Prometheo D’un fuoco rapito, d’un giovane uomo, d’un amore insensato
(Falena Record)
Esiste un prog italiano del Duemila? A giudicare dall’album d’esordio dei baresi Prometheo, eccome.
I cinque ragazzi pugliesi, nati come band nel 2008 ma giunti ora al loro primo album, dopo un approfondito percorso di consolidamento del sound e affinamento della scrittura, nel lavoro che prende le mosse dal “Prometeo incatenato” di Eschilo non mettono in mostra solo personalità, gusto melodico e testi ben cesellati, ma si ergono proprio a degni eredi d’una tradizione prog italica quanto anglofona, fra eco della prima PFM o del miglior Banco e suggestioni in stile King Crimson.
Al centro della narrazione musical-testuale dei Prometheo non c’è solo il mito, né tantomeno soltanto l’opera originale greca: c’è anche (lo si coglie sin dai bei disegni del libretto) l’esigenza di valorizzare il portato contemporaneo di storie e leggende trasportandone i significati dentro l’oggi; qui in particolar modo per cogliere come la presunta e spesso vanagloriosa civiltà umana, ora come allora, sappia anche autodistruggersi e sminuirsi, nell’accompagnarsi per smania di potere o fraintesa coscienza d’assoluto a distorsioni etiche: anche notevolissime, e da denunciare con forza.
Ed un altro punto di forza dei Prometheo sta nel compiere quest’operazione di consolidamento dei valori di sempre dentro una dimensione attenta all’attualità, senza intellettualismi o concettosità, anzi tramite un bel percorso testuale molto rispettoso delle fonti quanto di chiarezza assoluta; che spesso sanno esprimere con classe in modo lirico, e che però nella spettacolare “Quel che vide la rupe” sanno pure rendere coraggioso canto politico (e di pietas) direttamente dedicato a noi del Duemila.
Musicalmente, il rock progressive dei Prometheo, affiancato qua e là di riferimenti colti o folclorici grazie anche all’azzeccato dilatare la band tramite un violino e tre belle voci femminili, è rock brillante e maturo, che alterna con sapienza da rimarcare pianissimi e fortissimi, chiari e scuri, e si sviluppa in un percorso compositivo d’evidente consapevolezza classica cui danno vigore, teatralità e modernità ottime capacità strumentali nonché una certa abilità nello sviluppare temi e forme in ampiezza e profondità ambedue variegate.
Così “Prothós”, che esplicitamente rimanda a Liszt, evoca l’arcano con spessore sin da subito; e poi si susseguono, tutte ben centrate musicalmente e senza mai rubare spazi ai contenuti, le aperture maestose de “Il ratto del fuoco”, lo spettacolare e terrigno crescendo di “Fuga”, la sfida tesa e continua di “Canto I”, il movimentatissimo prog “classico” di “Guerra dei Titani”, la già citata “Quel che vide la rupe” lavorata con raffinatezza ritmico-polifonica, la suite tripartita “Il segreto” cui le voci femminili donano fragranza ed efficacia, il sapore insieme antico e moderno, ovvero classico e rock, della finale “Eschatos”.
Col picco, ad esser schietti fra molti picchi, forse di “Una prigione d’aria”: inizialmente elegiaca e col violino in primo piano, poi via via mediterranea, ed etnica, indi capace di rock distorto e duro. Insomma, un esempio di scrittura elegante e colta, melanconico-introspettiva nelle sue riflessioni, che sa continuamente rinnovarsi stando in bilico fra slanci pop davvero eccellenti e azzardi compositivi-arrangiativi-strumentali d’altissimo bordo.
A giudicare dai Prometheo, dunque, il prog italiano non solo esiste anche nel Duemila: ma è pure a livelli che ricordano da vicino la magica stagione del genere, negli anni Settanta.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare, “Il ratto del fuoco” (Official Video):
https://www.youtube.com/watch?v=38PmsIy0cCE