Home Da ascoltare “Pop, rock, jazz… e non solo” Nérija Blume “Domino”

“Pop, rock, jazz… e non solo” Nérija Blume “Domino”

Nérija
Blume
(Domino)

            Nubya Garcia, sax tenore; Sheila Maurice-Grey, tromba; Cassie Kinoshi, sax alto; Rosie Turton, trombone; Shirley Tetteh, chitarra; Lizy Exell, batteria. Aggiungete a questi nomi di (ottime) musiciste “rosa” il basso di Rio Kai, e avrete Nérija: più che gruppo, un collettivo al femminile (Kai ci scuserà) che insieme ad altre faccende sta rivoluzionando la scena jazz europea, partendo da una Londra sempre più in fermento e ben attenta a miscelare storia e cultura “nostre” con Africa e mondo, per shakerare in maniera inedita -almeno in questo caso- Afrobeat, funk, club, classica, stelle e strisce e Sudafrica.

Le Nérija, all’epoca tutte e sette donne, avevano debuttato nel 2016 con un folgorante Extended Play: questo “Blume” è il loro debutto discografico su album, che ne conferma talenti, idee e portato a tratti rivoluzionario. Intanto compongono tutte, queste signore, e sanno farlo; inoltre avendo tutte forte personalità musicale emergono alternandosi in maniera sublime, ma senza mai perdere di vista non solo un concetto d’insieme, ma anche un vero e proprio impasto collettivo riconoscibile a livello sonoro.

Grafica Divina

Certo non si possono non notare, nel gruppo, il chitarrismo a tratti strepitoso della Tetteh o la batteria di una Exell che sa essere virtuosista scatenata quanto usare in modo energico e calzante l’eleganza astratta delle spazzole (vivaddio: non si sentono quasi mai, oggidì…), senza parlare della voce sassofonistica della Garcia, veramente notevole; però ciò che conta è che le Nérija rivoluzionano il jazz, ci pare, partendo proprio dalla comune e collettiva femminilità.

Cioè come poche volte è capitato nella storia, tanto che sicuramente al di là delle grandi voci viene da citare forse solo (e su altri linguaggi) Mary Lou Williams, l’esser jazziste donne consente loro la capacità di approfondire di più, di sviluppare in direzioni inusuali, di cesellare minuziosamente come mai le cellule di partenza, dentro un interplay coeso come pochissimi che però -attenzione- non perde mai d’energia malgrado spesso si concentri su sfiziosi primi piani sonori.

            “Blume” significa fiore: e il fiore proposto dalle Nérija nel loro CD d’esordio è molto colorato. In una scaletta che qua e là scivola un poco nell’easy listening da club, ma senza farsi male più di tanto e restando nell’insieme notevole. Solo “Partner Gilfriend Lover”, che rischia l’estetismo divagando fra eco da big band e sonorità alla Frisell, e l’accattivante ma un poco labile “Equanimous”, che pare esercizio di stile, potrebbero essere saltate nell’ascolto. Il resto è interessante, a volte emozionante, spesso da conoscere.
Si parte con tocchi afro nell’impianto solido e avvolgente di “Nascence”, brano di chiaroscuri fra ritmiche nitide e trombe eteree; poi “Riverfest”, intarsiata di screziature ritmiche e chitarre strepitose che emergono da nuvole di fiati; indi “Last Straw” dove i quattro ottoni sembrano un’orchestra e la delicatezza convive con l’intensità dentro un viaggio di soli maiuscoli, aperture intelligenti ed eco cubane; e ancora “EU (Emotionally Unavailable)” riscatta qualche passaggio da club con piccole acidità, ed evoca il soul in modo sornione quanto raffinato; e la title-track “Blume” (ripresa anche sul finale) ha un convincente mood spiritual-intimista, che qualcuno con acume ha ribattezzato “cool-gospel” cogliendo le due anime del vivere, l’apparenza e l’anima, che il jazz femminile delle Nérija ha il merito di mettere sullo stesso piano e far incessantemente dialogare.

            Nell’album compaiono anche una “Unbound” di gran classe, equilibrata fra mille spezie sonore, e la tecnica sublime che mai si fa tecnicismo di “Swift”, forse non un capolavoro come scrittura ma senz’altro come interpretazione tostissima per difficoltà e squassante come impatto. E giunti a una sintesi dell’insieme, possiamo dire che siamo senz’altro di fronte a un jazz “nuovo”, per alcuni versi certo da rifinire ma già messo in scena con intelligenza, consapevolezze tecniche e inventiva da una band solidissima: la cui essenza “diversa” dal solito fa sì che mille sapori antichi vengano ricalibrati verso l’oggi e il futuro, grazie al susseguirsi di numerosi maturi passaggi compositivi che portano a un jazz sorprendentemente multicolore e luminosissimo.

Dunque non perdetele, queste signore del jazz del Duemila in concerto: il 21 febbraio saranno al Monk di Roma, il 22 al Biko di Milano.

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “Last Straw”:
https://www.youtube.com/watch?v=oI_aH1Nj_wc&list=PLrd2GvGpG4gkxl_bJqLItJZ99PX4fJo6U

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Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

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