Claudia Cantisani
Non inizia bene neanche questo weekend
(La Stanza Nascosta Records)
E poi, d’improvviso, s’incespica in un capolavoro.
In un talento tanto nitido, espanso e già raffinato da far pensare cosa possa mai mancarle, per andare sulle prime pagine.
Parliamo di Claudia Cantisani, qui. Una Cantisani che già era stata folgorante all’esordio qualche anno fa, e che il secondo album ci fa ritrovare più matura, anzi matura in toto: autrice ironica e originale, compositrice fantasiosa e talentuosa, voce scintillante, vigorosa, acrobatica, ben sfruttata tra chiaroscuri e un’intelligente teatralità.
Nelle sue canzoni Claudia Cantisani dice tantissimo facendo finta di divagare, propone bella musica che però arriva dritta a cuore e orecchie senza ampollosità di sorta, è in pratica -per capirci- una sorta di reincarnazione al femminile dell’icona Fred Buscaglione e del miglior Sergio Caputo; senz’altro, e oltre ogni paragone, è artista destinata a farsi ascoltare, apprezzare, seguire a lungo. Magari pure traghettando il tanto bello della cultura musicale jazz-swing di ieri, di cui è ampiamente consapevole, verso una sua parafrasi, multicolore, nell’oggi.
Claudia Cantisani è nata a Formia e ha studiato, nell’ordine: canto lirico, tecnica vocale jazz, come si scrivono i testi (questo al CET di Mogol). E certo ha studiato molto bene.
Introdotta dal già non per caso citato Sergio Caputo, che in ormai quasi scomparse note di copertina la paragona (anche qui, non per caso) a Mina e Caterina Valente, nel suo secondo album Claudia Cantisani propone nove brani inediti: scritti tutti da lei con la collaborazione del pianista Felice Del Vecchio ed eseguiti con un parterre di ottimi jazzisti nostrani fra i quali spiccano i nomi di Felice Clemente, Tony Arco, Tommaso Scannapieco.
Il risultato? Beh, se proverete a dare ascolto alla Cantisani all’inizio di un vostro weekend, decisamente per voi il weekend inizierà benissimo.
Visto che il suo album, che parte con la title-track “Non inizia bene neanche questo weekend”, dimostra subito cosa significhi fare swing contemporaneo e cantautorato jazz briosi e femminili, arguti ed eleganti, compresi della tradizione e modernissimi. Poi “Il mio vecchio coupé” sfodera buongusto compositivo e fantasia testuale in un insieme deliziosamente sorridente, e “Via vai” fa esplodere l’entusiasmo fra la spettacolare tromba cool di Marco Mariani e le seconde voci magnifiche della medesima Claudia, dentro un pezzo dall’anima blues nel quale spleen maestoso e azzeccati sviluppi danno sfogo a un testo teatrale non privo di suggestioni poetiche ma soprattutto capace d’intensi e acutissimi sguardi di critica sociale.
Poi “L’entusiasta”, che crediamo volutamente sia un po’ jannacciana e un po’ gaberiana, è altro gioiello di satira squisita, esercitata con garbo e sferza e messa in musica con classe spigliata e intelligente; e pezzi tipo “Come sarà” danno la cifra ben precisa d’una scrittura originale al cubo, diversa da qualsiasi altra, che colloca parole impreviste e imprevedibili su atmosfere intriganti d’antan qua e là deliziosamente svisate giungendo addirittura a cantare -sempre facendo finta di nulla- un amaro bilancio generazionale.
Insomma, non c’è che da scegliere, davanti a dischi come questo: anche un ascolto a random può dare emozioni.
Pararvi innanzi un saltellante e beffardo omaggio all’ingenuità romantica degli standard degli anni Quaranta (“Come in un classico del jazz”), svelarvi un’interprete intensa e un’autrice d’alto bordo in un esempio di cantautorato colto alla Paolo Conte (“Dimenticare il flamenco”), toccarvi con un altro omaggio commosso e sbarazzino al passato del jazz: in quella “Un paradiso del jazz” che per fantasia e spunti ironici conferma una personalità matura, compiuta e convincente. (Nonché, fra l’altro, già debordata in un ulteriore singolo fuori dal disco, “Fredaster”, con Andrea Agresti delle “Iene”). Non abbiamo citato solo “Tramonti andati”, ma va da sé che non abbassa la media: da come, in modo elegante e sinuoso, tracima di melanconia (che sorride) e sentimentalismo (che punge).
Come si scriveva, all’inizio? Che si trova difficile individuare cosa manchi, a Claudia Cantisani, per finire in prima pagina.
Ma forse, azzardiamo, è che mancano prime pagine. Prime pagine che non mirino soltanto all’ovvio, che non parlino solo di pochezza.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare, “Il mio vecchio coupé” (dal vivo in quintetto):
https://www.youtube.com/watch?v=FXgKB7VSpJw