21lettere porta in Italia Tokyo – Stazione Ueno, il romanzo della scrittrice giappo-coreana Yu Miri, vincitore negli Usa del prestigiosissimo premio National Book Awardper la letteratura straniera. Recensito entusiasticamente dal New York Times, dal Guardian e dal Washington Post. Tokyo – Stazione Ueno è una storia moderna e dissacrante in cui i dolori personali di un uomo sono il pretesto per una feroce critica sociale, al mito del progresso giapponese fondato più sulla cura meticolosa e cinica delle apparenze che su una reale e diffusa crescita. Una denuncia ancor più potente alla vigilia delle Olimpiadi che si terranno nel paese asiatico e che l’autrice indica come una delle cause che hanno ulteriormente aumentato disuguaglianze e discriminazioni in Giappone.
Tokyo Stazione Ueno, la favola triste di Yu Miri che denuncia le discriminazioni delle Olimpiadi in Giappone
Il protagonista del romanzo è Kazu un operaio edile ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in un accampamento per senzatetto nel parco della staizione Ueno di Tokyo prima di essere sgomberato quando la città si è messa in tiro per la candidatura alle Olimpiadi del 2020.
Una coincidenza curiosa, considerato che Kazu è arrivato a Tokyo nel 1963 per lavorare come operaio per l’ammodernamento della città proprio in vista delle Olimpiadi dell’anno successivo.
Avanzando nelle pagine il lettore scopre nuovi dettagli della storia di Kazu. La sua vita è legata geograficamente ed emotivamente alle vicende della famiglia imperiale e della Stazione Ueno. Nato nello stesso anno dell’imperatore, Kazu non è stato altrettanto fortunato. Cresce in povertà a Fukushima dove lavora come raccoglitore di riso, prima di trovare lavoro a Tokyo, a centinaia di chilometri dalla famiglia che vedrà pochissime volte durante la vita. Suo figlio nato lo stesso giorno del figlio dell’imperatore e destinato ad una vita certamente migliore di quella del padre morirà a 21 anni, lasciando Kazu nello sconforto e nella rassegnazione. Dopo quella tragedia il protagonista non riuscirà a riprendersi, e deciderà di spostarsi definitivamente a Tokyo vivendo da indigente e invisibile. La vicenda di Kazu si svolge in un solo posto ma spazia nella storia giapponese dal XVII secolo ai giorni nostri, e parla a chi, come lui, ha costruito la grandezza del suo Paese, ed è stato poi dimenticato. Il romanzo è un crescendo di emozioni, fino alla sorpresa finale: Kazu è in realtà un fantasma, e il suo spirito è ritornato ad infestare lo stesso parco dal quale era stato allontanato, condannato a girovagare nel parco della Stazione Ueno e tormentare le vite dei viaggiatori e degli abitanti della megalopoli sfarzosa e scintillante.
Lo spirito di Kazu – che osserva senza essere osservato – ci mostra la quotidianeità degli abitanti di Tokyo, frettolosi, indaffarati e distratti. Mostra soprattutto però la condizione degli ultimi in Giappone, ignorati, disprezzati, maltrattati nell’indifferenza dei cittadini e nell’ipocrisia dei governanti. La paura di non sopravvivere a un’altra notte, l’ansia costante di essere sgomberati e di perdere quel po’ che si ha, ma anche il senso di comunità e di condivisione che Kazu vive con le altre centinaia di senzatetto che stazionano nel parco e, momenti di grazia che si rivelano nel percorso del protagonista, ancora più potenti in contrasto con l’emarginazione e la miseria.
Un romanzo empatico e arrabbiato che nasce dalle decine di interviste che Yu Miri ha raccolto tra i senzatetto e gli indigenti del parco della stazione di Ueno. La storia personale dell’autrice, discriminata in patria per le sue origini coreane e nata da una famiglia poverissima, è il motivo che l’ha spinta – come dichiarato alla consegna del National Book Award – a non voltare lo sguardo dall’altro lato e a dare voce al Giappone degli invisibili, soprattutto dopo il disastro di Fukushima del 2011. La povertà, l’emarginazione e la disuguaglianza sono però il sottotesto di una storia personale che racconta una condizione sempre più comune in Giappone. Una favola senza lieto fine che grazie all’abilità narrativa di Miri risulta sottile e leggera pur lasciando un enorme impatto emotivo.
Non c’è spazio per la retorica e i moralismi, la critica di Muri è cruda e reale e utile, soprattutto a noi occidentali, a scalfire l’immagine dell’utopia giapponese alla vigilia dei giochi olimpici e a riconsegnare un’immagine più veritiera e decisamente meno nobile. Un romanzo intimo ma anche sociale, un atto di accusa al capitalismo sfrenato giapponese e alla condizione degli emarginati nella metropoli moderna attraverso il punto di vista privilegiato di un uomo dimenticato dal mondo.
Per questo libro 21lettere ha ricevuto un finanziamento dalla Japan Foundation ospitata dall’Istituto di cultura giapponese di Roma, un ulteriore riconoscimento dell’importanza storica e di denuncia sociale di quest’opera.
L’autrice
Yū Miri nasce nel 1968 a Yokohama nella prefettura di Kanagawa in Giappone, risiede a Fukushima dove racconta in radio le storie dei sopravvissuti al disastro nucleare. Lascia gli studi giovanissima, dopo essere stata ripetutamente vittima di episodi di razzismo. Comincia l’attività di scrittrice componendo testi teatrali, e vince nel 1993 il Premio Kishida Kunio con Sakana no matsuri – La festa dei pesci. Si dedica poi ai saggi e e poi alla scrittura di opere letterarie. I suoi lavori si concentrano sulla condizione di discriminazione degli ultimi e degli emarginati in Giappone. Con Full House vince il premio Izumi Kyoka e il premio Noma Bungei nel 1996, mentre con Scene di Famiglia da cui è stato recentemente tratto un film, vince il prestigioso premio Akutagawa nel 1997. Tokyo – Stazione Ueno è il quarto libro tradotto in italiano dopo Oro rapace e Scene di Famiglia del 2001, e Il Paese dei suicidi del 2012. Con questo libro Yu Miri ha vinto negli USA il prestigiosissimo National Book Award per la miglior opera straniera. Attualmente è considerata una delle scrittrici di maggior successo in Giappone.