Paola Catella è scrittrice, sceneggiatrice e autrice televisiva autrice di “Celestino” una delicata favola edita dal GruppoAbele. L’abbiamo raggiunta per saperne qualcosa di più.
Perché la diversità spaventa?
La diversità rappresenta qualcosa di “altro” rispetto a ciò cui siamo abituati, che siano canoni estetici, esistenziali, religiosi o culturali.
Le diversità esistono da sempre, tutti gli esseri umani sono diversi tra loro, e riconoscere tale diversità è sacrosanto.
E’ il passo successivo che fa la differenza: possiamo avere paura di ciò che non conosciamo, oppure possiamo avere la curiosità di conoscere chi è “altro” da noi.
Quando ciò che è simile a noi è considerato la norma, e in quanto tale l’unica giusta realtà, allora chi esula da essa è percepito come “anormale”, con tutto il carico dispregiativo che questo termine comporta e i conseguenti meccanismi irrazionali di paura e discriminazione.
Ciò che è diverso da noi rappresenta una violazione della norma, quindi una minaccia da tenere lontano, da combattere, da eliminare in quanto non omologato e non omologabile.
Quando invece siamo liberi da pregiudizi sulla “normalità”, la diversità non ha una connotazione negativa: siamo tutti simili e tutti diversi, ma nessuno è migliore o peggiore.
Se pensiamo agli altri come facce diverse della stessa medaglia, allora la curiosità prevale sulla paura e invece di allontanarci ci avviciniamo a ciò che è diverso da noi, per conoscerlo e ampliare i nostri orizzonti.
Quali sono state le difficoltà e quali i vantaggi di parlarne ad un pubblico di bambini?
I bambini per loro natura sono portati alla curiosità, e questo rappresenta sicuramente un vantaggio per stimolarli a un approccio sano nei confronti di ciò che è diverso.
Ma l’età della crescita è anche quella più a rischio. I bambini cercano di capire chi sono e l’appartenenza a un gruppo ben definito fornisce una identità e una sicurezza di fronte alle trasformazioni che devono affrontare.
Purtroppo spesso la dinamica stessa del gruppo porta ad una contrapposizione rispetto a chi non ne fa parte. Celestino è il classico caso di bambino che viene escluso dal gruppo perché diverso.
Quello che ho cercato di fare con questo libro è di non mettere l’accento sulla sua sfortuna, di non stimolare il pietismo verso Celestino, ma di sottolineare la stupidità di chi gli sta intorno.
Se chi legge il libro ride di chi ha paura di un bambino blu, ride dell’arroganza di chi vuole a tutti i costi farlo diventare uguale agli altri magari dipingendolo, ride dell’ignoranza di chi pensa che il diverso sia pericoloso, io credo che quella risata sia pedagogica.
Perché se un bambino giudica ridicolo un comportamento probabilmente eviterà di emularlo. Si parla spesso del rischio di emulazione a proposito di comportamenti violenti descritti in libri o film.
Si vede che il “cattivo” fa soffrire, causa dolore, e alla fine magari la pagherà cara, ma c’è sempre il rischio che il bambino o l’adolescente possa pensare: si vabbè, è cattivo, però è molto fico il fatto che tutti lo rispettano e hanno paura di lui…
Ma se io leggo o vedo un cattivo che con il suo comportamento si copre di ridicolo non mi verrà mai in mente di ripetere i suoi gesti.
Quando hai incontrato Celestino?
Credo che tutti noi siamo destinati a incontrare Celestino prima o poi, a viverlo sulla nostra pelle o su quella di altri.
Io l’ho conosciuto in maniera più drammatica attraverso mia figlia, il cui colore blu durante l’infanzia era dato dalla sua estrema timidezza e sensibilità: caratteristiche che attirano il bullismo come calamite.
Ho vissuto le sue difficoltà come lacerazioni e ancora adesso ne parlo con difficoltà.
Cosa hai imparato da lui?
Ho imparato quanta sofferenza può generare l’ignoranza e la superficialità, ma anche che non bisogna mai arrendersi, mai rinunciare alla propria originalità, e soprattutto non permettere a nessuno di considerarsi migliore di te.
Cosa vorresti per i bambini?
Come dico alla fine del libro, vorrei che i bambini non si sentissero mai soli o non accettati, vorrei che crescessero con la consapevolezza che tutti siamo diversi tra noi e tutti siamo unici.
Mi piacerebbe che fosse loro insegnato che l’umanità è simile a una grande orchestra, in cui coesistono strumenti diversissimi tra loro eppure ognuno potenzialmente utile all’altro, dal virtuoso pianoforte fino all’umile triangolo.
Se fossimo tutti tromboni nessuna grande sinfonia sarebbe mai stata composta.
L’importante è che questi strumenti, così diversi tra loro, si armonizzino: in questo modo potremo godere della musica, altrimenti avremo solo rumore.
Intervista di: Elena Torre
Foto/disegno GruppoAbele