Home Da ascoltare “pop, rock, jazz… e non solo” Perturbazione (Dis)amore

“pop, rock, jazz… e non solo” Perturbazione (Dis)amore

Perturbazione
(Dis)amore
(Doppio album – Ala Bianca)

 Davvero riuscito e a tratti notevole, questo ampio e approfondito concept doppio che i piemontesi Perturbazione dedicano ai chiaroscuri dell’amare.

Grafica Divina

Nel disco, la band narra una vicenda sentimentale più o meno conosciuta da tutti: in ben 23 brani che la fotografano dal colpo di fulmine al lasciarsi, traversando con buona penna e belle intuizioni melodiche sia frammenti di quotidianità che riflessioni quasi filosofiche, sia momenti d’esaltazione che altri di sconvolgimento, sia slanci romantici che lavorii dell’inconscio.

Nati nel Torinese, i Perturbazione hanno debuttato nel 2002 con “In circolo”, e negli anni hanno raffinato il loro cosiddetto “rock anemico” fra vari dischi che li hanno consacrati nei territori indie e progetti a più linguaggi che li hanno visti crescere per esempio lavorando alla messinscena di opere teatrali di Natalia Ginzburg come scrivendo una rock opera per giovanissimi.

Ma cos’è esattamente il “rock anemico”? Per la band è un voler incrociare musica e testi sino a creare un unicum mirato all’emozione, sfruttando le potenzialità e delle note e delle parole, nonché -in entrambi i casi- per i Perturbazione anche di moltissimi e colti rimandi a vari mondi del passato.

E da questo punto di vista, bisogna dire che anzitutto “(Dis)amore” è un riuscito esempio di tale tipologia di rock, giacché mesce riferimenti e originalità, spartiti e liriche riuscendo ad andare in profondità nell’emozione oltre che nel ragionamento; e del resto tale rock, come temiamo tutti gli stili dell’indie odierno, ha proprio lo scivolare nell’intellettualismo (o nelle pose) il rischio maggiore, un rischio che però qui i Perturbazione riescono ad aggirare tramite guizzi d’ispirazione, bel lavoro di cesello sulle canzoni anche dal punto di vista sonoro (per una “sottoproduzione” non gridata e acutamente essenziale), soprattutto l’ottimo piglio della band.

Giacché Tommaso Cerasuolo, voce, Cristiano Lo Mele, chitarra, Alex Baracco, basso, e Rossano Lo Mele, batteria, sanno appoggiare bene striature rock-moderne a impianti che però reggono da soli in quanto consapevoli delle migliori scuole autorali; inoltre il loro sound si conferma coeso, solido e credibile anche nei passaggi meno riusciti, e qui viene pure colorato di suoni vintage con gusto ed eleganza, nella conferma d’una palese voglia di sottolineare le emozioni oltre che le riflessioni.

In estrema sintesi, “(Dis)amore” è un concept contemporaneo molto raffinato, che parla di quotidianità spicciola ma sa volare nell’universale: ed è soprattutto figlio di scelte precise e nette sia nella struttura dei brani che nelle parole dei testi, nonché dotato di misura (che è qualità che non fa mai male) e infine capace d’essere lieve, ma sempre scavando.

Senza scordare quanto e bene oscilli, con personalità, fra tanti colori: che vanno dalle eco dichiarate dei succitati riferimenti espliciti della band (Buzzati, Cure, Ivan Graziani, Radiohead, Tenco, Cassola, REM…) a un cantautorato colto corposo che pare uscito -ed è complimento enorme, da parte nostra- dai migliori canzonieri di Sergio Endrigo.

Pur privo di già sentito, retorica e soprattutto della fastidiosa supponenza di troppo indie, anche “(Dis)amore” qualche scivolone comunque lo fa. Sono pochi, però: e si limitano alla banalità di “Non farlo”, al testo senza peso di “Dieci fazzolettini”, all’energica ma non risolta “Lasciarsi a metà” e alla pleonastica “Conta su di me”.

In compenso, diversi brani spiccano per originalità e capacità anche di adombrare diversi livelli di lettura, nonché per piglio teatrale gustoso e convincente: è il caso de “Il ragù”, de “Il paradiso degli amanti”, del cameo “La nuda proprietà”, della tesa e dissonante “Silenzio”, dell’opera buffa beat sulla morte di un amore intitolata “La sindrome del criceto”.

Ma le vette di questo disco dei Perturbazione sono in realtà altrove, nelle pagine più autorali. Dunque nella lievità profonda e “brit” di “Le regole dell’attrazione”, nell’eco colta corredata da frasi molto molto belle di “Ti stavo lontano”, nella tesa ma aperta, e profonda, “Chi conosci davvero”, nella bella e ironica analisi del femminile di “Mostrami una donna”.

E soprattutto le vette di “(Dis)amore” stanno nel corposo carillon de “Le nostre canzoni”, nell’inattesa -perché strumentale- ma efficacissima e fascinosa “Come i ladri”, nella finale e intimista “Le assenze” e nel capolavoro “Io mi domando se eravamo noi”: una ballad aperta e bella, con forti eco anni Sessanta, sviluppo musicale valido e testo ottimo, che a tratti si fa struggente ed è proprio “la” canzone simbolo di questo bel disco, oltre che una delle migliori in assoluto nell’ultima annata della musica italiana d’autore.

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “Io mi domando se eravamo noi”:
https://www.youtube.com/watch?v=vRwLXw8TBx0

Articolo precedenteMilla arriva il novo singolo “La mia fortuna”
Articolo successivoEstate Sforzesca in scena La Molli con Arianna Scommegna
Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.