C’è bisogno di cambiare il punto di vista in un mondo occidentale che sembra impazzito per tutto ciò che è cucina e cibo. Siamo sommersi da un eccesso di informazioni (o pseudoinformazioni) sull’alimentazione. In verità sono sollecitazioni, è marketing che sfrutta tutto ciò che in questo momento storico riesce a vendere. Scienza alimentare compresa.
Non sto dicendo che alcune informazioni non siano valide: lo sono totalmente e hanno una solida base nella scienza, ma vengono enfatizzate e usate anche per marketing e soprattutto si confondono con mille altre indicazioni molto meno scientifiche. Siamo stimolati al consumo, consumo, consumo declinato in vario modo e con differente qualità.
Cuochi, semi-cuochi, mini-cuochi: bellissimo che ci si dedichi all’alimentazione e alla creatività in cucina, invidio chi sa cucinare bene. Ma ormai sembra che tutto ciò che parla di cucina valga più di una riflessione etica o un romanzo o una trasmissione di approfondimento e cultura. Nel frattempo c’è un problema enorme di fame, malnutrizione e morte a carico di milioni di persone.
Nel frattempo un numero altrettanto alto di gente soffre per nutrizione esagerata, e muore per questo. Abbiamo perso il limite, la misura, ci stiamo dimenticando che l’alimentazione è alimentazione e niente di più: ci mantiene in vita ma non può diventare un totem, un amuleto, un obiettivo unico.
Un esempio? Mangiare bene aiuta la salute ma non è un modo per non ammalarsi di cancro con certezza assoluta, è un’assicurazione utile ma non una sicurezza: quanta gente fa sforzi pazzeschi per essere magra e nutrirsi secondo i dettami della scienza poi si ammala e si sente tradita? Tradita dai medici e dai comunicatori prima di tutti, che fanno benissimo a divulgare i messaggi di prevenzione ma devono essere attenti a dire che valgono per una certa percentuale di copertura, non per la totalità.
Sono comunicatore scientifico di professione, anzi IEO (Istituto Europeo di Oncologia di Milano, dove lavoro) è il primo istituto di eccellenza italiano ad avere istituito la figura del comunicatore scientifico e proprio per questo mi sento di esortare alla cautela: attenzione alle illusioni, alle aspettative che si generano, attenzione agli eccessi di entusiasmo o pessimismo.\rAndiamo al digiuno.
Disturbi alimentari, fame che uccide milioni di persone, malattie da alimentazione sbagliata: mettiamo tutto insieme e proviamo a fermarci. Il digiuno ha senso, ha una storia radicata nelle filosofie e nelle religioni ed è una forma di rispetto: rispetto nei confronti di chi non ha la possibilità di scegliere se mangiare o digiunare, rispetto nei confronti del cibo stesso che si spreca in modo vergognoso, rispetto nei confronti della nostra mente che ha e deve continuare ad avere il controllo, la supremazia sui nostri comportamenti. Il digiuno è una scelta etica e di autocontrollo prima che di prevenzione. E’ anche forte prevenzione nella salute, comunque, perché ridurre le calorie che si introducono ogni giorno fa diminuire il rischio di malattie gravi come il cancro o le malattie cardiovascolari, e altre malattie che affliggono milioni di persone. Ridurre le calorie quindi mangiare meno, quindi anche decidere di avere alcune ore di digiuno per dare al proprio corpo una dose di prevenzione in più.
Una sfida. Per me è difficile, l’ho detto anche in una postfazione aggiuntiva nel libro “Le ricette della dieta del digiuno”. Faccio fatica a non mangiare, amo il cibo e metto nel mangiare la passione che ho in tanti altri comportamenti istintivi. Capisco in pieno le persone che dichiarano di non farcela, però ho sperimentato il digiuno e visto che un giorno senza cibo fa aumentare la lucidità mentale, regala energia e forza. Più giorni di digiuno andrebbero definiti in base alle proprie condizioni fisiche (per esempio chi ha il diabete spero non si metta a digiunare senza consultare i medici) ma possono dare un senso di leggerezza, di purificazione, di benessere inimmaginabile. Il digiuno è una sfida per me ma riesco a digiunare proprio perché è una sfida e ho una personalità molto competitiva: quando vengo sfidata non posso fare a meno di mettermi in campo e gareggiare. Gareggio con me stessa, nel caso del digiuno…\r\n
\r\nIl rito ha un senso anche in medicina, sempre. Gestualità, parole, abbigliamento, ambiente: medicina e religioni hanno bisogno di interagire con la razionalità ma anche con l’istinto, l’anima, la fiducia, l’interiorità della gente. E la medicina riprende spesso rimedi e proposte che esistono da centinaia di anni, convinta di inventare qualcosa di nuovo. E’ bello così: esistono conoscenze che ci portiamo dietro e non sono scritte nei libroni che si studiano a medicina ma sono ugualmente valide. Che la medicina le riconosca è bello e giusto. Quanto al digiuno, i dati scientifici sono questi: ridurre le calorie diminuisce il rischio di malattia, soprattutto nel caso dei tumori, ed esistono esperienze che vanno approfondite nelle quali il digiuno prolungato ha dato una risposta nella morte delle cellule tumorali aprendo quindi la strada al dubbio che digiunare in alcuni contesti di malattia faccia regredire il male. “Mangia, mangia che ti fa bene” non è sempre una soluzione, a quanto pare…
Sì. Ascoltare il proprio corpo ed essere consapevoli. Si nasce e si è subito circondati da consigli, indicazioni, tabelle, schemi alimentari: perdiamo rapidamente l’istinto, eppure se ce lo lasciassero saremmo in grado di gestire il nostro corpo con saggezza. Le persone magre e sane, quelle che non hanno bisogno di diete, non sono “fortunate” per un metabolismo miracoloso: ascoltano e conoscono il proprio corpo.
Sono le persone che quando hanno voglia di sapore dolce mangiano dolce, altrimenti non ne hanno bisogno e non si lasciano tentare. Sanno quando mangiare non perché qualcuno glielo dice ma perché mangiano solo se hanno fame e scelgono ciò che il corpo desidera, niente più. La scelta del digiuno è un modo per conoscere se stessi e prendere il controllo sui propri istinti, è la decisione di dare una pausa al corpo e offrire alla mente l’opportunità di regolare il comportamento: per un certo numero di ore non si mangia, si bevono liquidi e basta.
I disturbi alimentari non c’entrano. Digiunare è una scelta di purificazione anche dall’idea della centralità del cibo, lo dico da ex-paziente con BED (binge eating disorder): chi ha un disturbo alimentare in realtà ha sempre il cibo come centro, come pensiero fisso, digiunare aiuta a rendere relativo il cibo e aumentare la voglia di dedicarsi ad altro.\r\n
Le ricette sono decisione di Marco Bianchi. Ha talento creativo assoluto in cucina, la sua creatività da chef è geniale. La base per il nostro libro era lo schema alimentare di Umberto Veronesi che mangia pochissimo ma, quando mangia, predilige alcuni alimenti: Marco ha creato le ricette che si trovano nel libro basandosi sulle abitudini alimentari di Umberto Veronesi. Andate a vedere gli spaghetti del Professore, per esempio.
Ci conosciamo da anni e andiamo d’accordo: è stata una fortuna. Abbiamo scritto tutto il libro a quattro mani con due sole eccezioni: le ricette sono solo di Marco e la postfazione è una parte speciale (chiamata postfazione da Mondadori, non da noi) che ho voluto aggiungere come riflessione personale. Ecco perché il libro ha una postfazione firmata solo da me nonostante il libro sia il prodotto delle nostre quattro mani. Umberto Veronesi ha donato la prefazione.
Marco da anni mi aiuta a mangiare meglio. E’ paziente, sorridente, geniale in cucina e conosce la materia: alludo alla materia scientifica, ma anche la psicologia. E’ in gamba, sa come convincere le persone toste come me e appassionate di cibo senza nemmeno dare l’impressione di volerle convincere… Da anni, e nei mesi recenti in particolare, ho iniziato a prestare attenzione agli ingredienti, ho ridotto moltissimo il consumo di alimenti animali e di zucchero raffinato, ho scoperto la bontà della farina di ceci, dei legumi, della frutta secca, di alcune verdure. Le sue ricette spesso sono facili e usano ingredienti che anche una donna sempre in movimento per tenere insieme lavoro, casa, presentazioni di libri, scrittura può trovare. Certo, quando è Marco a regalarmi il melaccio cucinato da lui è tutta un’altra cosa…
Intervista di: Cinzia Ciarmatori