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“pop rock jazz…e non solo” Van Morrison

Van Morrison
Three Chords & the Truth
(Exile/Caroline International)

            È una bella gara, quella fra Willie Nelson e Van Morrison: una sfida a distanza fra due giganti che, pur se in età di per sé pensionabili, continuano imperterriti non solo a produrre album: ma pure tanti, di inediti, e uno via l’altro. Nello specifico il grande cantautore nordirlandese, 74 primavere e spiccioli, con “Three Chords & the Truth” è giunto al sesto disco in quattro anni: ed anche questo ennesimo album è da lui prodotto e quasi in toto pure scritto, nonché ulteriore prova d’una classe infinita.

Grafica Divina


Nel nuovo lavoro Van Morrison tocca molti temi importanti e qua e là sfiora struggenti corde autobiografiche, ma senza mai che l’eventuale possenza delle liriche vada a incidere sul potere d’una musica che rimane sempre molto curata, libera, viva e vitale. Oltre che suonata davvero, con chitarre e organo Hammond in primo piano, per un impatto ruspante e verace che piacerebbe molto a Brian Eno, visto che egli di recente ha sottolineato l’impoverimento, della musica odierna fatta ai computer.

I computer se ci sono in Van Morrison non si avvertono, s’avvertono semmai svisi efficacissimi da palcoscenico (come nel finale di “Dark Night of the Soul”) così che gli strumenti affiancano sempre magnificamente una voce screziata d’esperienza e verità, ancora ammaliante, sempre in grado d’equilibrare bene graffi e carezze.

Solo pochi brani, in una scaletta di ben quattordici inediti, paiono nel lavoro di mero alleggerimento, forse boccate d’aria fra riflessioni dense: e fra essi comunque piacciono ugualmente “Read Between the Lines” e soprattutto il rock anni Cinquanta di “Early Day”, solo “Does Love Conquer All?” delude, banalotta parentesi easy listening. Certo però il cuore del Van Morrison di fine 2019 sta altrove a partire dalla title track, r’n’b toccante avvolto di chitarre che canta d’un dono della musica ricevuto sin da bambino, quando l’artista venne ammaliato dal “tiro” musical-spirituale delle campane della chiesa. Sul piano delle riflessioni personali e, diciamo così, assolute, assieme al brano che gli dà titolo nell’album spicca anche il pezzo finale, arguto e intenso, in parte basato su una melodia tradizionale, “Days Gone By”: il quale canta l’orgoglio d’essere invecchiati senza rinunciare a cercare gentilezza negli altri.

E bel canto di speranza e voglia di vivere è anche la ballad “If We Wait for Mountains”, scritta da Van Morrison con Don Black paroliere di tanti musical di Lloyd Webber, il cui significato -banale ma non troppo- è che basterebbe guardarci intorno, per capire la fortuna del vivere e impararvi a volare.
Più “politiche”, beninteso in senso alto, sono invece altre tracce. “In Search of Grace” è il ribadire un’inesausta ricerca di libertà, fantasia, pace, anche davanti al rimpianto per la lontananza dagli anni degli slanci, il biennio 1967-68: in questo brano una struttura solida ma danzante chiama con grande forza, a chi ascolta, la condivisione di memorie e consapevolezze. Mentre il vigoroso blues arricchito di sax di “Nobody In Charge” è un vero e proprio grido contro i troppi lavaggi del cervello che subiamo in un mondo d’oggi nel quale -dice con forza Van Morrison- nessuno si assume ormai alcuna responsabilità, dalla politica alla vita di ogni giorno, e tutti preferiscono invece assomigliare alle famose tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano.

Un’autobiografia non priva di risvolti d’esempio per le nuove generazioni emerge poi nel CD quando Van Morrison affronta “Fame Will Eat the Soul” duettando con Bill Medley dei Righteous Brothers, svelando la difficoltà di tenere sotto controllo le tentazioni della fama bottiglia in primis; e c’è un’empatia sincera col proprio ieri anche nell’allure nostalgica, dolciastra e vagamente country (fra slide guitar e armonica) di “Bags Under My Eyes”, ovvero le borse sotto i miei occhi.
Infine, in un album come avrete ormai inteso davvero intenso e riuscito, c’è spazio anche per musica d’alto bordo che “si limita” a colpire liricamente, con delicatezza poetica o riflessione filosofica. La delicatezza sgorga copiosa dall’iniziale, melanconica ma energica “March Winds In February”; riflessioni intense sull’uomo dilagano, andando in profondità, nell’incedere sospettoso, brunito, sensuale di “You Don’t Understand”.
Van Morrison sta attualmente portando questo lavoro in tour negli USA, a marzo sarà a Londra: però vien quasi da sperare che, malgrado appunto l’età, torni presto pure in studio e continui a sfornare album inediti. Almeno: se i risultati son questi… 

Articolo di: Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “Three Chords and the Truth”:
https://www.youtube.com/watch?v=zhZFCKB2rP8

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Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

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