Intervista a Marcella Malfatti
Ospite del nostro spazio dedicato alle interviste e agli autori la scrittrice Marcella Malfatti da poco tornata in libreria con il libro Visioni edito da Giovane Holden Edizioni.
Quando nasce Visioni e cosa ti ha convinta a tornare alla scrittura?
Il progetto di una nuova raccolta di racconti, dopo quella dell’esordio pubblicata da Mauro Baroni nell’ormai lontano 2005 intitolata Misteri Quotidiani, nasce lo scorso anno durante una chiacchierata con Miranda Biondi, amica carissima nonché editor della Giovane Holden Edizioni di Viareggio; Miranda, come del resto anche Elena Torre, scrittrice e altra amica carissima, mi ha sempre spronato a scrivere, mentre io sono un po’ pigra e in tutti questi anni mi sono accontentata di pubblicare alcuni racconti, e sempre solo uno per volta, in diverse antologie: quindi in realtà non ho mai smesso di scrivere, ma ho solo scritto assai lentamente. Stavolta ho decisamente rotto gli indugi e, complice il tanto sospirato pensionamento, che mi ha restituito e reso possibile quella libertà di pensiero e di concentrazione e soprattutto i necessari tempi di gestazione affinché un’idea, una sensazione o un’immagine potessero prendere forma e concretizzarsi in un racconto, la forma di narrazione che mi è più congeniale.
Dimensione onirica, fantastica, visionaria è una costante del tuo narrare. Cosa troveremo in Visioni?
Pur ammirando la narrativa realista (amo moltissimo i classici: Tolstoj e Dostoevskij, Maupassant e Flaubert, Steinbeck, Verga, Morante, Cassola e tanti altri, tutti autori che ritengo indispensabili per la formazione di una cultura letteraria di base), tuttavia prediligo da sempre la narrativa fantastica, o, meglio, quel genere di letteratura che oggi viene definita “realismo magico”, in cui un elemento disturbante, o per così dire dissonante, compare improvvisamente – o subdolamente – nella narrazione stravolgendo e gettando una luce totalmente diversa e “straniante” sulla vita di tutti i giorni; sarà perché fin da ragazzina mi sono nutrita a pane e racconti di E.T.A. Hoffmann, di Edgar Allan Poe, di Ray Bradbury, di Franz Kafka, di Dino Buzzati: tutti scrittori con la comune caratteristica di descrivere situazioni al limite del soprannaturale, del grottesco, del fantastico.
In Visioni è ovviamente presente la dimensione… visionaria, sia che si tratti di un viaggio solitario tra sogno e realtà, in una sorta di dormiveglia in cui apparizioni bizzarre, luoghi improbabili e situazioni strane ruotano vorticosamente intorno alla protagonista, sia che oggetti appartenenti alla più banale quotidianità si trasformino in inquietanti varchi magici verso l’incognito e l’inconoscibile; vi si potrà infine trovare una favola nel più puro stile della narrazione d’invenzione, animata da un messaggio morale che, seppur esposto in modo divertente, ritengo assai importante.
In che modo il tuo amore per il disegno e la pittura trovano spazio in questi racconti?
Certamente con la descrizione piuttosto minuziosa, che spero non risulti troppo pedante, dei luoghi e degli oggetti: le architetture urbane (la piazza, le strade, il vicolo), la porta e tutti i suoi orpelli, la statua, gli arredi interni, gli specchi…
Trovo che descrivere le cose con le parole sia un esercizio assai affine al disegno e alla pittura, infatti ho pensato bene di arricchire il libro con un mio disegno per ognuno dei tre racconti presenti.
Svelaci qualcosa sulla copertina…
In copertina c’è l’immagine di una mia terracotta policroma intitolata “Archeologia vivente”. Si tratta della forma dell’occhio del David di Michelangelo, che ho rivisitato dipingendola in modo che apparisse come un reperto archeologico appena dissotterrato ma con l’occhio aperto e vivo che si guarda intorno quasi stupito: trovo che il contenuto dei miei racconti, non solo quelli contenuti in questo libro ma un po’ in tutti quelli che ho scritto finora, possa essere sintetizzato da quello sguardo fissamente attonito, in realtà impossibile come le storie che amo raccontare.
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