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MariaGiovanna Luini, medico, scrittrice e molto di più

Scrittrice, saggista, consulente di sceneggiatura, medico e comunicatore scientifico, ha da poco pubblicato insieme ad Umberto Veronesi un saggio affascinante, un viaggio nel profondo senso della vita. Un libro che non ci può lascare indifferenti, facendoci venire voglia di sapere qualcosa in più.

Abbiamo incontrato MariaGiovanna Luini per voi, ecco cosa ci siamo dette.

Grafica Divina

Qual è l’interpretazione che dai al dolore come donna? E come medico?

Risponde prima il medico: il dolore ha un valore istantaneo o quasi (comunque deve essere di breve durata) di segnale. Poi perde il proprio valore e diventa nemico, ostacolo, sofferenza, ingiustizia. Il dolore va ascoltato in tutti i suoi significati, mai univoci e quasi sempre precisi solo se li cogliamo con la ragione e l’empatia insieme. Il dolore indica, segnala, sottolinea, ma anche aggrava e appesantisce uno stato di paura e sofferenza.

La donna Giovanna (MariaGiovanna) sente il dolore come necessario nello stesso modo della gioia, il dolore in quanto emozione e moto dell’istinto e dell’energia esiste e va vissuto ed espresso. Fa parte di noi, in fondo spesso nasce dalla nostra rilettura e interpretazione personale e soggettiva del mondo. Il dolore ci prende, possiede e abbandona, ci abita per un certo tempo poi se ne va e ritorna, e di nuovo va via: sta a noi permettere questo flusso senza bloccarlo o rimuoverlo. Un dolore che rimuoviamo e non guardiamo resta a seguirci per sempre.

Il dolore ci cambia, ci spinge a evolvere, scardina certezze, ci costringe a muoverci. Nessuno di noi lo desidera, ma quando arriva diventa motore pazzesco della rinascita, dell’evoluzione.

Secondo te quando e perché il dolore ha cominciato ad essere considerato alla stregua di un sintomo da eliminare ad ogni costo?

In parte, in medicina, questo va fatto. Esistono dolori fisici che possono e devono essere leniti. Il dolore fisico protratto si trasforma in sofferenza e modifica, altera, rovina la qualità della vita. Non ha senso lasciare nel dolore fisico, quindi nella sofferenza, chi può essere aiutato. Non sta a noi decidere se un dolore abbia un significato catartico per qualcuno, a noi sta il dovere di aiutare per fare stare meglio. Lavorare in oncologia insegna molto in questo senso: il medico e gli infermieri, tutto il team professionale devono imparare a lenire il dolore fisico e psicologico.

Abbiamo la possibilità di farlo, quindi ne abbiamo anche il dovere morale.

E porto anche il caso personale: da ventidue anni circa mi porto dietro un dolore cronico per fratture vertebrali gravissime in un incidente stradale (incidente in ambulanza, peraltro). Fisicamente sto benissimo, il che significa che la mia percezione di questo dolore aiuta a essere serena e felice, ma quando arrivano gli accessi la visione del mondo cambia e lo stato emotivo diventa depresso e ansioso. Tipico del dolore vertebrale. Questo genere di dolore non serve, non fa crescere, a meno che si voglia considerare crescita la perfetta comprensione del dolore altrui: ho imparato, ecco il senso, ora basta.

La società di oggi comunque rifiuta l’argomento dolore e vuole cancellarlo in ogni contesto, in ogni discorso, in ogni opera letteraria, a meno che si parli di un dolore lontano alieno e poco applicabile a noi. I libri sulle guerre, sulle ingiustizie in altre Nazioni, su povertà e miseria che non ci toccano da vicino coinvolgono molto, quelli che parlano di dolori “possibili” e concreti per noi invece fanno paura.

Nasce prima il dolore o la sua percezione? Se non venisse percepito, esisterebbe comunque?

Il dolore fisico nasce da uno stimolo nervoso. Si crea il problema e pochissime frazioni di secondo dopo si sente dolore. Altri dolori invece hanno genesi differente, ne esistono alcuni con genesi psicologica. Credo onestamente che nella nostra vita materiale, incarnata, ipotizzare l’assenza di dolore sia irrealistico. Oppure no, diventa realistico se pensiamo che la vita sia un insieme di “adesso”. Adesso non ho dolore, non penso ad altro, quindi questo adesso rappresenta tutta la mia esistenza. Se ampliamo la visione, ipotizzare che una vita incarnata sia priva di dolore si può fare ma si tratta della negazione stessa delle perfezione del tutto. Se esiste gioia deve esistere il dolore, e viceversa, se esiste buio esiste luce, se esiste bene deve esistere ciò che chiamiamo il male. Al di là della filosofia, il dolore e il piacere oltretutto sono molto vicini dal punto di vista dei meccanismi percettivi.

Dolore fisico e psichico, alleati o rivali?

Dipende dal momento, dalla situazione, dalla persona. Sul dolore psichico il punto di vista, l’interpretazione di fatti, realtà, persone ed eventi sono fondamentali: il dolore nasce per lo più dall’interpretazione, dal significato che si attribuisce al mondo e alle relazioni. Il dolore fisico e il dolore psichico a volte sono inscindibili, e uno rinforza l’altro oppure spiega grande parte dell’altro. Altre volte dolore fisico e dolore psichico sembrano alieni, opposti, in lotta tra loro.

Perché il dolore spaventa così tanto? E quanto la paura del dolore influenza il dolore stesso?\

La paura, la peggiore compagnia in assoluto. Peggio del dolore, secondo me. Quanta vita perdiamo per paura? La paura e l’ansia per il possibile dolore sono esse stesse dolore e sono potentissime: possono creare e esacerbare un dolore fisico. Il dolore spaventa perché le sensazioni che suscita sono percepite come negative. Il dolore per un lutto, poi, spaventa per la perdita: in se stessa questa perdita si vive come mutilazione, pericolo, trauma, strazio, ferita.

Perché abbiamo così tanta difficoltà ad accettare la sofferenza?

Da un certo punto di vista mi sembra logico. Dolore e sofferenza fanno male quindi si tenta di eliminarli. Da medico sono abituata a calarmi nel reale e insomma, non vorremo dire che il dolore ci piace! Ho visto come pazienti filosofi, sociologi, scrittori che in teoria erano favorevoli al dolore come prova e purificazione: molto giustamente, di fronte al loro tesso dolore hanno chiesto un rimedio. E ci mancherebbe! Quando si va troppo in alto con il volo della mente invito a immaginare di trovarsi in un ambulatorio pieno di persone in sofferenza che chiedono di essere aiutate: amore, supporto psicologico prima di tutto ma anche soluzione per il loro dolore. Soluzione concreta, aiuto, mani che toccano per contribuire alla guarigione.

Accettare la sofferenza comunque fa parte della risposta psicologica sana. Accettare è la prima e più importante base per l’elaborazione di un lutto (per lutto intendo un grosso trauma con la sofferenza che ne consegue). In parte la nostra società si illude di avere una soluzione per tutto: invecchiamento, malattie, drammi, guerre, povertà… Illudersi di possedere i segreti e le soluzioni porta a non accettare che la sofferenza esiste, e non accettare diventa patologico. Accettare che il dolore e la sofferenza capitino e il vero e unico segreto per affrontarli in modo sano.

In che modo tu e Umberto Veronesi, per vostra stessa ammissione estremamente differenti, siete riusciti ad affrontare questo saggio dedicato al senso profondo della vita?

Merito suo. Da oltre quindici anni lavoro con lui e la mia passionalità, i miei istinti polemici, il mio senso enorme di indipendenza hanno trovato un uomo capace di accogliere, insegnare, correggere nel rispetto totale di ciò che sono. Umberto Veronesi ha doti che tanti altri non sono riusciti a sviluppare, e si vede. Sa accettare senza escludere chi appare diverso da lui, non ha il senso dell’inferiorità o superiorità, non fa tacere le voci che potrebbero essere scomode anzi le ascolta e valorizza. Ammette limiti ed eventuali errori.

È curioso, colto, sempre pronto a mettersi in discussione positivamente se serve, aperto al dialogo. Per questo è anche tanto invidiato, e lo sa. “Se vuoi volare, e secondo me sei nata per farlo, sappi che si vola sempre da soli. Devi imparare a volare da sola”: ecco uno dei suoi insegnamenti. E nella tolleranza un maestro assoluto. Scrivere libri con lui quindi è un dono meraviglioso della vita, un onore e una gioia. Evolvo e miglioro anche grazie a questo. Non ho avuto sempre tempi belli in questa nostra collaborazione perché chiaramente ogni volta che fai qualcosa che si vede ricevi anche colpi più o meno negativi dal mondo esterno, ma proprio per questo posso dire con orgoglio: rifarei tutto, vado avanti con grande gioia.

Intervista di: Cinzia Ciarmatori

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