Mina / Ivano Fossati
Mina Fossati
(PDU/Il Volatore/Sony Music)
Uno dei principali eventi del 2019 italiano in musica è stato senz’altro l’incontro su disco di due dei nostri più amati e validi giganti: da una parte lei, “la” voce per eccellenza, che s’è ritirata nella notte dei tempi ma da allora sforna comunque un disco all’anno, a volte pure più d’uno; dall’altra lui, uno dei cantautori più colti ed autorevoli della storia, pur’egli ritiratosi otto anni orsono ma in realtà soltanto dai palcoscenici, nonché dall’idea di dischi in proprio.
L’ipotesi di un disco per (e addirittura con) Mina, ovviamente, era invece per Ivano Fossati un’occasione straordinaria da non perdere, oltre che un’ulteriore certificazione della qualità assoluta del suo lavoro. Mina e Ivano Fossati, sì: si parla qui di questo storico duo, con tanto di rentrée discografica del secondo e nuovo capitolo d’una lunga serie di omaggi a giganti della canzone per la prima; la quale peraltro veniva da tanti anni di dischi non tematici, alcuni come l’ultimo “Maeba” molto belli, ma non si dedicava a repertori specifici dall’album di Natale del 2013, e a cantare un collega da lei apprezzato addirittura da quando nel 2005 con “L’allieva” omaggiò Frank Sinatra. (Il disco dell’anno scorso dedicato a Battisti, lo sottolineiamo per chiarezza, era una raccolta in verità di interpretazioni già note: con un paio di inediti soltanto).
E quanto è sortito dall’incontro di siffatti titani, ovvero il CD “Mina Fossati”, è un gran bel disco: scriviamolo subito onde evitare equivoci, non è un’operazione commerciale o di marketing; per quanto abbia avuto inevitabilmente anche sfumature di quel genere.
Si tratta d’un’infilata di belle canzoni arrangiate con gusto e suonate con classe “antica” fra jazz ed entertainment d’alto bordo – con qua e là guizzi rock o esplicitamente cantautorali, ma pure teatrali – e contenente appena piccole sbavature.
Per la precisione: anzitutto il dubbio se davvero Fossati non potesse vergare qualche testo in più dedicato non già all’amore bensì all’oggi o al senso del vivere, come dimostra di saper fare in modo ancora maiuscolo nelle uniche due pagine che nel CD d’amore non trattano, “L’infinito di stelle” e “La guerra fredda”; e poi la perplessità sullo scivolare dei due -in un paio di pezzi- nel piglio un po’ ovvio e a tratti retorico di duetti “alla Celentano”, banalotti e prevedibili, nel caso intitolati “Amore della domenica” e “Niente meglio di noi due”.
A parte però soprattutto il secondo dei due pezzi testé citati, ché “Amore della domenica” possiede comunque fragranza anni Sessanta molto gradevole, il disco resta d’alto profilo; e piccole slabbrature o (per noi) mancanze non ne scalfiscono più di tanto una grana media ben più significativa rispetto a quanto si senta in giro: nonché all’altezza della storia d’autore di Fossati e della bellezza (ancora palese, a tratti sfacciatamente sbalorditiva) della voce di Mina.
L’inizio dell’album è folgorante, col sapore della grande musica d’una volta che si respira nella delicata, intensa, suggestiva “L’infinito di stelle”: dotata pure d’un testo molto bello, “alto” per profondità di riflessioni. Poi con “Farfalle” si entra in una dimensione giocosa, a tratti pure beffarda per non dire caustica, che il pezzo sviluppa efficacemente nel contrasto lui-sferza/lei-ironia, e che tornerà nella tracklist con la gustosa e un poco piccante “Tex-Mex” e la muscolosa, saltellante “L’uomo perfetto”: sorta quest’ultima de “La mia banda suona il rock” in versione semplificata e ironica, aggiornata al 2019 su tema amoroso.
Il meglio il disco però lo riserva nell’eleganza e nella qualità compositiva delle ballad: in primis fra le note d’una “Meraviglioso, è tutto qui” molto old style e però bella bella, che su musica maiuscola presenta una Mina al top, solare, intensa, “vera”; ma attenti anche al piglio radiofonico con tanto d’elettronica di “Ladro”, arrangiamenti sfiziosi, Mina dilagante in veste quasi d’attrice con sfumature jazzate e Fossati valida spalla, e alla vagamente sudamericana “Come volano le nuvole”, racconto al maschile d’un amore immaginato detto tra un refrain spiazzante e una Mina che apre l’ascolto a emozioni insolite.
È “La guerra fredda”, comunque, il vertice di “Mina-Fossati”: un Fossati doc, meditabondo e arguto, colto e intenso, musicalmente ispiratissimo, che dona alla compagna di viaggio un gioiello cantautorale di soffusa eleganza: e lei che ricambia dando al pezzo -che parla di tempo perduto, tempo sperato, umanità in cerca di senso- una marcia interpretativa unica, vibrante, inarrivabile.
A completare la scaletta manca a questo punto solo un brano, la traccia 6 intitolata “Luna diamante”: che però non si può paragonare sino in fondo col resto del disco… in quanto qui Mina è solista, Fossati appare solo come seconda voce nel finale. Però che Mina, e che pezzo. Lei misuratissima, assorta, intensa; la ballad strepitosa, d’autore e d’impatto, che vola dentro l’anima parlando di rinascite sentimental-umane possibili con grazia da entertainment di prim’ordine e un piglio di scrittura e interpretazione più “francese”, alla Aznavour per dire, che non “americano” o “italiano”, dunque fatto d’introspezione e struggimenti più che d’effetti vocali o intellettuali.
Insomma, sopra si diceva di questo “Mina-Fossati” come di un evento: certo lo è, ma soprattutto, semplicemente, è un bel lavoro. Con un Fossati che conferma la propria classe e una Mina che, quando ha davanti faccende di livello, alla grande sa ancora confermare d’essere… Mina. Il che, a quasi ottant’anni, oltre che essere una bellissima notizia è anche, ci pare, faccenda da standing ovation.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare, “La guerra fredda”:
https://www.youtube.com/watch?v=7RU1cnEtfAo