Home Da ascoltare “pop rock jazz…e non solo” Alice Ricciardi – Pietro Lussu

“pop rock jazz…e non solo” Alice Ricciardi – Pietro Lussu

Alice Ricciardi – Pietro Lussu
Catch a Falling Star
(Gibigiana Records)

Sfugge i generi perché è musica pura affrontata con cultura e purezza, questo raffinato, emozionante album fatto di piume e pietre, pause e contrappunti, che attraverso un percorso nobile (ma non privo d’azzardi vittoriosi) fa esplodere i mille colori possibili d’uno spartito in modo assoluto quanto intelligente, attento, garbato. E pur trattandosi d’un disco “a due voci”, quella umana e quella del pianoforte, non c’è mai un attimo di noia né un momento di pretenziosità, nella scelta di Alice Ricciardi (voce) e Pietro Lussu (piano) di tenere in primo piano -assieme ai loro due “strumenti”- il valore delle parole dei testi e l’importanza delle linee armonico-melodiche delle composizioni, senza compiacimenti né eccessi di virtuosismo ma anzi con grande rispetto e cultura.

Grafica Divina

Alice Ricciardi, che tiene concerti negli States dove un gigante del jazz come Ran Blake l’ha paragonata persino ad Abbey Lincoln e Mahalia Jackson (si è detto niente…), inietta nel progetto una vocalità oltre che notevole e capace d’equilibrismi imponenti, la sua capacità interpretativa abile nei chiaroscuri e nelle profondità narrative, che sa farsi ora sensibile ora sensuale, ora vitale ora sussurrata.

Mentre il pianismo di Lussu, delicato ma solido, gioca sui virtuosismi solo in maniera alta: rimandando nell’uso della sinistra a certe intuizioni d’un McCoy Tyner; e grazie a ciò sa rileggere spartiti notissimi uscendo da ogni schema ed evitando qualsivoglia convenzione. In più, c’è il Piano Fender qua e là ad ampliare lo spettro sonoro del viaggio dei due, dando modo al pianista d’osare qualche spruzzata di swing e alla coppia -specie nel brano di Steve Lacy, “Utah”- di spostare ulteriormente oltre l’ovvio i loro azzardi.


In scaletta Ricciardi e Lussu mescolano quattro loro inediti (il più interessante musicalmente parrebbe “Y-Am”) con scelte d’alto bordo dal songbook più nobile dell’entertainment USA: anche se poi è forse il guizzo di rileggere “Good Vibrations” dei Beach Boys, a dare la misura della forza del loro progetto, dotando il capolavoro di Brian Wilson e Mike Love d’un fascino inedito e di colori nuovi, ben sparsi nei meandri d’una rilettura profonda.

Il centro del repertorio però è fatto di grandi firme, Irving Berlin e Cole Porter su tutti; e sono i loro due brani (“Let’s Face the Music and Dance” e “What Is This Thing Called Love”) a spazzarci via d’un colpo dalla memoria le abusate abitudini dei crooner e di certi arrangiamenti industriali zeppi di suoni, abbellimenti, fisicità sostanzialmente pleonastica. Ricciardi e Lussu gli standard li scarnificano valorizzandoli e rafforzandoli, portando ascolto -ed emozione- al centro delle originali intenzioni degli autori: nel cuore delle linee di canto come di quelle d’accompagnamento.

E la faccenda funziona, colpisce, ammalia, anche in episodi più mossi (“Boys and Girls Like You and Me” di Rodgers/Hammerstein II), in pagine di sapiente alternanza fra virtuosismi vocali e spazi pianistici ben pensati (“Liza” di Gershwin), in gioielli quali “Sunday, Monday or Always” (di Von Heusen/Burke) con cui forse la coppia tocca un vertice d’arrangiamento, canto, rarefazione e profondità emotive.

Articolo di : Andrea Pedrinelli

Da ascoltare/guardare, “Good Vibrations”:
https://www.youtube.com/watch?v=MrgHxjl3jaQ

Articolo precedentePer Tornabuoni Arte il film Mambor di Gianna Mazzini
Articolo successivoCarla Fracci e Giovanni Nuti insieme per Alda Merini
Critico musicale e teatrale, è giornalista dal 1991 e attualmente collabora con Avvenire, Musica Jazz, Scarp de’ tenis, Vinile. Crea format tv e d’incontro-spettacolo, conduce serate culturali, a livello editoriale ha scritto importanti saggi fra cui quelli su Enzo Jannacci, Giorgio Gaber (di cui è il massimo studioso esistente), Claudio Baglioni, Ron, Renato Zero, Vasco Rossi, Susanna Parigi. Ha collaborato con i Pooh, Ezio Bosso, Roberto Cacciapaglia e di recente ha edito anche Canzoni da leggere, da una sua rubrica di prima pagina su Avvenire dedicata alla storia della canzone.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.