sullo scarso uso che se n’era fatto quando non si apprezzava abbastanza il privilegio di spostarsi da una città all’altra, da una regione all’altra, di prendere un aereo o un treno. “Una pausa in una città / lunga come la tua vita / costa cara la fortuna / quando il panorama sfuma / e non resta neanche un’amica”. Hermes è il dio dell’interpretazione, l’ermeneutica prende il nome da lui. Ermetico non vuol dire inaccessibile, ma finalmente interpretabile. 

 
– L’amore, però, è anche una cosa “seria” che può creare dipendenza. “Tutto è sfondo dove non sei tu… tutto è retroscena”, recita il testo della canzone “Lo sfondo”.
Un brano che affronta il tema dell’amore in modo profondo, esplorando la dipendenza emotiva e la centralità della persona amata nella vita di qualcuno. Questo concetto di “amore assoluto” sembra sottolineare come la presenza dell’altro possa definire l’intero mondo, evidenziando l’importanza e l’impatto dell’amore nelle nostre vite. È così?

È tipico della follia d’amore, l’innamoramento in senso stretto, pensare costantemente alla persona amata, sentirsene osservati anche quando si è soli, avere unicamente lei in testa sul lavoro, a casa, in famiglia, al cinema. Mogol/Battisti l’avevano bene espresso in E penso a te. È come se nient’altro di colpo avesse importanza, tutto godeva di un protagonismo ora eccessivo: un bel tramonto, un paesaggio suggestivo, una discoteca, una piazza, una città d’arte, un gruppo di amici. Lo sfondo narra la solitudine di un mondo vuoto senza il significato della gente che dovrebbe abitarlo, come Una via di fuga, combinata con la casa ormai disabitata di Ritratto di persona scomparsa, per ribadire che all’amore per il mondo è necessaria la presenza di chi si ama, l’apparizione dell’amore umano. In una serie di ipotesi che sono null’altro che una lunga dichiarazione d’amore, il narratore visualizza una Parigi come potrebbe essere quella vissuta da un clochard senza affetti. Senza amore siamo dei poveretti, senza la persona amata lo splendore circostante si opacizza, si guasta, sfiorisce. Per converso, arriva lei e tutto brilla, pure i clochard che dormono sulle grate di aerazione. Come diceva quell’adattamento da Neil Diamond cantato da Caterina Caselli? “Guardo te, sono bugiarda”. Grazie a te mento insieme alla fantasmagorica apparenza dell’universo. Per rispondere più strettamente alla domanda, non è una mera questione di dipendenza, ma di senso. Tu ci sei e posso vedere finalmente il mondo nella sua ingannevole bellezza. Tu non ci sei e il mondo torna quel programma videogame che senza di te è sempre stato. Se riflettessimo su una dipendenza basilare come “respirare”, ci apparirebbe più chiara la similitudine. Se di colpo non riuscissi a respirare mi sarebbe difficile godermi il panorama. Non a caso la dispnea è tra le principali manifestazioni di un attacco di panico.


– “Ma tu sorridi” è, invece, un brano che si distingue per la sua delicatezza e la sua atmosfera intima. Il clarinetto di Marco Pasetto aggiunge una dimensione emotiva e malinconica, trasportando l’ascoltatore in un viaggio attraverso sentimenti più profondi e introspettivi.

Mi dà l’occasione di ricordare, oltre a Marco Pasetto, graditissimo ospite in questa sola canzone, gli altri musicisti, Pepe Gasparini al basso e agli arrangiamenti, Giovanni Franceschini alla batteria, Pietro Franzosi alla chitarra elettrica e acustica, le voci femminili di Jessica Grossule e Lucia Corona Piu, che tanto hanno contribuito alla riuscita musicale dell’album e alla delicatezza in filigrana di questo brano in particolare. Il testo evoca una sorta di perduto Giardino dell’Eden, la zona prepubere di una bambina pronta al balzo verso l’adolescenza. In un dialogo tra passato e presente, turbamenti remoti inerenti all’amore o forse al sesso fanno da sfondo a un oggi ambiguo in cui tutto si è cristallizzato in una donna che è il risultato di quanto le è accaduto, di piacevole e spiacevole, di compreso e incompreso. Uno “stato delle cose” con cui fare i conti ogni giorno senza rimpianti, colpe o scuse. Il Paradiso Terrestre è sempre stato una truffa. Ciò che conta è la bellezza femminile intatta a prescindere da ciò che può esserle accaduto, la sua integrità, la sua forza. Il suo sorriso resistente.   


– “Aveva un uomo” è un’altra canzone che crea un ponte tra passato e presente, immergendo l’ascoltatore in un’atmosfera sospesa e fiabesca. Un racconto su ciò che non è stato, e ciò che potrà esserci un domani… Possiamo approfondire il senso di questa “sospensione”? La vita è spesso “attesa” di qualcosa che non si realizza?

È un altro ritratto di donna, l’immagine di una creatura ferma in una nicchia del suo destino fissato da una previsione cartomantica o zodiacale. “La sospensione la galera / tra un uomo che non era più / e uno che non è ancora / e lei al centro dell’impresa / dall’ultima alla prima ora / sola”. Gli uomini tra cui è incuneata senza esserne toccata sono come immagini dei Tarocchi, lanci di Ching, responsi scaduti o in scadenza, mai davvero calzanti. Una donna che risplende della propria presenza, una figura di tale elevatezza da non trovare nessuno che le stia alla pari, una donna che si basta, che si autocrea, cui il vaticinio serve a decrittare momenti del presente per tenere accesa la speranza di un futuro in cui crede solo per non cedere all’evidenza della sua incompatibile essenza. Il rimpianto si affaccia per poi andarsene, perché non c’è nessuno da rimpiangere, se non la propria caratteristica di occasione perduta da altri. Una donna che non pensa di non aver meritato chi non ha avuto ma nemmeno di non essere stata meritata, non una vittima né una colpevole. Una donna compiuta indipendentemente dagli avvenimenti concomitanti, una creatura presente in un mondo passeggero e incompiuto. Al suo cospetto le predizioni sono poesiole da musical, formule magiche da film cantati con cui gioca per trascorrere la vita mentre se la costruisce concreta sotto i piedi, forte dell’amore per sé stessa.


– Arriviamo, quindi, a “Pascoli Verdi”. Una rivisitazione di Pastures of Plenty di Woody Gutrie. Perché questa scelta? E come è stata riadattata la canzone per riflettere le tematiche e lo stile dell’album, mantenendo l’essenza e il messaggio originale?

Maurizio Bettelli, cantautore, operatore culturale e massimo esperto italiano di Woody Guthrie, organizzò nel luglio 2012 un raduno di appassionati per un concerto in occasione del centenario della nascita del folksinger americano. Intervennero un bel po’ di musicisti di rango e pure Alessandro Carrera, biografo della Voce di Dylan. Bettelli mi assegnò la canzone Pastures of Plenty, Pascoli dell’Abbondanza, che pensai di tradurre per offrire al pubblico una chance in più di comprenderne i versi. Già allora modificai la struttura musicale, rispettando la regola dei folksinger come Guthrie secondo cui una canzone è di chi la canta, e l’adattai in modo da rispettarne il testo cullandolo su una musica più folk-rock. Quando mi sono deciso a includerla in quest’album, Gasparini e Franzosi hanno dato un tocco ancora più rotondo alla sonorità, creando un riff alla “Hendrix non distorto”, un fraseggio di chitarra elettrica limpido e sofisticato su una ritmica baldanzosa che accompagna il brano con molta efficacia. La Dust Bowl Ballad per eccellenza ha così raggiunto un tono più epico, narrando dei migranti scampati alle tempeste di polvere nella Grande Depressione americana descritte nel romanzo Furore di John Steinbeck. Un’escursione nell’amore collettivo tra compagni di sventura, l’amore sociale di chi combatte ogni giorno per guadagnarsi da mangiare e così facendo rende più grande il Paese in cui vive. Quando l’amore assume forma di solidarietà, dona un calore tutto particolare alla commozione che ne deriva. Ci si sente fratelli di gente sconosciuta, come testimoniò bene Giuseppe Ungaretti nelle liriche di Vita di un uomo.

 
– A conclusione de La spia che ti amava abbiamo “Quello che accadrà”, un bellissimo tributo a Vittorio De Scalzi, un omaggio al suo talento. Qual è stato il vostro legame?

Su stimolo di Enrico de Angelis nel 2005 entrai in contatto con Vittorio De Scalzi, voce storica e autore dei New Trolls, per lavorare all’album Gli occhi del mondo, una raccolta di canzoni tratte da poesie di Riccardo Mannerini, séguito ideale di Senza orario e senza bandiera mediato a suo tempo dall’intervento autoriale di Fabrizio De André. La collaborazione è diventata presto amicizia, ci siamo trovati a cantare e divertirci in serate conviviali con amici comuni genovesi, i cantautori Max Manfredi e Cristiano Angelini, il musicista Marco Spiccio. Ci siamo riuniti al Tenco di Sanremo nel 2009 a parlare di Mannerini con il figlio Ugo. Sono nati altri progetti: Vittorio ha collaborato alla stesura delle canzoni per un mio spettacolo teatrale sulla Costituzione e io ho scritto per lui i testi di un concept album sul Graal di cui finora è stata pubblicata una sola canzone, La battaglia che perderò. Quando l’anno scorso è scomparso, ho avuto la sensazione che si chiudesse un’epoca musicale e umana. Certe persone hanno la peculiarità di essere aggreganti, particolarmente comunicative a livello sociale, tanto che quando se ne vanno il vuoto lasciato pare ancora più incolmabile. Con Vittorio è stato così. L’ultima canzone del disco parla di questo, di un ciclo che si chiude. Registra senza allusioni specifiche la consapevolezza di un lutto decisivo, come quando muore qualcuno e l’intera compagnia di cui faceva parte si sfalda. Anche l’amicizia è amore.

Intervista di: Elena Torre

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