Guappecarto’
Sambol – Amore migrante
(Koudju / CSB / RFI)
Davvero la musica italiana nasconde tra le sue fila eccellenze notevoli; e anche se in questo caso non vogliamo parlarvi di musica papabile per Sanremo o dintorni, fa comunque un po’ male che alla fine i Guappecarto’ lavorino per lo più in Francia, e Oltralpe pubblichino i loro nuovi album. Eppure i Guappecarto’ hanno qualità e comunicativa da vendere: nati a Perugia come musicisti di strada, sono stati notati subito -era il 2004- da un’attrice-imprenditrice italo-svizzera che li ha condotti a Parigi.
E da lì il quintetto (formato da musicisti italiani e francesi) ha iniziato una carriera portata avanti fra dischi di pregio, collaborazioni d’alto bordo (vedi Mauro Pagani), premi importanti (leggi i David di Donatello per l’apporto alla colonna sonora del magnifico film animato “Gatta Cenerentola”), oltre millecinquecento concerti dentro e fuori i confini della Francia -ma pure dell’Europa.
E oggi il nuovo album del gruppo è una sfida ulteriore, nel loro percorso; ma anche un progetto culturale non banale, nella misura in cui (sollecitati dalla figlia del compositore Mirjam, che li ha scoperti dal vivo) i cinque hanno riscoperto, valorizzato e portato al Duemila l’opera dell’artista d’origini croate Vladimir Sambol: un migrante del secolo scorso, che nella musica evocava inevitabilmente pure la tragedia delle migrazioni, la difficoltà di radicarsi, la perdita del contatto con la propria storia. Faccende che hanno permesso ai Guappecarto’, affrontando le sue partiture, di realizzare anche un album fortemente attuale e non di rado etico -nelle suggestioni che smuove.
Sambol, che era anche clarinettista e sassofonista jazz, nacque a Fiume nel 1913; e dovette presto emigrare fuori dalla ex-Jugoslavia, dirigendosi in Svezia dove si spense nel 1997. I Guappecarto’ si rifanno liberamente, alla sua musica; ma sempre rispettandola nelle sue basi essenziali, e modificandola solo per farne spunto di partenza ad osare un collegamento fra ieri e oggi, fra le ansie delle generazioni migranti di un tempo e le problematiche che s’addensano sugli orizzonti contemporanei di troppi popoli odierni. Alla fine del percorso, in pratica si coglie quanto la strada, la storia e il mondo intero possano ancora in un disco penetrarci l’anima con energia: se affrontati ed espressi con coscienza, qualità interpretativa, buongusto sonoro, non poca creatività. Come in “Amore migrante”.
Solo in “Anonimus Fiumanus”, che s’apre con una lunga citazione da vinile della musica di Sambol eseguita da Sambol stesso (lui al sax, la moglie Yone al pianoforte), il gruppo si limita -si fa per dire- ad agganciare lo ieri all’oggi, per un passaggio di consegne senza ulteriori sviluppi ma comunque molto intrigante ed emozionante: anche per il garbo messo in gioco.
Negli altri episodi della scaletta invece il canzoniere di Sambol è sviluppato, ribaltato, mescolato (spesso più sue partiture si fondono), ma ovviamente sempre rispettato e in questo modo appunto rivalutato: oltre che attualizzato.
“Vlado” evoca la forza dell’amore contro il degrado d’un mondo che separa gli uomini dagli uomini, tramite un impasto sonoro magnifico e un’allure di struggimenti che unendo sapori di speranza e disillusione spostano la tragedia del musicista del passato all’attualità dei barconi. Notevole anche il canto d’un’anima che s’apre alla speranza in “Amore migrante”, come l’energia straziata della delicata, striata, alla fine allargata allo swing “Chance”, il cui titolo sottintende di dare sempre chance all’amore, e ai veri valori dell’uomo.
Ma forse il top i Guappecarto’ lo raggiungono scomponendo l’originale di Sambol in “Balkanika”, facendo sopravvivere del suo portato ritmico solo un’eco e privilegiandone il cuore musicale elegante; oppure quando spostano le sue tonalità e in “Sorgen” (che in svedese significa “tristezza per un’assenza”) realizzano un capolavoro di scrittura frastagliata, intelligente, incisiva, un viaggio a ondate di dolorosa bellezza che portano l’ascoltatore dall’ombra al panico alla luce. E c’è spazio, nell’album, anche per gli sviluppi inattesi e il jazzato debordare dalla quiete alla frenesia di “Cvijetak”, e per la sfida vinta d’innestare nel linguaggio base del gruppo (popolare in senso alto, in parte etnico, al più fra swing e melodia d’autore) svisi elettrici e graffi distorti: nella maestosa, scura, oltre i canoni “Tango (Invocazione)”.
Quello che stupisce, insomma, è che sempre continui invece a mancare spazio -o almeno sembrerebbe così- per gente come i Guappecarto’ sulle ribalte della coscienza musicale italiana: vero è che “Amici” o Sanremo non dicono pressoché nulla della vera musica bella che abbiamo (grande pop compreso, ormai); però farci soffiare sotto il naso dai francesi i “nostri” Guappecarto’ ci pare ulteriore sintomo d’uno stato dell’arte inaccettabile, nel cosiddetto Belpaese.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare, “Sorgen”:
https://www.youtube.com/watch?v=RQ1BGZqS70Y