In libreria I tarocchi ti raccontano il nuovo libro di MariaGiovanna Luini.
Abbiamo incontrato l’autrice per farci raccontare qualcosa di più.
Ecco cosa ci ha detto…
In questo tuo ultimo libro esce spesso la parola “gioco”: cos’è per te?
Tutto è vibrazione, il gioco è un modo infallibile per aumentare la frequenza di questa vibrazione. Giocare è espandere i limiti accettabili (per ognuno di noi) della libertà, abbattere schemi, permettersi di oltrepassare cancelli altrimenti serrati.
Chiamiamo gioco una forma di libertà, ci fa comodo nasconderci dietro il pretesto della leggerezza per esprimere emozioni, sentimenti, potenzialità di cui altrimenti ci vergogneremmo o che tenteremmo di censurare parzialmente.
Il gioco ci rivela più di un lungo discorso serio in autoanalisi. Al di là di tutte queste parole, il gioco è una cura per ritrovare la centratura in se stessi e quello stato di rilassamento lieve che mette in moto l’intuito, la visione istintiva, l’autoguarigione. Molte relazioni problematiche iniziano a guarire grazie a un gioco, magari causale: accade perché le persone coinvolte si rivelano diverse dallo standard che hanno adottato per la vita quotidiana, e di solito risultano molto più aperte e disponibili (e migliori). Vive felice e più sano chi gioca un po’ ogni giorno: distrarre la mente dai pensieri pesanti ha la conseguenza di renderli meno invasivi e meno pericolosi per la psiche e il corpo fisico.
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Tante delle tue storie riguardano donne, forse più inclini ad avvicinarsi ai Tarocchi, ma non solo, ma sembra che chi si sorprende di più siano i maschietti…
Gli uomini hanno una capacità di autoguarigione incredibile: sono meno propensi a insabbiarsi nell’autocommiserazione o nelle false richieste di aiuto. Se un uomo vuole uscire da un disagio, lo vuole davvero: per la donna qualche volta non è così, la richiesta di aiuto è solo parziale e non è sorretta dalla decisione reale di stare meglio.
Nei Tarocchi la differenza non è tra chi richiede un gioco e chi no: gli uomini sono molto diretti nel dichiarare che non ci credono, ma perché no? Hanno voglia di vedere cosa viene fuori. E man mano che gli Arcani si manifestano gli uomini si rivelano esattamente come le donne, non hanno paura di ammettere che sì, stanno ritrovando parti di sé che non ricordavano.
In che modo i Tarocchi contattano l’inconscio?
Sono immagini, colori, forme senza parole. L’inconscio (chiamiamolo così, anche se non amo definirlo) è un meraviglioso magma, ha radici profonde che ci costituiscono e che non hanno voglia di stare a raccontare in modo convenzionale.
Come mai ci analizziamo per anni e non scardiniamo le reazioni cosiddette istintive o le abitudini di fronte ad alcuni stimoli? Perché evolviamo e quasi non ci riconosciamo, oppure sembriamo sempre uguali a noi stessi eppure un fuoco ribolle dentro e non riusciamo a dormire per l’ansia o temiamo che chi vive con noi muoia mentre è perfettamente in salute? Perché mangiamo fino a stare male dopo un certo genere di stress o quando usciamo con un nuovo partner oppure digiuniamo per assenza di fame quando un’amica ci tradisce?
Il passato, la narrazione della famiglia, dell’infanzia, dei traumi remoti non spiega e non giustifica: siamo noi a dare al passato un valore che in realtà non avrebbe. C’è altro, ed è dentro di noi: è una forza mutevole e potentissima che ci rende ogni istante diversi nonostante gli sforzi per sembrare stabili. Ogni volta che, in uno stato di relativa leggerezza, giochiamo con i Tarocchi o con qualsiasi altra figura e ci imbattiamo in questa o quella carta manifestiamo stupore, contentezza, paura, dubbio, perplessità, repulsione, eccitazione nel giro di pochissimi secondi: lo facciamo con l’espressione del volto, con i gesti, con mugolii o respiro contratto… Stiamo liberando l’Energia creativa, la forza che ci ha generato!
E ci sembra di riconoscere persone e relazioni negli Arcani, ridiamo perché attribuiamo nomi e caratteristiche alla Papessa, all’Imperatore, all’Impiccato. Inventiamo e ci sveliamo, ci osserviamo nudi perché stiamo giocando. Abbiamo l’illusione di nasconderci perché tanto è un gioco, ma ci stiamo specchiando. Parla molto più il silenzio rispetto a una frase di senso compiuto, e quel silenzio viene fuori e inizia a curare.
Quanto possono essere utili per conoscere se stessi?
Molto, ma li considero solo uno tra i tantissimi strumenti possibili, e comunque non ci si ferma lì. Non è lo strumento ad agire: è il desiderio di intraprendere questo cammino a essere fondamentale. Esplora se stesso chi realmente vuole farlo, e lo fa permettendosi di esistere senza interferire: ecco perché giocare con i Tarocchi (o con altre immagini varie, non importa quali) aiuta.
Idealmente dovremmo osservare le nostre reazioni alle immagini e al loro fluire, sentirle dentro di noi e lasciarle andare: inutile trascrivere o andare a studiare su testi esoterici, a meno che non si sia interessati al metodo e non alle risposte ottenute. Quando chiediamo una mano di Tarocchi e ci rimuginiamo per settimane stiamo dimenticando che è l’istante che crea, è l’ispirazione del momento a lasciare traccia in noi. Poi tutto evolve, cammina, progredisce.
A volte metto nella mia pagina Facebook qualche gioco di Tarocchi e non lo commento: è divertente vedere che ognuno interpreta a modo proprio ed esiste perfino chi crede di portare conoscenza oggettiva in ciò che è esclusivamente istintivo, misterioso, extra-razionale!
Cosa si intende per cura?
La cura è un percorso unico per ognuno, molto complesso perché vario e impossibile da definire in modo standard. È un cammino verso un nuovo equilibrio nel momento in cui il precedente si è perso. La cura, prima di tutto, è una decisione seria, profonda, istintiva: adesso mi curo, adesso prendo in mano la mia vita e cammino avanti cogliendo gli aiuti che sento buoni per me e non abdicando al mio potere.
Sembra assurdo, ma un grande numero di persone che chiedono aiuto non ha realmente deciso di guarire interiormente, quindi di affrontare il passaggio più importante di tutti. Si va avanti con incontri, visite, controlli, medicina tradizionale, approcci orientali o integrati ma si sente che, nel fondo, non c’è il vero desiderio di modificare alcuni dettagli che hanno provocato blocchi e resistenze. O meglio: si ha la sensazione che non ci sia la disponibilità a lasciarsi andare e ad abbandonare le convinzioni sul passato, su se stessi, sulle relazioni, su ciò che è stato giusto o sbagliato: le mani sono strette e le dita chiuse, come il potenziale di autoguarigione.
È anche una questione di potere: secondo alcune teorie che sposo con convinzione la malattia e il disagio hanno a che fare con la perdita del proprio potere. Il potere su noi stessi è fondamentale, troppe volte lo deleghiamo o rinunciamo a sentirlo e usarlo: siamo fuori centro, allora è fin troppo facile perdere l’equilibrio.
La cura è un lavoro interiore prima che esterno, potrei definirla spirituale ma sarei fraintesa: non ha a che vedere con la religione, ma con l’interiorità, con l’energia che siamo, con la dimensione vera di noi che è in grado di creare salute e malattia ed equilibrio e disagio. Prevengo eventuali obiezioni: sono medico e uso anche la medicina di eccellenza che ho studiato e approfondito.
Ci credo, ne sono convinta e onoro questo genere di medicina. Non sostituirei mai uno strumento terapeutico con un rimedio non dimostrato efficace da studi rigorosi. Ma non finisce lì, non può bastare: il ben-esistere è molto più complesso: personalmente mi interessa che le persone stiano bene in un cammino di equilibrio, che trovino in se stesse le risorse e i segreti della salute vera, globale, integrale.
Non può dirsi sano chi è stato riparato nel corpo fisico ma non aiutato a proseguire nelle emozioni, nei sentimenti, nel mistero delle aspettative e del gusto di esistere.
Cosa hai dato a questo libro e cosa questo libro ha dato a te?
Mi ha sorpreso: l’ho scritto perché mi è stato chiesto, alla luce dei tanti anni di studio e di riflessione sui Tarocchi e sugli approcci di Alejandro Jodorowsky, della simbologia e delle vie di cura extra-convenzionali: ho tirato fuori la voce che uso nei altri libri, ho voluto condividere memorie e ispirazioni, mi sono lasciata guidare da un flusso leggero che aveva voglia di narrare.
E a quanto pare l’energia si è rivelata a tanti lettori, quasi indipendentemente dalla scrittura e dal contenuto: il libro vive e trasmette energia (dicono). A me piacciono i libri vivi. A questo libro ho dato amore genuino per chi lo avrebbe letto, e un carico di lealtà comunicativa che avrebbe potuto mettermi in difficoltà nella figura del medico che sono: chi non ha voglia di guardare dentro un libro ma legge solo il titolo e mezza quarta di copertina fa sempre la stessa battuta (“Indovini le terapie usando i Tarocchi?”), ma quando ho iniziato la stesura ho capito che la paura non aiuta nessuno, le remore devono restare in panchina e non nel campo di gioco. Se scrivo, scrivo sinceramente e con lealtà: sta a chi legge e a chi non legge decidere se abbiano voglia di giudicare o semplicemente godersi il viaggio della vita. Si può optare per l’ordine oppure per il caos, per l’apertura del cuore oppure per la rigidità: il mondo è bello così.
Intervista di: Cinzia Ciarmatori
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