Home Da ascoltare “Pop, rock, jazz… e non solo” Gero Un anno in più

“Pop, rock, jazz… e non solo” Gero Un anno in più

Gero
Un anno in più
(Carioca Records)

            Sanremo… cosa? E le major… chi? No, scusate, perché viene davvero da chiedersi chi e cosa ci sia, dietro baracconi circensi tipo Sanremo, i talent e certe discografiche che spendono e spandono per brutti esempi di nulla, quando si è freschi freschi di inutilità tipo Leo Gassman, Junior Cally o le schifezze rifilate da cantare alla pur brava Elodie, e ci si trova ad ascoltare faccende come Gero.

Grafica Divina

Il quale è un cantautore siciliano classe ’87, non giovanissimo ma certo giovane, solo al suo secondo disco (a dieci anni dal debutto, pure), prodotto da un’etichetta valida ma certo non una major, la Carioca Records. Eppure. Eppure in questo disco ci sono idee, suoni nuovi, belle canzoni: pure radiofoniche, guarda un po’, ma soprattutto superiori secoli luce a quello che mediamente ha risuonato nell’ultimo Sanremo o viene infilato nei cosiddetti “capolavori” dei figli dei talent.

Gero, musicalmente parlando, propone elettropop agile, a tratti lieve, mai banale: cui appoggia buon piglio d’autore in testi che spaziano fra contenuti vari, taluni profondi talaltri non profondi e però originali sempre, persino usando il rap poco e non in maniera modaiola o insulsa, ma come colore possibile per variare gli special dei pezzi.

Per far capire l’ampiezza e la solidità del mondo autoral-musicale in cui Gero si muove molto bene, si potrebbero citare il miglior Raf e la lezione (che pochi seguono, ahinoi) del cantautorato gentile e colto di Joe Barbieri. Ma tenete questi riferimenti solo per intenderci, ché Gero è sé stesso, fra sonorità e parole, in modo più che sufficiente per meritare un ascolto senza confronti o paragoni: forse, semmai, è tanto autosufficiente rispetto a ciò che mediamente viene prodotto che vien da pensare che sia per questo, che certe opportunità non le ha avute.

            Peggio per i festival, i talent e le major, però. Gero può andar fiero, del suo album che canta dell’amore che salva in modo orecchiabile e affascinante (“L’amore salva”), poi spruzza emozione e un poco d’ironia su un addio (“Veleno”), indi danza in modo solare per riflettere su un auspicabile divertirsi pulito dei giovani (“Un’estate a ritmo di dance”), infine con garbo acustico e sviluppi raffinati sottolinea che occorre passione per dar corpo a un vivere adulto (“Un anno in più”).

E se “Tutto quel poco che ho” vaga verso la canzone d’autore arricchendone le emozioni con gli archi e col rock, mentre parole forti costellano il groove intenso e il mood sospeso di “L’ultimo piano”, alta riflessione sul prevalere sin troppo diffuso delle apparenze sui contenuti, a questo punto dell’elenco dei brani in tracklist colpisce che ancora non abbiamo citato i due capolavori dell’album.

Il primo è “Svuoto il bicchiere”, brano dolcissimo e intenso con chiusa teatrale amara che fa male assai, col quale Gero ha raccontato da prospettiva inedita quanto sensibile la quotidianità a confronto con l’eroismo: ovvero il rapporto tra la giovane Fiammetta e suo padre Paolo. Per la precisione Paolo Borsellino, di cui si ripassa la vita dai turbamenti prima dell’attentato sino al momento della tragedia, abbinando la sferza violenta della denuncia necessaria a una profonda riflessione sui valori difesi dal giudice sino al sacrificio.

E in “Yemen”, che come si evince dal titolo parla di Medioriente, guerra, ancora dolore inutilmente provocato dall’uomo all’uomo, la prospettiva di Gero ha saputo essere ancora fuori dal coro, ancora sensibilissima e particolare, per narrare l’incubo attraverso un inusuale assai rapporto padre-figlio: pure su musica che convince, e prende, non poco.

            Ora qualcuno, certo, potrà anche dire che Gero deve crescere, non è Guccini e non è ancora nemmeno Raf: e al secondo disco, dire questo ci sta. Però intanto questo ragazzo si è preso un decennio, per essere sicuro di realizzare qualcosa di valido e non di aleatorio, e ciò è segno di grande serietà e voglia di dar valore alle proprie idee, e poi… Ma non è che debba crescere anche il nostro mainstream? Che debba cambiare invece chi sta dietro a Sanremo, ai posti di potere delle grandi industrie? Perché ascoltando Gero, che in certi circoli non ha visibilità, viene proprio da chiedersi… Sanremo cosa? Major chi?

E forse anche, se non soprattutto… Sanremo, talent e major: ma perché?!?

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “Svuoto il bicchiere”:
https://www.youtube.com/watch?v=Yrbo0wkskYc

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Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

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