“Chiamami ancora amore” è un potente mélo, un genere che porta nella storia la realtà dei sentimenti, lacerati e feriti, l’amore che si rovescia nell’odio, la crisi di una famiglia, il bisogno di una ricomposizione, dichiara il direttore di Rai Fiction Maria Pia Ammirati. La forza di questa miniserie sta nella verità della vita che racconta, grazie a un complesso lavoro di scrittura e alla regia di Gianluca Maria Tavarelli che scandaglia il volto dei protagonisti, resi con coinvolgente e umanissima intensità da Greta Scarano, Simone Liberati, Claudia Pandolfi e dal piccolo Federico Ielapi.
In tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, mi piace pensare a Chiamami ancora amore come a un laboratorio in cui il dolore alimenta una speranza. E grazie a Indigo con cui abbiamo condiviso un’esperienza nuova che, ci auguriamo, appassionerà il nostro pubblico.
“Chiamami ancora amore” in anteprima su RayPlay
Raccontare le cose che accadono realmente nelle nostre vite, le storie d’amore, le famiglie, i figli: è la sfida più difficile ma anche quella più appagante per un produttore, dichiara il produttore Indigo Film Francesca Cima. Riuscirlo a fare con un linguaggio contemporaneo, ma al tempo stesso caldo e avvolgente ci rende molto fieri di questo progetto. È il risultato di un importante lavoro di squadra che si riflette in tutte le componenti artistico-produttive: a partire dalla Rai che ne ha subito compreso le potenzialità, la scrittura di Giacomo Bendotti affiancato da Sofia Assirelli, la regia di Gianluca Tavarelli, un cast eccezionale che regala verità a tutti i personaggi.
Come si fa ad amare così tanto e a sbagliare tutto lo stesso?
Solo chi ami può distruggerti. Solo la persona a cui hai rivelato le tue debolezze e i tuoi errori, a cui hai chiesto aiuto e ne hai dato, solo quella persona può davvero rovinare la tua vita.
Anna ed Enrico si sono molto amati. E poi si sono molto odiati.
Dopo undici anni di matrimonio e un figlio, si separano.
La loro separazione diventa ben presto una guerra distruttiva, col risultato che i servizi sociali sono costretti a intervenire per valutare la loro capacità genitoriale.
Com’è possibile che una coppia che è stata così complice e affiatata non riesca a risparmiarsi umiliazioni e vendette?
Come può un amore così grande sfociare in un odio tanto cieco?
Toccherà a un assistente sociale andare in fondo alla loro storia, ripercorrendola dall’inizio fino a scoprire il vero motivo dello scontro.
Attenzione non si tratta di una semplice storia d’amore finita male, ma è un profondo scavo psicologico che analizzi le motivazioni che possono portare a certe dinamiche. La colpa è di Anna che si lascia affascinare da un collega o di Enrico che non riesce più a dare gioia alla moglie? O forse tutto nasce dal fatto che si sono sposati perché lei era incappata in una gravidanza non pianificata? Gravidanza che cambia loro la vita. Ma forse non è nemmeno questo il motivo che porta la relazione a sfaldarsi dopo undici anni. Non è né bianco né nero e la colpa non sta da una sola parte. Come reagiscono gli uomini e come le donne? Evitati gli stereotipi di genere ci troviamo innanzi a personaggi perfettamente delineati e realistici.
E come vive tutto ciò il figlio? Quali sono i suoi sentimenti? Saranno traumi futuri come quello che si è portata dietro Anna in seguito alla morte della madre? Sarà usato come arma nella lotta? Attraverso l’occhio di Rosa, l’assistente sociale, noi saremo chiamati a capire le connessioni, i motivi di un certo modo di agire, ma non per giudicare, semplicemente per comprendere come una grande storia d’amore possa deflagrare. E, in quel caso, davvero non c’è più amore? Una miniserie di cui lo staff di produzione esclude un seguito, che si svolge come un giallo dove man mano che procede le tessere si intersecano come un puzzle.
Giacomo Bendotti ricorda di aver pensato: “Dovrei mettere una telecamera nascosta qua dentro” pensai un giorno. Qua dentro era la cameretta di mia figlia, che aveva poco più di un anno. Ciò che volevo spiare era il comportamento della mia compagna, sua madre, per capire se sapeva giocare con lei. Fu un pensiero fugace, di cui mi vergognai un attimo dopo averlo formulato, ma era l’evidente frutto della difficoltà che stavamo vivendo,
sopraffatti dalla stanchezza, dalla mancanza di sonno, dalle insicurezze di entrambi. Eravamo maldestramente alle prese con una complessità nata insieme a nostra figlia nell’istante stesso in cui le forbici stondate dell’ostetrica aveva reciso il suo cordone ombelicale. Quelle forbici a forma di scimitarra non avevano separato la madre e la neonata, che continuarono per mesi a essere un unico corpo. Separavano invece gli amanti. Noi due dovevamo fare spazio, nel mezzo, a una terza persona, che ci avrebbe definito per sempre come genitori e che ci avrebbe costretto a ridisegnare il nostro rapporto.
“Chiamami ancora amore” nasce dal desiderio di raccontare quel passaggio delicato, che a volte dura settimane e a volte anni, ma che qualsiasi coppia con figli ha attraversato. È un momento di trasformazione e di conflitto. È il punto di convergenza di due storie famigliari, di due diverse educazioni, di due separati bisogni di affermazione e riparazione. È il momento in cui ci ritroviamo inaspettatamente a rimproverare all’altro di essere come suo padre o sua madre. È una prova che ci obbliga a rifondare il patto amoroso o a distruggerlo.
Anna ed Enrico, i nostri protagonisti, hanno deciso di distruggerlo. Di più: hanno deciso di distruggersi.
Ma come affrontare un dramma che molte famiglie conoscono senza scendere nel pietismo o nello stereotipo?Il regista Gianluca Maria Tavarelli dichiara che nell’affrontare la regia di: Chiamami ancora amore ho immediatamente realizzato che la strada che volevo percorrere per raccontare questa storia fosse quella di non spettacolarizzare il testo. Volevo che la macchina da presa seguisse i nostri protagonisti in modo semplice e naturale. Volevo che lo spettatore fosse sempre addosso e insieme a loro, in tutti i momenti delle loro vite. Per questa ragione nella serie non ci sono quasi movimenti di macchina, carrelli o dolly, la macchina è sempre a mano e segue i personaggi in modo quasi documentario. E anche la luce non è mai troppo “costruita” o leccata è sempre molto naturale. Ho evitato qualsiasi tipo di ripresa che potesse essere eccessivamente artefatta o elaborata e potesse dare una sensazione di eccessiva finzione. Durante il montaggio anche l’utilizzo dei droni è risultato scollato dal racconto, come se l’eccessiva bellezza di alcune riprese e di alcuni panorami ci allontanasse dalla verità della storia, dalla sua normale quotidianità.
Riducendo al minimo l’impatto che la macchina da presa ha con l’attore, diventava fondamentale che anche il più piccolo ruolo fosse scelto con estrema cura. Ed è in quest’ottica che il lavoro di ricerca e selezione degli interpreti è stato determinante. Oltre ai nostri due protagonisti, Greta Scarano e Simone Liberati, e a Claudia Pandolfi, è stato fondamentale che tutti gli altri personaggi non perdessero mai di credibilità, fossero sempre perfettamente inseriti nel tessuto narrativo del racconto, che insieme ai nostri protagonisti “vivessero” con intensità le varie vicende della nostra storia. Dai ruoli più grandi a quelli più piccoli troverete sempre un’estrema verità e realtà.
Dalla visione di questa serie spero che trarrete la sensazione di essere immersi “nelle vite degli altri”, vite, che per molti versi, sono identiche alle nostre.
La serie tv (3 serate) sarà in prima visione su Rai 1 da lunedì 3 maggio e gli episodi 1 e 2 da 50 minuti in anteprima su RaiPlay dal 26 aprile.
Articolo di: Luca Ramacciotti