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“Il boss Simon Boccanegra” a Parma

Il boss Simon Boccanegra. È un allestimento cinematografico quello pensato per la nuova produzione di Simon Boccanegra, di Giuseppe Verdi, (nella prima versione, quella del 1857), previsto nel cartellone del 22esimo Festival Verdi.

“Il boss Simon Boccanegra”

Non è questo il titolo che inaugura la nuova edizione ma è sicuramente quello che desta maggiore rumore attorno a sé.
Scontentare il pubblico del loggione del Teatro Verdi di Parma pare sia diventato un gioco da ragazzi e i loggionisti appaiono così scontati da non risultare più elemento caratterizzante del folclore che ruota attorno a questo festival. I fischi e le polemiche attorno a questa opera, diciamolo subito, sono risultati totalmente fuori luogo, tanto da non averne neppure più voglia di parlarne, evitando così di alimentare la polemica. 

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Simon Boccanegra
Simon Boccanegra

Lo spettacolo, pensato dalla regista Valentina Carrasco, trae ispirazione da narrazioni cinematografiche. Risultano così evidenti le atmosfere di Fronte del porto e de Il pane e le rose.
Ambientato a cavallo degli anni ’50 e ’60, dove il porto di Genova raggiunse i massimi livelli di espansione, troviamo un Simone, boss del porto e dei magazzini portuali, intento a dipanare la trama, intricatissima, di un’opera (tuttora) di difficile risoluzione. Sommosse dei lavoratori del porto (realmente avvenute a Genova negli anni ’60 per motivi di opposizione politica), conflitti amorosi e familiari, sono il motore per sviluppare la vicenda di Simon Boccanegra che perde i connotati dell’epoca pur mantenendo Genova sullo sfondo, come contesto di tutto il dramma.
Bellissima la scena che si apre sul preludio, sfruttando la tecnica della video proiezione, dove si vedono immagini d’epoca del porto e della vita che si sviluppa intorno a questo luogo, provenienti da archivi, le immagini sono realmente di Genova e rieditate per la maggior parte delle sequenze, dalla produzione del Teatro Regio.

Le potenti immagini, in bianco e nero, precedono tutta la vicenda, mettendo al centro dell’azione da subito, il coro, rendendolo totalmente protagonista dello sviluppo della drammaturgia.

Carrasco ha il pregio di rendere umani i personaggi e ci li fa conoscere sotto tutti i punti di vista.
Emblematica la scelta di puntare i riflettori sull’unica figura femminile dell’opera. Sarà infatti attraverso Maria che capiremo il gioco che la regista vuol fare con noi, partendo da una bambola di pezza, stretta al petto da uno struggentissimo e annientato Fiasco.
L’innocenza e la femminilità come elementi dell’azione scenica, caratteristiche assieme alla positività e alla freschezza, carenti in ogni personaggio maschile.
La regista dissemina simboli molto contrastanti fra di loro e sarà solo alla fine che il pubblico riuscirà a dare senso al susseguirsi di stimoli adottati dalla regista e ad accettare le pesanti carcasse di buoi, calate d’alto all’inizio del secondo atto.

Ritorno sulla scelta di svolgere quasi tutto il prologo e il primo atto, sulle banchine del porto, dove le abitazioni dei boss e degli scaricatori di porto, sono costituite da container. Solo il rifugio di Maria ci appare inizialmente come una baracca di latta per trasformarsi in un istante dopo, in una casa di bambola. Davanti ai nostri occhi un giardino segreto che altro non è che la sua anima contenente i fiori più belli (e anche qui possiamo notare il netto contrasto con la morte e le carcasse sanguinanti), dove Maria si apre all’amore, ricongiungendosi, ancora senza saperlo totalmente, con gli uomini più importanti della sua vita: passato-Fiasco, presente-Simone e futuro-Adorno.

In apparenza totalmente passiva e ininfluente nelle scelte politiche del padre Simone, sarà solo alla fine che Maria prenderà posizione suggerendo un inizio di femminismo e discostandosi da quell’idea di carneficina morale perpetrata sino a quel punto, da tutti gli uomini che ruotano attorno alla sua vita. Di questa macelleria umana non si salverà nessuno e sarà un agnello offerto in dono al nuovo boss del porto, a far luce sulla tragedia che fino a quel punto Maria ha assistito. Un agnello, che inutile dirlo, destinato a diventare nuova carne da macello.

“Noi vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose. Vogliamo tutte le cose belle, tutte le cose belle della vita” questo rappresenta Maria ricordandomi la frase emblema del film Il pane e le rose.

Il finale è l’alba di una nuova era, peccato che continuando così nessun sole mai più sorgerà. Forti proiettori di luce, la scena totalmente spoglia, riveleranno la crudeltà dell’animo umano: lo vedremo tutti, pubblico compreso perché in un certo modo di questo sistema feroce, ne facciamo parte anche noi.

Riccardo Frizza fa una cosa di assoluta finezza, rendendoci un cast totalmente omogeneo e ben amalgamato. Intenso e vinto il bellissimo Simone cantato da un ispirato Vladimir Stoyanov, reso assolutamente carismatico nelle vesti di un simil Marlon Brando. Roberta Mantegna è una Maria sognante e concreta, dotata di bella voce espressiva, una finta giardiniera, pronta per fare l’amore con i fiori e non la guerra, in grembiulino e Crocs fiorite. Piero Pretti è il tenore appassionato che tutti i cast vorrebbero avere, canta il ruolo di Gabriele Adorno con sentimento e facilità nelle note acute. Il Fiasco di Riccardo Zannellato ha bel corpo vocale, pieno e caldissimo e imponente presenza scenica. Completano il cast: la buonissima prova Devid Cecconi (Paolo Albiani), così come Adriano Gramigni (Pietro) e Chiara Guerra (amica di Maria). Completano il successo di questa felice produzione l’Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini e il coro del Teatro Regio di Parma preparato da maestro Martino Faggiani.

Accompagnano Carrasco in quest’avventura Martina Segna (scene), Mauro Tinti (costumi) e Ludovico Gobbi (luci). 
Sempre piacevole l’atmosfera che si respira a Parma e in questo teatro, divertenti alcuni scambi di battute tra loggionisti polemici e pubblico in platea stanco di dover assistere a uno spettacolo nello spettacolo, annunciato. Verdi è più vivo che mai: basta un applauso per rompere l’imbarazzo dei fischi e riprendere a festeggiare tutti assieme, questo compositore e la sua città. Curiosa la battuta sulle carcasse dello scandalo: i loggionisti si sarebbero infastiditi poiché l’animale che meglio rappresenta la cultura di Parma è il maiale e non un ovino, ne tanto meno un bovino. Si ironizza e si continua a far alzare il sipario.

Il Festival Verdi è attualmente in corso con altre due opere: La forza del destino e Il trovatore.

Simon Boccanegra è in replica fino al 14 ottobre.

Articolo di: Susanna Alberghini

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