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Matteo Pericoli Il grande museo vivente dell’immaginazione

In libreria Per Il Saggiatore “Il grande museo vivente dell’immaginazione” -Guida all’esplorazione dell’architettura letteraria- di Matteo Pericoli. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosa in più su questo su nuovo libro.

Quando nasce “Il grande museo vivente dell’immaginazione”?

Anagraficamente nasce nel 2018 quando Il Saggiatore mi chiese di lavorare a un libro che restituisse, oppure offrisse, ai lettori sia l’idea di fondo del Laboratorio di architettura letteraria — un corso che avevo creato nel 2010 nel quale si dà una forma fisica (attraverso plastici architettonici, ovvero con cartone, colla e taglierini) alle “architetture” delle storie — sia per raccogliere le dodici architetture letterarie di altrettanti romanzi che avevo publicato su La Stampa, Pagina99 e The Paris Review Daily tra il 2016 e il 2017. Ma evidentemente l’idea nasce molto prima, anche se non saprei dire esattamente quando. Di certo il desiderio di condividere i risultati dei laboratori è iniziato quasi da subito, perché non sembrava avere senso quanto delle persone che non avevano mai disegnato o “progettato” volumi architettonici fossero in grado di produrre progetti così sofisticati e chiari. Il “Grande museo vivente dell’immaginazione” che hai in mano ora invece nasce forse in un momento di disperazione, che in quanto tale aveva in sé un enorme potenziale creativo; disperazione perché non avevo mai “scritto” un libro prima, e mi ero ritrovato con un gran numero di capitoli, o stanze, o spazi all’interno dei quali più o meno sapevo cosa volevo condividere, ma che non riuscivo a organizzare. E allora mi son detto: “Sai cosa? Io con queste stanze ci costruisco un bel museo e invito tutti a visitarlo!” 

Grafica Divina
Il grande museo vivente dell’immaginazione

Cosa hanno in comune e cosa si possono dare reciprocamente architettura e letteratura?


Oddio, per rispondere bene a questa doppia domanda avremmo bisogno di parecchio spazio e tempo. Ti rispondo brevissimamente alla prima parte, cioè: cosa hanno in comune architettura e letteratura? Tutto. Ovvero: l’architettura è impregnata di narrativa (pensa ai ritmi con i quali scopriamo il funzionamento di un edificio che non conosciamo, come ci muoviamo all’interno di un enorme spazio vuoto, cosa ci attira e cosa ci respinge, quanto sia forte la sorpresa della luce improvvisa o l’ansia dell’oscurità, e così via) e la narrativa è impregnata di architettura (e qui posso quasi copiare e incollare il testo tra parentesi qui sopra: pensa ai ritmi con i quali scopriamo il funzionamento di una storia che non conosciamo, come ci muoviamo all’interno di un enorme evento che non riusciamo ancora a comprendere, cosa ci attira e cosa ci respinge di un testo, quanto sia forte la sorpresa di un chiarimento improvviso o l’ansia dell’oscurità espositiva, e così via). Per quello che riguarda la seconda parte della tua domanda, ovvero: cosa si possono dare reciprocamente architettura e letteratura? Beh, una volta che siamo riusciti ad andare al di là della superficie — al di là di ciò che è scritto in letteratura, e al di là di ciò che è costruito in architettura — allora scopriamo che le due discipline non sono divise, ma sono due alberi che condividono un unico apparato radicale creativo. 

Matteo-Pericoli
Matteo-Pericoli


In che modo le storie possono essere abitate?


Forse il modo migliore per risponderti qui è semplicemente citare la scrittrice Alice Munro. Lei infatti dice che le storie non sono come una strada da percorrere, sono più come una casa. Entri e ci rimani per un po’, le percorri in lungo e in largo e ti metti dove vuoi e scopri il legame tra le stanze e i corridoi, e come il mondo visto da quelle finestre ci appaia diverso. E tu, il visitatore-lettore, sei anche tu diverso quando sei racchiuso in questi spazi, siano essi angusti o aperti, poco arredati o sfarzosi. Continui a ritornarci, e ogni volta la casa-storia contiene di più di quello che hai visto l’ultima volta.

Come hai proceduto alla stesura di questo libro?

Come dicevo sopra, non la chiamerei stesura. La mia inesperienza, combinata con l’ammirazione o venerazione che ho sempre avuto verso chi, scrivendo, costruisce storie e architetture letterarie, ha fatto sì che all’inizio fossi decisamente bloccato. Poi, con in mente la citazione di Alice Munro e alle spalle gli anni di esperienza con il laboratorio, mi sono detto: come le architetture non si progettano a partire dall’ingresso per finire all’uscita, così un libro non si scrive dall’inizio alla fine. Così, con l’aiuto di Damiano Scaramella, editor del Saggiatore e appassionato di poesia, mi sono messo a pensare a delle stanze che contenessero ognuna quelle idee, suggestioni, rivelazioni o illuminazioni che avrei voluto condividere con i lettori/visitatori. Il passo poi per arrivare a creare un vero e proprio edificio-libro è accaduto, come dicevo all’inizio, quando ho capito che non era un libro che stavo costruendo, ma un edificio vero e proprio! Con tanto di piante dei piani, bagni, bar, guardaroba, e così via. 

Quale filo rosso hai seguito nella scelta degli autori affrontati nel libro?

La scelta non è stata del tutto mia. Mi sono affidato a un mio amico scrittore, Marco Lupo, che lavora alla libreria Luxembourg di Torino. Come racconto nel libro-guida-museo, io sono un lettore “normalissimo”, di voracità e velocità nella media direi; lui invece sembra aver letto tutto, ma proprio tutto. Non so come abbia fatto. Da tempo era a conoscenza del laboratorio e quando iniziai la rubrica andai subito a interpellarlo. È anche una di quelle persone che colse appieno e all’istante l’idea di fondo del workshop. Da scrittore, forse, aveva sempre “sentito” quello sforzo ingegneristico e architettonico che è parte fondante dell’atto della scrittura. E così, mese dopo mese, mi consigliò dodici romanzi che non fossero troppo lunghi (per poterli abbracciare architettonicamente in meno tempo), che coprissero una minima varietà di culture e persone diverse, che fossero sia noti sia meno noti e che avessero una struttura in qualche modo interessante. Quei dodici romanzi sono stati per me, e lo sono ancora oggi quando li rivisito, una sorta di viaggio perfetto condensato nello spazio narrativo, tanto che uno dei titoli per il libro a cui mi ero molto affezionato (e che fortunatamente Il Saggiatore non accolse per ovvi motivi di classificazione in libreria) è: “Viaggiatori dello spazio. Guida all’esplorazione dell’architettura letteraria”. 

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