Carmen Souza
The Silver Messengers
(Galileo Music Communication)
Horace Silver, nato a Norwalk nel 1928 e scomparso a New Rochelle giusto cinque anni fa, in realtà si chiamava Horace Ward Martin Tavares Silva; e per questo, nel suo importante apporto al jazz pianistico statunitense e mondiale, l’hard bop si è mescolato non solo con riferimenti black ma pure coi colori delle sue origini, quella Capo Verde terra natia del padre.
È perciò piuttosto normale che la trentottenne Carmen Souza, portoghese d’origini capoverdiane, abbia sentito l’esigenza d’omaggiare Horace Silver facendosene esplicitamente “messaggera” e importando le composizioni dell’artista nel suo percorso alto di “world soul del ventunesimo secolo”: come ha detto nientemeno che David Sylvian.
Nasce così “The Silver Messengers”, nuovo album di Carmen Souza ed ennesima sua prova raffinata a un livello altissimo, nonché come sempre di lievità scintillante all’ascolto, che attraversando più mondi con personalità buca l’anima e rilancia una musica “nuova” verso l’infinito, o se preferite il domani adombrato da Sylvian.
Forse però in questo caso “infinito” è il termine più giusto, stante un intendere la musica quale missione, di comunicazione-divulgazione di valori etico/spirituali, che è fra le tante convergenze che hanno spinto, fra l’altro, la Souza ad omaggiare Silver: artista che per certi versi ha agito nel jazz col piglio d’un Coltrane, pur se su frontiere musicali differenti.
L’album di Carmen è dunque anzitutto, e sempre esplicitamente, un (riuscito) tentativo di farsi portavoce non solo d’una vasta eredità compositivo-musicale, ma soprattutto di un’eleganza artistica mai come oggi necessaria nel mondo, e d’una sensibilità profonda con cui nella musica rileggere, spronare, medicare quello stesso mondo oggi tanto imbarbarito, purtroppo, anche sul piano della musica che vi dilaga.
Si scriveva d’un tentativo riuscito, sopra, pur a fronte di cotante intenzioni, e questo giudizio va sottolineato: grazie in primis all’uso di sonorità “vere”, genuine, che riaccostano l’orecchio a un far musica che apre il cuore, e da una voce con cui Carmen Souza graffia ma anche gioca, ammicca e poi volteggia, riecheggiando -ci pare- più Nina Simone che Cesaria Evora (è un complimento altissimo, per chi scrive) dentro un mondo di arrangiamenti insieme misurato e d’enorme impatto emozionale.
“The Silver Messengers” si compone di undici brani, dei quali ben otto provengono da storici album di Horace Silver; e sono nove se si conta anche “Kathy”, che Silver non ha scritto ma nel ’72 ha inciso rendendola propria. Su molti di questi brani Carmen Souza ha pure osato inserire suoi testi originali in creolo, con l’intento palese di rendere ancor più chiari i messaggi etici, di denuncia o anche solo di riflessione o sprone alla serenità della musica di Silver.
Unica eccezione in questo senso è “St. Vitus Dance”, datata ’59, in cui il canto è vocalese libero, che diventa scat-jazz maestoso su sfondi prima minimalisti e poi alla New Orleans, in cui il canto è stato voluto quale ulteriore strumento, che osasse però nientemeno che il solo pianistico originario di Horace Silver nell’LP “Blowin’ the Blues Away”. E anche se qui il messaggio è dunque “soltanto” che la musica è qualcosa di sublime, per chi la sa fare e chi ne ascolta di giusta, musicalmente siamo di fronte a uno dei vertici dell’album.
Altro vertice è il capolavoro di Silver, o perlomeno uno dei suoi pezzi più storicamente rappresentativi, “Song For My Father”: che sempre con testo inedito regala sei minuti di musica d’una bellezza assoluta, più che “latin jazz” vera e propria musica world (e classic, se ce lo si consente).
Poi l’album spazia fra il messaggio per un vivere consapevole da tendere al bello espresso in “Soul Searching” con echi Motown, l’hard bop d’accento etnico capoverdiano di “The Jody Grind” (pezzo da cui si coglie bene, come una ritmica bella e sfaccettatissima sia spina dorsale del lavoro sostituendosi in questo, rispetto agli originali e assieme alla voce, al pianoforte), e ancora l’apertura brasiliana d’alto bordo e sensuale di “Kathy”.
Poi vanno citate almeno anche la spiazzante e danzante “Nutville”, in cui la Souza innesta attualissime liriche contro lo scambiare il virtuale per realtà, la deliziosa e ancora senza tempo “Pretty Eyes” che Silver incise nel ’66, e soprattutto “Señor Blues”, sinuosa e noir, con una voce maestosamente blues che Carmen giura sia il suo primo tentativo di osare tale linguaggio: ma se è vero e non è pudore, trattasi d’un “debutto” da standing ovation.
Il disco completa la sua tracklist anche con due inediti assoluti, scritti per omaggiare in modo esplicito l’Horace Silver artista, che sono inevitabilmente meno alti delle composizioni di lui ma comunque convincono: “Lady Musika” per ritmiche tese, ragnatele di chitarre, aperture intense; e “Silver Blues” per come in modo elegante ma strutturalmente complesso Carmen Souza vi rilanci eredità valoriale e visione musicale d’avanguardia del grande jazzista.
Coi suoi “Silver Messengers” intesi come eccellente band già ovviamente nel CD, ovvero Theo Pascal basso e contrabbasso, Elias Kakomanolis percussioni e batteria e Benjamin Burrell pianoforte, ora Carmen Souza (voce e chitarra) sta traghettando il disco alla gente in un lungo tour mondiale, che toccherà l’Italia con tre date ravvicinate: il 27 novembre al Bravo Caffè di Bologna, il 28 al Blue Note di Milano, il 29 a Roma nell’ambito del “Rome Jazz Festival”. E l’impressione è che, se possibile, siano concerti da non mancare.
Articolo di: Andrea Pedrinelli
Da ascoltare/guardare, “Song For My Father” dal vivo:
https://www.youtube.com/watch?v=YGZc2QEFm1A