Estrazione illegale di oro in Amazzonia. Tra il 2010 e il 2021 circa 20 mila ettari di foreste nelle terre indigene di Kayapó, Munduruku e Yanomami, nell’Amazzonia brasiliana, sono andati distrutti per via dell’estrazione illegale di oro: è quanto denuncia Greenpeace esaminando la rapida espansione di un fenomeno che in appena un biennio, tra il 2019 e il 2021, ha causato la distruzione di un’area, in questi territori indigeni, più estesa del 202% rispetto a quelle devastate nel decennio precedente.
L’estrazione illegale di oro implica anche l’utilizzo di grandi quantità di mercurio, metallo inquinante che finisce per disperdersi nell’ambiente, fiumi inclusi, contaminando la fonte di cibo e di acqua potabile per le popolazioni indigene che abitano l’Amazzonia. Come se non bastasse, l’invasione di questi territori da parte di garimpeiros (cercatori d’oro) intensifica conflitti, criminalità, traffico di droga e abusi sessuali su donne e bambini indigeni, oltre che la diffusione di malattie come la malaria. Nel 2022, ricorda ancora Greenpeace, l’Italia era al sesto posto a livello mondiale per valore di oro importato, al primo nell’UE e al terzo in Europa (dopo Svizzera e Regno Unito), per un valore economico di circa 186 milioni di dollari.
Una nuova indagine diffusa oggi da Greenpeace East Asia ha inoltre documentato il ruolo chiave dei macchinari pesanti prodotti dall’azienda coreana di costruzioni HD Hyundai Construction Equipment (HD HCE) nella devastazione dei territori indigeni dell’Amazzonia brasiliana di Kayapó, Munduruku e Yanomami. I sorvoli condotti da Greenpeace Brasile hanno infatti permesso di individuare 176 macchinari pesanti, di cui 75 (il 43%) appartenenti alla divisione edilizia della multinazionale del Gruppo Hyundai, conosciuto in Europa soprattutto come colosso delle auto.
“L’estrazione illegale di oro distrugge a un ritmo allarmante aree preziose della foresta amazzonica, un ecosistema vitale non soltanto per le popolazioni indigene che in quelle terre vivono, ma per l’intero Pianeta”, commenta Martina Borghi, responsabile Campagna Foreste di Greenpeace Italia. “Aziende come Hyundai devono mettere il pianeta al di sopra dei loro profitti e impedire che i propri macchinari vengano usati per continuare a degradare terre indigene e aree protette”.
Greenpeace chiede pertanto trasparenza a HD HCE e ritiene necessario che l’azienda verifichi, segnali e impedisca l’impiego dei propri macchinari in operazioni di estrazione illegale: azioni che Hyundai può già mettere in campo grazie a un sistema di gestione remota che utilizza GPS per raccogliere dati sui macchinari, in modo anche da poterne delimitare i confini dell’area di lavoro.