Cristina Meschia
Camaleonte gitano
(Autoproduzione / distribuzione IRD)
Il camaleonte
Oltre che rendere benissimo l’idea del poliedrico viaggio-sfida intrapreso in questo suo nuovo disco, dobbiamo dire che il camaleonte funziona magnificamente anche a metafora di Cristina Meschia in sé.
Perché la giovane cantante verbanese, coraggiosa e colta, ogni volta osa un poco di più della volta precedente. E così, dopo essere passata dalla canzone popolare piemontese a quella lombarda, virando anche verso il jazz e la musica d’autore, per “Camaleonte gitano” Cristina Meschia si regala un volo senza rete: un percorso fascinoso e inquieto fra mille culture, mille colori, mille necessità interpretative, condotto non solo su arrangiamenti sempre fuori dall’ovvio e d’un’essenzialità a dir poco scarna, ma addirittura osato quasi a voce nuda su pochi, nitidi, meditati suoni.
Che sono poi quelli delle chitarre smaglianti di Alessandro Di Virgilio (strepitoso in “Dream Of You” come per “Ma navu”), del violino spettacolare di Anais Drago (che si ascolta al meglio in “Opa Tsupa” e “La trata mas”), d’un contrabbasso davvero notevole che Julyo Fortunato fa apprezzare specie in “La Llorona”, e che alterna ad altrettanto potenti fisarmoniche: dentro un percorso arrangiativo ed esecutivo della band davvero riuscito, coraggioso quanto spumeggiante, in bilico fra jazz, folk, musica etnica e mille altre piccole-grandi sfumature intelligenti.
Però il punto di questo album è Cristina Meschia
Perché è lei, anche con una certa, convincente e a tratti sensuale teatralità, a trasportare l’insieme un paio di gradini più su. Cristina possiede una voce molto bella, ricca di sfumature tese quasi metalliche come di armonici intensi e ammalianti; ma soprattutto, la sa usare in modo notevole, tenendosi certo ben stretta la lezione di pulizia della scuola classica, e però declinandola senza timore nei chiaroscuri della modernità.
Le sue interpretazioni così sono sempre calde e intense, molto comprese e ben rielaborate dentro il suo personale modo d’essere -essere donna, essere donna d’oggi, essere cantante, essere portavoce dei brani scelti; e ciò le permette di spaziare dalla tragicità alla danza, dal sogno alla denuncia, dall’aggressività passionale all’introspezione meditabonda, dai fortissimi ai pianissimi restando sempre sé stessa, e al contempo donando forza e verità a tutti i colori che la sua camaleontica scelta l’ha portata a dover restituire.
Il disco, infatti, è un viaggio quantomai vario -nonché ben costruito nei suoi saliscendi emotivo-espressivi- che certo si basa su intelligenza delle scelte, qualità dei musici, fascino d’un sound raggiunto insieme; ma che potrebbe fare scivolare il camaleonte Meschia quasi in ogni passaggio, se questi non sapesse essere credibile… quasi quanto un attore. O, che poi forse è più giusto, quanto un’interprete colta, poliedrica, di rango.
Nel CD si parte dalla Sicilia passionale ma moderna, solare ma assorta di “Cu ti lo dissi”; poi è già tempo di gitani come da titolo, dunque di Balcani, con un’avvolgente e tesa -ma misurata- “Opa tsupa”. Indi Cristina torna alla sua Verbania con “Fioca” (che significa nevica), canzone struggente che qui viene portata a immense profondità grazie alla fisarmonica e a un canto davvero maiuscolo. Poi è la volta del jazz manouche, quello di Django Reinhardt, per una “Dream Of You” briosa, deliziosa, di bel piglio vocal-strumentale; e a questo episodio segue un episodio emozionalmente contrario, la messicana “La Llorona”, tragica, sensuale e umbratile, con un’interpretazione vocale davvero splendida e molto ben intarsiata da suoni scelti molto bene e altrettanto bene espressi dal gruppo.
Il camaleonte Meschia però, giunto sin qui, non è ancora pago
Deve quindi passare in Grecia, per la simpaticamente danzante “La trata mas” col violino che si fa seconda vocalità, in Yemen, per la delicatissima e commovente “Ma navu” dall’arrangiamento e dallo sviluppo davvero notevoli, e addirittura spingersi sino ad Astor Piazzolla e la sua per nulla facile “Milonga de la anunciación”: che si sarebbe potuta banalizzare, e che invece il camaleonte Cristina approfondisce tra folk e teatro in modo insieme sanguigno e “alto”.
Ma non è mica finita
Ché ci sono ancora due pagine delle tradizioni Rom, “Ederlezi” dalla Serbia con un abbrivio a voce sola d’astratta suggestione, e “Rumelaj” dalla Macedonia scoppiettante, incalzante, vorticosa. E in mezzo a due anime tanto diverse, l’ennesima “terza via” o terzo colore del camaleonte nella notissima “Gracias a la vida” della cilena Violeta Parra, proposto dalla Meschia però nella versione italiana dell’indimenticabile Gabriella Ferri.
Per un altro pezzo che, di solito, anche cantanti di nome buttano via: e che invece il “Camaleonte gitano” rende intenso e raffinato, con denunce taglienti alternate a riflessioni toccanti, grazie all’ennesima interpretazione convincente. O, se preferite, d’autore.
Che anche la voce, può essere d’autore, e in fondo il viaggio del “Camaleonte gitano” nasce proprio, nelle intenzioni di Cristina Meschia, come tributo al ruolo che può avere la voce nella canzone.
All’Italia il peso possibile di quel ruolo l’ha insegnato soprattutto Mia Martini, ma insomma: che bello, scoprire che ci sono delle giovani -pardon: dei camaleonti- proprio sulla buona strada, in merito.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare: “Grazie alla vita”
https://www.youtube.com/watch?v=UJ1P2gn-VpE