Per Hacca Edizioni è uscito il nuovo libro di Maura Chiulli “Ho amato anche la terra”.
Un romanzo che è un pugno nello stomaco, a tratti disturbante, crudo, spietato… vero. Chiulli dà vita a personaggi intensi, complessi che si snodano un una trama che si avvolge se stessa e sembra avvolgere la protagonista fino a strangolarla come le spire di un enorme serpente. Ma non a caso i serpenti sono animali sacri e quando il tempo giusto è arrivato… cambiano pelle.
Ecco la nostra intervista a Maura Chiulli
Il corpo ha una sua lingua che a volte è assordante e altre volte un sussurro. Come si impara?
Il corpo parla tante lingue diverse. Qualcuna impariamo a tradurla e a capirla solo dopo anni e anni di ascolto, di incomprensioni, di ribellioni, di moti ingestibili. Il corpo di solito grida molto e quando grida, il corpo domanda. Che cosa chiede il mio corpo? Mi sono posta questa domanda miliardi di volte. Solo una manciata di anni fa ho capito. Quando grida, il corpo chiede presenza. Vicinanza.
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Perché hai deciso di dedicare al corpo e alla sua percezione questo romanzo?
Ho scelto il corpo e la sua domanda perché ero pronta. È stato così difficile imparare che il corpo non parla quasi mai la lingua delle parole… La dimensione del corpo è quella del toccare: credo si nasca per godere della prossimità dei nostri corpi, per stare vicini gli uni con gli altri. Per sentirci. Ho dovuto lavorare molto sulle mie percezioni e sul mio vocabolario, ho dovuto allenarmi allo sfioro e alla densità e rinunciare a tante cose che avevo da dire. Ho lasciato andare le parole della mia testa per dare spazio solo a Corpo, che certe volte fa pure i versi degli animali e plana come un’aquila reale.
Una protagonista ingombrante in tutti i sensi. Come l’hai incontrata e cosa hai imparato da lei?
Livia non lo so se pesa veramente centotrenta chili o se ne pesa solo quaranta. So per certo che il suo corpo prende la forma dei suoi pensieri. Se i pensieri sono scuri, angosciati e strisciano come serpenti, il corpo di Livia si fa spaventoso, molle, grosso come una montagna. Se Livia deve protestare, se deve urlare o conquistare, lei tira fuori le ossa. Da Livia ho imparato che la vita arriva prima di noi, che lei c’è, esiste a prescindere dalla nostra volontà e che anche quando pensiamo di aver perso tutto, incluso l’amore, la vita resta, rinasce, fiorisce.
Quale il seme di questa storia?
Questa storia nasce molti anni fa. E rinasce un sacco di volte nella mia testa. Nasce in un viaggio a Ibiza, che mi ha prestato albe e tramonti, rinasce in un viaggio in Messico e in un ritorno a Pescara. Ma ogni volta che ho scritto una pagina di questo romanzo, ho sentito che questa storia è nata prima del fatto che volevo raccontare. “Ho amato anche la terra” è nato quando sono nata io, ma non è la mia storia. È la storia del miracolo del corpo che vive, che abbraccia da dentro, che sussurra finalmente versi d’amore.
Come si inserisce questo romanzo nella tua storia personale?
Ogni volta che scrivo storie cerco di tenere vivo qualcosa. Mi metto seduta al computer e accendo un fuoco. Passano i mesi, gli anni e alle quattro del mattino mi sveglio per tenere viva la fiamma. Mi sta a cuore tutto: dolore e salvezza. Anche se oggi mi piace tanto la tenerezza.
Cosa vorresti per questa storia?
“Ho amato anche la terra” è una storia che va sentita, toccata. Tante scrittrici e tanti scrittori che amo mi restituiscono commenti meravigliosi e già questo inizio mi fa tremare di gioia. Un desiderio vero ce l’ho: vorrei che il romanzo fosse tradotto in lingua spagnola, la lingua della libertà per Livia, del suo primo amore.
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Intervista di: Elena Torre