Son Little Aloha (Anti / Self)
Veramente notevole e convincente, la modernità originale di Son Little alias Aaron Livingston, losangelino cresciuto a Nuova York che con bei colori vintage, un trasporto sincero e verace e l’uso mai banalizzante di clic elettronici cala nella scia della tradizione un modo suo e contemporaneo di mescere blues, soul e un hip hop d’alto profilo autorale.
Fra l’altro, per questo suo nuovo album “Aloha”, che segue di cinque anni il debutto assoluto e nasce sfruttando appieno il portato di collaborazioni anche notevoli (come quella con Mavis Staples), Son Little ha dovuto fare i conti coi limiti della tecnologia: giacché l’hard disk su cui aveva salvato i dodici brani nuovi e i loro arrangiamenti s’è rotto, e lui ha dovuto rifare tutto, anche in tempi stretti, ripartendo da zero.
Ovviamente non sappiamo quanto la faccenda della perdita dei primi master abbia modificato il piglio dell’album; sappiamo però che l’album è davvero eccellente, fresco, con una cifra d’autore vera e originale, sussurrato e mai gridato, molto vissuto e perciò capace di farsi vivere. “Aloha” in pratica va a confermare quanto di Son Little si scrive negli States, dove qualcuno -non esagerando poi molto- l’ha definito “il talento più intrigante dell’attuale scena soul metropolitana”.
In “Aloha” Son Little suona tutti gli strumenti ed effettua tutte le programmazioni necessarie alle sue idee di mondo sonoro, affiancato però per la prima volta da un coproduttore esterno (Renaud Letang) al fine di cogliere un obiettivo per lui nuovo, che però aveva in mente sin dall’inizio della scrittura dell’album: riuscire a trovare un equilibrio più preciso fra il peso d’una produzione attenta alle necessità sonore dell’oggi e l’impatto live che poi i brani devono assumere, una volta usciti dalla dimensione album per salire su un palco.
E bisogna dire che quest’equilibrio in “Aloha” Son Little lo trova: dentro un percorso autorale (sono sue dieci canzoni su dodici) fatto di chiaroscuri, introspettivo con profondità, che racconta quotidiano e sentimenti senza mai concedere granché a retorica, convenzioni, mode del canto, della scrittura o del suono.
“Aloha” decolla alla grande fra la love-song solare e fascinosa “Hey Rose”, soul moderno scintillante con un bel groove profondo, e la sfida del blues “About Her, Again”, flashato di coraggioso intimismo e rivelatore d’un cantato, sofferto come da tradizione del genere, di altissima qualità. Altro capolavoro del CD è “Don’t Wait Up”, d’intensità dark ed espressività feroce, disperata e ribelle; ma piace assai pure “O Clever One”, inatteso episodio d’autore sul valore della paternità e il futuro del mondo, che in chiave soul-quasi-gospel denuncia valori, tenendosi però stretto un affilato, possibile doppio senso di provocatorietà giovane e già adulta.
Ma da citare è anche il soul-reggae sensuale e ironico di “Belladonna”, che s’iscrive in una tracklist ben riuscita appena un poco più su dell’eco Motown della brillante “Mahalia”, del mood musicale adulto della (testualmente) ingenua “That’s the Way”, dell’inno metropolitano blueseggiante “Neve Give Up” che incita a reagire alle difficoltà di vivere, dell’afflato carezzevole easy listening dell’acustica “Suffer”, del bel canto del perdersi e ritrovarsi in amore -valorizzato da disvelamenti di sé e squarci di delicata sensibilità- proprio della finale “After All (I Must Be Wrong)”.
Un paio di pezzi del disco, in altre vesti sonore, erano già stati resi noti da Son Little nell’EP “Invisible” del 2019; ma certo con questo “Aloha” il suo linguaggio s’ispessisce, il suo talento trova conferma (anche oltre le difficoltà cui l’ha costretto il tradimento della tecnologia), la sua musica garbata e profonda coglie l’obiettivo d’arrivare all’ascolto con più livelli di spunti contemporanei senza mai rinunciare a un fascino d’altri tempi.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da
ascoltare/guardare, “Don’t Wait Up”:
https://www.youtube.com/watch?v=rIK-BD2Y2uM