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Marco Ongaro e La spia che ti amava

Marco Ongaro appartiene a quella generazione di cantautori straordinari che hanno attraversato la storia della musica italiana. Non solo per anagrafica, ma come artefice di una produzione musicale ed artistica di altissimo livello. Già nel 1987 riceve la Targa Tenco per la Migliore Opera Prima e successivamente realizza album di pregio come “Dio è altrove”, “Esplosioni Nucleari a Los Alamos” e “Canzoni per adulti”, suscitando l’interesse e gli apprezzamenti della critica. Occupandosi al contempo di scrittura e opere teatrali. Un artista eclettico e a tutto tondo, profondo conoscitore, che siamo lieti di ospitare su DaSapere, per approfondire con lui i tanti aspetti della propria personalità, e parlare del suo nuovo singolo in uscita “La spia che ti amava”.

– Benvenuto a Marco Ongaro. Cantautore, vincitore del Premio Tenco, scrittore. Marco, ci racconti qualcosa di lei, del suo percorso artistico tra musica, scrittura e teatro…

Inizio come cantautore con la Targa Tenco per la Migliore Opera Prima nel 1987, dopo un esordio sotto traccia nella Italo Dance come O’Gar nel 1983, prime esperienze di dischi in classifica all’estero. Gli anni Ottanta in Italia erano strani, la canzone d’autore stava sfumando il suo impatto, mentre la techno dance costituiva il primo vero impulso indipendente, con un sottobosco di produttori che sfidavano le major in declino. Ma era la poesia cantata quella che più m’interessava, dunque ho mollato presto la copertura anglo-dance per ritornare alle canzoni nella mia lingua madre. Lì è arrivato il premio che mi ha incoraggiato su questa strada. Dopo altri tre album come Marco Ongaro, distillati fino al 1995, sono passato a scrivere per altri e a scrivere altro. Teatro, sì, libretti d’opera, ma anche saggi e racconti. A lavorare con la parola in senso più ampio insomma, tenendo però vivo a partire dal 2001, con l’album Dio è altrove, il percorso di cantautore che mi permette di esprimere in questa magnifica forma sintetica, tra i 2 e mezzo e i sei minuti, mini opere perfettamente compiute definite canzoni.

Grafica Divina


– E secondo lei com’è cambiato dai suoi esordi ad oggi il modo di fare e di interpretare la musica?

È cambiato soprattutto l’approccio produttivo. Dagli anni Sessanta e Settanta in cui la casa discografica segnava il destino dell’artista, si è passati via via a produzioni indipendenti in competizione con le “case madri”, una sorta di ribellione che non scombussola affatto l’attività di aziende importanti come Sony e Universal, dalla potenza accresciuta, che hanno assunto in sé tutte le sfaccettature dello sviluppo musicale avvenuto nel frattempo. Ciò ha pure permesso al singolo di “farsi la sua cosa nella casa”, come scriveva Frankie HI NRG, e infine anche di pubblicizzarla a volte con l’avvento dei social. Tra possibilità produttive e effettive produzioni l’interazione si è fatta parte integrante del risultato. L’artista usa meno mediatori alla fonte. Direttori artistici e produttori, strateghi del marketing, eccetera, entrano in campo più tardi. Ma “nessun uomo è un’isola”, da soli non si va lontano. La libertà iniziale la si paga con la difficoltà successiva a penetrare il mercato, ancora e sempre indispensabile alla sopravvivenza artistica di un progetto. Il fatto che i supporti fisici di fruizione siano sempre più incorporei può aiutare ma anche annichilire la diffusione di un prodotto artistico. Come diceva Jannacci, però, “trattasi di canzonette”. 

– Ed in tal senso, si sente un sopravvissuto della “vecchia” e gloriosa generazione? E quale prezzo deve pagare un artista del suo calibro, per fare musica di qualità al giorno d’oggi?

Sono un reduce della generazione medio vecchia, diciamo. Arrivato quando la canzone d’autore era in declino, ho scollinato il millennio insieme ai sopravvissuti di un’orda artistica in cui le glorie erano e sono rimaste altre. I nomi cardine della canzone d’autore hanno subito poche variazioni. Qualcuno è morto nel frattempo, ma è più vivo che mai. Poi ci siamo noi, artisticamente figli degli Ottanta, che fingiamo una salute inossidabile e vestiamo le canzoni con suoni nuovi o vintage, a seconda delle uscite, per continuare un discorso poetico che qualcuno pare aver ascoltato e qualcuno ancora ama seguire. Tra noi ci salutiamo o fingiamo di non conoscerci, ma siamo una famiglia strana di artigiani che lucidano con pazienza gli strumenti di lavoro.

– Piero Ciampi e Serge Gainsbourg, due grandi artisti con i quali lei si è cimentato. Cosa rappresentano per lei?

Su Gainsbourg ho scritto un libro premiato con il CartaCanta nel 2022, Un poeta può nasconderne un altro, un lavoro di saggistica utile a comprendere il ruolo di un artista abituato a confrontarsi con la contemporaneità e il progresso dei generi musicali, infallibile autore di hit estive e di classici raffinatissimi. Un genio di successo la cui imprendibilità da parte del suo stesso vasto pubblico rimane emblema della solitudine del poeta. 

Piero Ciampi era morto da abbastanza poco tempo quando si è cominciato a organizzare concerti di tributo. Quello cui ho partecipato al Teatro Argentina nel 90 era per il decennale dalla scomparsa. Un evento molto bello con importanti esponenti della musica italiana, il suo coautore Pino Pavone Lucio Dalla, Renato Zero, Teresa De Sio, Rossana Casale, Paola Turci con Toqui, Luca Barbarossa. L’orchestra era diretta dall’altro coautore storico di Ciampi, Gianni Marchetti. Un evento di cui rimane testimonianza su disco. Ma già prima avevo partecipato a un tributo a Livorno, dove c’erano stati anche Lauzi, Fossati e De Gregori. I poeti parlano ai poeti, era naturale che i primi a occuparsi della memoria di Piero Ciampi fossimo noi autori di canzoni. Contrariamente a Serge Gainsbourg, Piero Ciampi non è mai stato baciato dal successo. Lo proporrei come protettore di quelli il cui talento è direttamente proporzionale all’incomprensione da parte del grosso pubblico. San Piero Ciampi: non fosse che non è riuscito a compiere miracoli per sé, figuriamoci per gli altri.  


– Ci parli del nuovo progetto in uscita, il singolo “La spia che ti amava”.

Una canzone sull’indecifrabilità dell’amore, sempre in bilico tra desiderio e bisogno, tra incantesimo e stratagemma. La metafora spionistica ben riassume i dubbi, le incertezze, pure i sospetti di chi per accertarsi che l’altro l’ami magari gli controlla il cellulare di nascosto. Il ritornello gioca su questo: “L’amore è un’informazione che sfugge all’algoritmo dell’iPhone / è una cifra, una password senza nome che va cambiata un giorno sì e un giorno no”. L’amore va creato e ricreato di continuo, non necessariamente verificato compulsivamente alla ricerca di un’assenza di sincerità. Quanto siamo sinceri con noi stessi? Beh, non più che con gli altri. Il rock ’n’ roll ispirato a Chuck Berry aiuta a farne un brano vagamente scanzonato, orecchiabile, per attutire la gravità spesso drammatica di un simile tema.

 
– Marco, tra tutte le arti che lei ha approcciato, quale sente più vicina al suo modo di essere? E perché?

Come dicevo, la parola è il fondamento. La poesia, nel suo senso etimologico di creazione, è allargabile a tutte le arti, ma quella in cui mi piace coinvolgermi è da sempre la parola. La musica ne è veicolo, come sempre è stato nella storia della poesia. L’unione tra parola e musica, sia essa per una canzone che per il teatro musicale contemporaneo, offre infinite combinazioni creative. La comunicazione diventa espressione, la tecnica si unisce a quel nonsoché di inafferrabile e la magia del risultato spesso disorienta l’autore più che il destinatario dell’opera. Fin da piccolo usavo la parola per amare la vita. Credo che l’arte a questo serva, ad amare la vita. 


– E tra musica, scrittura e teatro… quali progetti futuri dobbiamo aspettarci?

“La spia che ti amava”, l’uscita dell’album completo a metà febbraio. Ho costituito allo scopo una band molto versatile che possa riprodurre dal vivo ciò che succede nel disco. Molto vivace, fresca, con appoggi su suoni classici della musica rock e libertà vocali anche divertenti. Questo è il progetto cui guardo con la massima concentrazione, i concerti dal vivo per farlo conoscere. Un’attività affascinante, promettente, che assorbirà i miei prossimi mesi.

Ecco il video

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