Cristina Borsatti è story editor, sceneggiatrice, giornalista e autrice televisiva.
Insegna sceneggiatura presso l’Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma.
È autrice di molti testi e “Scrivere per il cinema e la televisione” è il suo ultimo libro, edito da Editrice Bibliografica
Sotto quali spinte nasce questo libro e a chi è diretto?
Questo libro nasce dal desiderio di mettere su carta circa vent’anni dedicati all’insegnamento della scrittura cinematografica e televisiva. Non poteva che essere diretto a loro, ai miei studenti. Sono giovanissimi, hanno tanta passione e poca esperienza, per questo è necessario partire dalle basi. Il libro, perciò, prende per mano il lettore, uno sceneggiatore alle prime armi, e lo immerge, senza dare nulla per scontato, nei tanti linguaggi che è necessario apprendere se si vuole fare questo mestiere. Affascinante, ma anche molto complesso.
Scrivere per il cinema e la televisione cosa hanno in comune?
Tante cose, ma ci sono anche le differenze. Una storia è sempre una storia, a prescindere dal mezzo che si utilizza per raccontarla, ma è anche vero che le modalità di diffusione sono alla base delle scelte che opera il narratore. Per esempio, sarebbe utile chiedersi di quale televisione stiamo parlando: free, pay, on-demand o streaming? La risposta ha più di una conseguenza. Pensa solo a cosa può significare dover prevedere delle pause pubblicitarie o poterne fare a meno. In ogni caso, la più rilevante differenza risiede nella serialità insita nel mezzo televisivo. Quelle che oggi chiamiamo serie tv, diretta filiazione dei romanzi a puntate dell’Ottocento, hanno bisogno di creare dipendenza, affezione. Esistono, dunque, tutta una serie di strategie, che ci aiutano ad agganciare lo spettatore e a trattenerlo nella rete, per molto, moltissimo tempo. Il cinema, a meno che non diventi seriale (pensiamo ai film dedicati a James Bond o ai numerosi capitoli della serie Marvel) non ha le medesime preoccupazioni.
Quante declinazioni ha la scrittura?
Fiction, non fiction, introspettiva, adventure. Molteplici se pensiamo al suo contenuto. Ma anche la forma è sostanza, e produce conseguenze. La storia è lì per essere raccontata, non vorrei ripetermi, ma la scelta del mezzo include competenze e scelte diverse. Pensa solo a quanto è complesso l’adattamento, il trasporre da un mezzo espressivo all’altro la medesima storia. La parola si perde in traduzione quando un romanzo diventa un film. La cosa straordinaria è la presenza di un comune denominatore, il racconto, che puoi declinare quanto vuoi, ma possiede sempre le stesse regole.
Conoscere i meccanismi di scrittura può essere un’arma a doppio taglio per lo spettatore… che ne pensi?
Direi che è un’arma a doppio taglio soprattutto per lo sceneggiatore. I problemi narrativi li avverti anche se non conosci i meccanismi di scrittura, ma se cominci a dargli un nome per chi ha compiuto l’errore è finita. La verità è che il pubblico li conosce inconsciamente, siamo tutti critici raffinati, come se il racconto facesse parte di noi sin dalla nascita. Non abbiamo bisogno di istruzioni per l’uso. Ulteriori competenze, in ogni caso, sono utili anche allo spettatore, che può così godere di un divertimento a più livelli. Esperto o meno, per lo sceneggiatore dovrebbe essere sempre il primo pensiero, e anche l’ultimo. Il suo coinvolgimento, è essenziale per la riuscita di un film o di una serie.
Quale ruolo ha o dovrebbe avere il cinema oggi?
Quello di sempre. All’apparenza intrattenere, allontanarci dalla nostra quotidianità e farci vivere esperienze straordinarie. Nel profondo, metterci in contatto con l’altro, facendoci così sentire meno soli.
Cosa vorresti per il cinema?
Vorrei che la sala cinematografica tornasse ad avere un ruolo di primo piano. Stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione, che sta mettendo a dura prova i cinema, ma anche la televisione tradizionale. Il “nemico” è comune e si chiama internet. A parte gli scherzi, si tratta di una fase di mutamento che porterà con sé grandi trasformazioni. Perciò, sì, mi auguro che le sale riescano ad attrarre nuovamente il pubblico, e in tempi brevi. In realtà, ne sono convinta, anche se non so quando accadrà. L’esperienza di visione in una sala cinematografica è troppo simile a quella che abbiamo quando sognano perché il pubblico possa davvero rinunciarvi.
A novembre uscirà il volume 2 di Scrivere per il cinema e la televisione. Si intitola Scrivere sceneggiature. Dal grande al piccolo schermo. Di cosa tratta e quanti volumi serviranno per completare il discorso?
Parto dalla fine. Non ne ho idea, l’argomento è vastissimo e in progress. Forse tre, per chiudere un cerchio. fa un passo avanti rispetto al volume precedente. Le basi le do un po’ per scontate e allora ho deciso di entrare a gamba tesa nella scrittura per immagini. È un saggio diviso in tre parti. La prima è tutta dedicata alla scrittura televisiva. Molte ore di programmazione e un’infinità di linee narrative, tutte da costruire. La seconda parte è invece dedicata all’adattamento. Ho tentato di definire le principali procedure da mettere in campo per trasporre un libro in film, ma anche un film in una serie. In sintesi, cerco di spiegare quanto la fedeltà assoluta al testo originale sia pericolosa. Cosa dunque fare e perché. O, almeno, ci ho provato. L’ultima parte è stata una sfida… mettere in fila le tendenze strutturali del cinema contemporaneo, sempre più autoreferenziale, citazionista, multilineare e in grado di moltiplicare i piani di realtà. Una sfida dedicata a chi vuole scrivere un film corale o una complessa sceneggiatura alla Nolan.
Intervista di Elena Torre