Andrea Pedrinelli è giornalista e scrittore di musica e teatro, autore di format televisivi e molto altro sarà presto nei teatri di tutta Italia insieme alla raffinata cantautrice Susanna Parigi con uno spettacolo dedicato ad Enzo Jannacci dal titolo Il saltimbanco e la luna. L’abbiamo incontrato per saperne di più… ecco cosa ci siamo detti
Quando nasce il progetto “Il Saltimbanco e la Luna”?
L’idea viene da molto lontano, addirittura due anni fa. Quando mi resi conto di come in fondo Jannacci, pur non avendo nulla da invidiare a De André o Gaber come profondità di pensiero e qualità artistica, fosse già in gran parte dimenticato. O banalizzato nel ricordo delle canzoni più ovvie: e questo anche da parte degli addetti ai lavori, che a volte gli mettono davanti artisti magari anche bravissimi, e però molto meno capaci di indagare il cuore e la vita dell’uomo. E in me crebbe così l’esigenza di mettere il mio mestiere di giornalista, che di per sé dovrebbe essere quello di divulgare e raccontare, non di dare spazio a comunicati stampa senza riflettere, al servizio del cuore del canzoniere di Enzo. Poi, in parallelo con la sperimentazione sulla mia pelle del degrado etico sempre più evidente nella società contemporanea, certo dovuto in parte alla crisi ma forse in realtà causa della crisi stessa, ho sentito crescere anche l’esigenza di raccontare come si è svilito il mestiere del giornalista. Nonché quanto vi sia di finto, squallido, irrispettoso della gente dietro le quinte del mondo dello spettacolo odierno.
Quinte che ho visitato, e che la gente non visita: raccontarle mi pareva un altro piccolo dovere. E così, ragionando su quanto ho visto, è apparso chiaro che anche le parole dettemi da Enzo, tante parole raccolte in tante interviste e incontri di grande umanità, fossero da divulgare. Come bussola alternativa, per ridare peso agli ideali di cui il mondo si riempie la bocca senza viverli, recuperare valori dimenticati, capire cosa dovrebbe essere un artista, spronare ad andare in fondo alla realtà, assumendoci ognuno le sue responsabilità, per poterle sopravvivere. Il “Saltimbanco” è Jannacci, che si autodefinì così negli anni Settanta, ma in fondo qui lo siamo anche io e Susanna, e forse nella vita lo siamo tutti: uomini e donne che si scontrano col mondo e cercano di capirlo.
E la “Luna” è il mondo, meglio: quando il mondo, in modo poetico oppure violento, ti fa capire che le cose che contano non sono le fesserie che ci sommergono dalla politica al pop.
Quando nasce la tua collaborazione con Susanna Parigi e cosa di lei ti ha convinto?
Con Susanna c’è un’amicizia di anni, ma questa frase varrebbe anche per il mio rapporto con altri artisti. Il fatto è che quando ho pensato a un progetto di divulgazione di Jannacci volevo innanzitutto farlo con musica dal vivo, considerando Enzo un classico sempre presente, non un artista “di ieri”: quindi niente video, niente di museale.
E poi volevo farlo in modo molto rispettoso, senza mai far entrare nel progetto i soliti discorsi sulla “commerciabilità”, sui cachet, sul fatto che la gente oggi si dice che deve soltanto sghignazzare e non è più capace di pensare. Insomma, volevo che il concerto teatrale, come poi si è definito, andasse al cuore dell’opera di Enzo, non in superficie, e quindi fosse anche in grado di osare, tenendo lui al centro senza narcisismi di chi è in scena e senza paura di toccare le parti più scomode della sua opera. Susanna mi è parsa da subito perfetta, perché artisticamente è inattaccabile, per scelte, serietà, repertorio: ricorderò sempre quanto mi disse Luporini sulla sua bravura assoluta.
E quindi da un lato mi consentiva di avere un’artista che cantasse benissimo, che suonasse benissimo, che fosse in grado di sostenere la parte musicale del lavoro piano e voce; e dall’altro una musicista e autrice capace di riscrivere su di sé le cose (molto difficili!) di Enzo, nonché una donna pura, che ha riflettuto sui contenuti e non sulla “commerciabilità” del progetto, che ha osato ricantare “Come gli aeroplani” ma anche “Il cane con i capelli”, sposando in pieno le motivazioni con cui “Il Saltimbanco e la Luna” è nato.
Che tipo di lavoro hai fatto sul repertorio di Jannacci?
Il lavoro l’abbiamo fatto insieme. Io, Susanna e Rossella Rapisarda che era l’anello mancante, cioè una regista proveniente da una compagnia (gli Eccentrici Dadarò) che sa comunicare in modo leggero ma senza mai rinunciare ai contenuti: e che ci ha diretto per tecnica ed anima, se posso dirla così, mettendo anche lei al centro del lavoro le parole e le canzoni di Enzo, aiutando me e Susanna a esprimerci senza fingerci altro da quello che siamo, e dando al testo dei ritocchi di struttura che gli hanno donato una grande capacità di divertire emozionando o viceversa. Siamo partiti dall’ascolto dei dischi, tutti i dischi di Enzo.
Una volta scelti i brani fattibili e i centri tematici, Susanna si è dedicata al difficilissimo lavoro di trascrizione delle partiture all’ascolto, non essendoci spartiti in commercio, di riarrangiamento che in pratica è stato quasi sempre di riscrittura, e di inserimento di se stessa nel mondo di Enzo restando però Susanna, da interprete-autrice. Io ho collegato i brani a dei parlati divertenti nei quali racconto quanto ho visto nel giornalismo e nello spettacolo, cose surreali che fanno ridere la gente anche se purtroppo sono tutte vere, e per ogni parlato, se posso semplificare, ho scelto delle frasi dettemi da Enzo che fanno da controcanto morale al degrado che narro, e cui le sue canzoni poi danno forza o dimostrano che Enzo le cose le pensava ma le faceva pure.
Con Rossella infine abbiamo sfrondato le parti ridondanti, abbiamo trovato piccole malizie teatrali che sottolineano i contenuti, abbiamo rivisto l’ordine dei temi trattati dandogli forza espressiva, soprattutto siamo arrivati ad un’essenzialità assoluta di rappresentazione, pochi oggetti, luci mirate, tutto parole, canzoni ed emozioni. E poi c’è stato il percorso di approvazione del lavoro: quindi il coinvolgimento di persone che hanno lavorato tanto con Jannacci e che ci hanno confermato come il nostro lavoro non fosse retorico né banale né tantomeno anticipazione di un funerale di Enzo.
Dario Barezzi ci ha dato molto col suo apporto anche umano, soprattutto Dario Zigiotto ha sposato subito, già un anno fa, l’idea e ci ha seguito nella sua messinscena fin dalle letture in casa di Susanna. Dobbiamo molto a Dario Zigiotto, per come ci ha confermato che stessimo trattando il cuore dell’opera di Enzo e di Enzo stesso. E ovviamente abbiamo detto ad Enzo che cosa stavamo combinando. Non volevamo una “autorizzazione” peraltro non necessaria, né una “firma”. Volevamo, volevo, essere sicuro che gli piacesse. E lui, commosso, nel giugno scorso ci ha detto che si sentiva gratificato dall’idea, dal percorso, dai pezzi che stavamo lavorando. L’unico nostro rammarico è che per pochi mesi non ha visto, almeno in video, il risultato. Però sappiamo che avevamo centrato l’obiettivo di raccontarlo davvero, sappiamo che quanto mettiamo in scena è Jannacci e non un revival, una commercializzazione, una furbata. Oggi non è neppure una commemorazione. In fondo siamo andati adagio proprio perché non inseguivamo un “occasione”, ma volevamo ponderare bene come proporre Enzo rispettandolo davvero.
Che tipo di percorso proponete attraverso l’opera di Jannacci?
Ci sono i brani decisivi. “Vincenzina e la fabbrica” e “Io e te”, i punti di svolta della sua scelta di dire della gente e della vita. “El portava i scarp del tennis”, il primo vero eroe della dignità cantato da Jannacci. “Natalia”, cantare il lavoro di medico. “Sono timido”, l’ironia per denunciare il razzismo. “La fotografia”, il coraggio di andare a Sanremo per dire cose forti, e non per farsi vedere. “Il cane con i capelli”, con cui fu bocciato nel provino Rai, ma che è un finto nonsense che denuncia emarginazione, e dimostra sia quanto Enzo fosse avanti sia quanto ironia e nonsense non significhi necessariamente dire stupidaggini per far ridere.
Anzi. E poi “Come gli aeroplani”, canzone rifiutata dai discografici per sette anni, che dice come siamo oggi: in tv, nel mondo del lavoro, con il potere e il mercato che distruggono l’intelligenza e danno spazio solo all’arroganza, e la brava gente smarrita cui nessuno dà voce. Tranne Enzo. Io non smetterò mai di ringraziare Susanna per il coraggio di cantare questo pezzo (“Come te che fai schifo mentre inneschi il mercato globale al posto dell’altruismo, Come te che ti riempi di borotalco ma si sente la puzza di marcio che ti porti dentro…”), e in generale per come è entrata con qualità di musicista e di cantante dentro i testi come fossero suoi, per riscriverli da autrice che li condivide in toto. Ma non per nulla, anche dando ragione a Sandro Luporini, nello spettacolo ci sono dei pezzi di Susanna: perché sono in linea con le riflessioni di Enzo, sui valori (“Liquida”) come sulla mercificazione delle parole per ottenere potere e controllo sugli altri (“L’insulto delle parole”).
La cosa che ci commuove è che apriamo con “Mamma che luna che c’era stasera”, scelta perché è una summa dell’opera di Enzo, del suo incitare all’altruismo, del suo aver visto e raccontato il mondo dei poveri… E questa canzone ora rimane l’ultimo inedito che lui ha inciso. Ma non era voluto, avendo noi scritto tutto un anno e mezzo fa. Quando ci sarà spazio a bis, si sentirà poi Susanna osare anche “E l’era tardi”, che abbiamo adattato in italiano, “L’uomo a metà”, forse il testamento ideale di Enzo, e “Parlare con i limoni”, altro nonsense ricco di senso che ha messo insieme la voglia di Enzo e la nostra di metterci in gioco per poterci guardare allo specchio, a prescindere dal guadagno, dal “successo” e dal potere.
Questo progetto è nato prima della scomparsa del cantautore?
Direi che ho già risposto. E che chi lo vedrà capirà facilmente come fosse impossibile costruire un percorso del genere in due mesi. Non solo per la ricerca, per il discorso trascrizioni/arrangiamenti, per il contenuto che va in profondità. Ma anche perché è un percorso a più livelli: il concerto teatrale che ha già diverse date e che è stato selezionato da Asti Teatro oltre che scelto dal Teatro Menotti di Milano (e ringraziamo anche Emilio Russo per l’adesione all’idea), il libro/Cd che non si scrive né incide in un mese e che uscirà in autunno per 103, e tante altre cose in fieri. Compresa la collaborazione con “Scarp de’ tenis”, il mensile della strada promosso da Caritas e che deve il titolo proprio al capolavoro di Enzo, con cui “Il Saltimbanco e la Luna” continuerà anche ad aiutare chi ha bisogno, come faceva Enzo. Perché era necessario, uno sponsor solidale, per confermare la serietà del nostro lavoro e la nostra coerenza con Jannacci.
Quali sono i motivi che vi hanno spinto ad occuparvi proprio di lui, tra tanti cantautori?
Direi due. Uno è artistico. De André, Gaber, Jannacci. Lo accennavo prima, è questa la triade più importante della nostra canzone d’autore. Originalità di linguaggio, e capacità di raccontare la vita davvero. Enzo spesso è stato sottovalutato, incompreso, non ascoltato, ma non ha niente di meno degli altri due e molto di più di chiunque altro si voglia citare. Semmai, se posso provocare ma non troppo, domando: chi dei tre scriveva tutto da solo? Jannacci. Quindi forse aveva un mondo e una genialità che erano anche superiori a quelli degli altri due, per certi versi.
E il secondo motivo è umano. Gaber non l’ho conosciuto, De André umanamente mi lasciava assai perplesso, Enzo era qualcosa di commovente. La sua timidezza, la sua sensibilità, il suo mettersi a nudo nelle interviste, commuovendosi spesso, per raccontare delle cose. E ovviamente le cose che mi ha raccontato. Ne cito una, per tutte, che mi fa venire i brividi ancora oggi. Gli feci una domanda sul futuro, lui dopo avermi detto che alla nipotina avrebbe voluto lasciare la voglia di non inseguire soldi, successo e potere, si fermò un attimo e poi riprese con una frase da incidere su pietra. “Perché devi ricordartelo, Pedrinelli: Non si traffica con la coscienza. Mai”. Nessun altro artista, nessuno, mi ha mai detto parole come queste (e come tante altre) in quelle che avrebbero dovuto essere normali interviste per i giornali. Con Enzo, erano un’altra roba.
Intervista di: Cinzia Ciarmatori