Maura Gancitano e Andrea Colamedici sono due filosofi, scrittori, ideatori del progetto Tlon una delle iniziative culturali più belle ed importanti degli ultimi anni.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistarli in occasione del MemoFest e di approfondire alcuni aspetti a cui tenevamo.
Ecco cosa ci hanno detto
Quando avete ideato, immaginato, sognato il progetto di TLON era com’è ora? O c’è qualcosa che vi ha stupito, che non avevate proprio considerato?
Andrea Colamedici: Quello che ci ha stupito è che ad un certo punto siamo diventati un raccoglitore di “solitudini condivise”, di persone che si sentivano sole, pensavano di essere sole e di essere le uniche a pensare certe cose.
Maura Gancitano: Che poi anche per noi è stato così.
Andrea: Sì infatti. Noi stessi eravamo convinti di essere gli unici a pensare determinate cose, poi ci siamo incontrati tra noi e poi a raggiera si è espanso tutto, sono arrivate persone che si sentivano fuori posto, fuori casta direi, gli outsider, quelli che non credevano che il mondo stesse necessariamente crollando e che le persone fossero necessariamente cattive, violente. Ma d’altra parte erano anche stufi della retorica.
Perché sai poi il rischio è trovarsi a fare discorsi retorici, banalizzanti. È stata la comunità che ci ha colpito, che ci ha sconvolto, il fatto stesso che ci potesse essere l’opportunità di creare un senso di famiglia.
Terzani ne parla come dell’organizzazione, cioè persone che si riconoscono quando si guardano, che sentono di appartenere alla stessa grande famiglia che non ha una tessera, che non ha delle pratiche obbligate ma che ha a che fare con un certo sguardo sul mondo. Questa è la cosa che ci ha sconvolto e che con il lockdown si è potenziata tantissimo.
Con le maratone di filosofia che abbiamo fatto ci siamo dovuti fermare, tutti, però per noi è stata un’accelerazione molto forte perché ci siamo chiesti come avremmo potuto metterci al servizio, come renderci utili e a quel punto probabilmente è stata riconosciuta la gratuità del gesto. Ci è stato chiesto dal Ministero della Salute e ci siamo detti, tutti stanno cercando di intrattenere, noi come possiamo creare un senso di comunità? Quella è stata la scossa che ci ha sconvolto più di tutto.
Come si può ritrovare la capacità di stupirsi, di non limitarsi a passare lo sguardo da una cosa all’altra?
Maura: Come dice un famoso filosofo viviamo nell’epoca della ragion cinica, sembra che essere cinici e ciniche significhi saperne di più della vita e avere un’idea chiara del mondo. In realtà questa cosa impoverisce tantissimo la vita, impoverisce proprio l’esistenza. Il fatto è che la meraviglia può essere qualcosa di spontaneo e involontario ogni tanto, soprattutto da bambini e da bambine, quando diventiamo grandi invece dobbiamo coltivarla.
È la ragione per cui abbiamo scritto il nostro secondo libro insieme, “Lezioni di meraviglia”, proprio perché quello è il cominciamento della filosofia.
La filosofia inizia quando ci si comincia a stupire del fatto di essere al mondo e questa cosa provoca contemporaneamente stupore ed orrore, spaventa, fa paura ma allo stesso tempo c’è la percezione del sublime. Tenere queste due cose insieme, questa contraddizione, è fondamentale: in un mondo come questo essere cinici e ciniche è più comodo, convincersi che tutti siano brutti e cattivi, che il mondo sia ostile e che non sia possibile disegnare un proprio percorso ed essere liberi. Ma in realtà questa cosa, se toglie un po’ di paura toglie anche moltissima ricchezza.
E come si fa per reincantare il mondo? Cercando di coltivarla questa meraviglia, cercando anche di andare alla ricerca di persone che abbiamo questa stessa visione, non pensando che tutte le altre persone non vivano la stessa cosa, anche perché si rischia di passare dal senso di solitudine alla presunzione di essere migliori degli altri!
Soprattutto in un momento come questo, anche quello che accade in manifestazioni come quella del Pride è la creazione di un senso di comunità, la percezione di essere parte di qualcosa che va oltre gli schemi, le etichette, le divisioni che percepiamo sempre.
Per noi questa cosa è importante ma ovviamente dirlo sui social può farci sembrare falsi o ingenui, ma è un rischio che è importante correre.
In esergo a Prendila con filosofia una delle frasi che abbiamo scelto è di Henri Bergson e dice “La filosofia non è una costruzioni di sistemi, ma la risoluzione presa una volta per tutte di guardare ingenuamente in sé e intorno a sé”.
Quindi questo sguardo ingenuo non è uno sguardo infantile ma è uno sguardo incantato, che quindi vede anche gli ostacoli, vede anche l’orrore ma insieme la meraviglia.
Daniela Lucangeli parla spesso e con grande forza del concetto di scienza servizievole. Il vostro obiettivo è rendere anche la filosofia servizievole?
Andrea: Sì. Una filosofia del servizio non significa semplicemente volersi mettere a disposizione dell’altro. È un servizio tripartito: mettersi al servizio sia della cosa che della persona, della disciplina.
Ti metti al servizio della persona e della filosofia contemporaneamente, cerchi di creare quell’ambiente in cui la persona possa accedere alla disciplina, perché molto spesso c’è la tendenza ad ammantare di inaccessibilità.
E se da un lato questo è un modo per tutelare un sapere dall’altra se è fatto nel modo sbagliato è molto dannoso.
Lo racconta molto bene Wu Ming 1 in un libro uscito recentemente su Q (La Q di Complotto, QAnon e dintorni) in cui si dice di fare attenzione perché il burionismo è una pratica che spesso “buca i palloncini” delle persone senza però dar loro un reincanto. Ti ritrovi a blastare la gente, a fare tutt’altro che una filosofia o una scienza e una medicina servizievole, stai facendo una scienza offensiva ed elitaria.
Il punto è che ci vuole pazienza per incantare il mondo, ci vuole servizio. E mettersi al servizio significa prima di tutto rispettare le esigenze di meraviglia dell’altra persona.
È importante far passare il messaggio che la filosofia parli anche di noi e che ci si possa impegnare per comprenderla, poi ovviamente ci vuole impegno per approfondire.
Intanto però te la rendo “erotica”, ti faccio sentire quanto ti riguarda e quanto puoi far bene alla collettività se entri in quella dinamica, nella creazione di una comunità operosa. Poi ci sarà il tempo di esplorarne la complessità.
Il servizio non è dare qualcosa di già masticato e banalizzato, che potrebbe essere anche umiliante, ma è il concetto di farsi strumento per avvicinare il più possibile disciplina e persona, rimanendo in quella tensione per farne esempio: perché non c’è servizio senza esemplarità.
Alcuni studiosi sono molto preoccupati per il risveglio del demone della paura collettiva, o del Golem per dirlo con le parole di Chiara Valerio nel suo intervento alla Festa della Filosofia, perché lo ritengono impossibile da governare. Qual è il vostro pensiero al riguardo?
I dubbi sono importanti, le domande sono importanti. Da dove nasce tutto questo discorso: dalla pretesa razionalità, dall’idea che si possa separare l’intelligenza razionale da tutte le altre e che ci possa essere un discorso basato sui dati che non sia interpretazione.
Gli scienziati sanno che tutto ciò che facciamo con i dati sarà sempre un’interpretazione, anche solo quello che stiamo escludendo, la prospettiva da cui guardiamo.
I dati potranno anche essere oggettivi, ma il discorso che costruiamo non lo è.
Invece c’è questa idea di poter o dover in qualche caso dire le cose escludendo tutti gli aspetti emotivi. Invece fare attenzione alla paura è fondamentale, è un senso di responsabilità che dovremmo assumerci anche a livello individuale, anche nei discorso che facciamo insieme.
Poi ovviamente anche la politica, la medicina, dovrebbero fare attenzione anche all’effetto emotivo di ciò che viene detto, invece in questa società in genere l’effetto emotivo viene liquidato.
Ne abbiamo parlato in Liberati dalla brava bambina, quando parliamo di Medea e Giasone, perché in qualche modo Giasone rappresenta proprio la pretesa razionalità ed è forte la critica nei confronti di Medea che si fa prendere dalle emozioni mentre lui crede di essere lucido.
In realtà non esiste questa lucidità nell’essere umano, perché di qualsiasi cosa stiamo parlando c’è sempre l’influenza del nostro vissuto, delle nostre esperienze. Quindi di fronte ad una situazione come quella che stiamo vivendo non si può chiedere alle persone di essere razionali, semmai ragionevoli che è un’altra cosa.
Cercar di capire come comportarsi, quali azioni compiere, cercare di fare attenzione alle proprie emozioni e tentare di trasformarle, questo si può dire, ma occorrerebbe anche dare o aver dato degli strumenti di educazione sentimentale che questa società non dà.
Non è possibile dire di nascondere o ignorare le proprie emozioni, anzi quello che scienziati e politici dovrebbero fare è proprio fare attenzione all’effetto emotivo di ciò che dicono, ma non sono abituati a farlo proprio perché si pensa che la scienza e la politica siano un’altra cosa rispetto alla psicologia, alla pedagogia e all’intelligenza emotiva.
La paura non va né nascosta né cancellata, altrimenti si manda il messaggio che le emozioni che le persone stanno provando non sono valide, e questo è pericolosissimo perché se la paura si trasforma in terrore allora sì che è difficile da governare!
Intervista ai Tlon di Cinzia Ciarmatori e Elena Torre