DIRAQ – OUTSET (Jap Records)
OUTSET è il nuovo LP dei Diraq. Un lavoro che parla di provincia, di sogni e speranze, di lotte, di vendette e di amicizie, di certezze ed incertezze nei tempi che cambiano veloci. Il disco dipinge una realtà prettamente surreale, dove personaggi e situazioni sono allegorie dei vari connotati della società, rappresentati dai contrasti sociali, colore della pelle, intolleranze di genere e un costante desiderio di evasione, o semplicemente di trovare il proprio posto nel mondo. Registrato da Antonio Gramentieri e Roberto Villa nello studio L’amor mio non muore (Forlì, IT) Masterizzato da Giovanni Versari – La Maestà Mastering (Tredozio, IT)
Quando avete iniziato a fare musica?
Era l’Aprile 2009, qualche vita fa rispetto ad oggi, ma la missione di scrivere la nostra musica è rimasta integra in tutti questi anni. Siamo stati fortunati a trovare sempre nuovi stimoli anche quando sarebbe stato comprensibile dedicarsi ad altre cose, in questo tempo abbiamo pubblicato dei lavori discografici e suonato ovunque fosse possibile, ora siamo qui a raccontarvi di “Outset”, il nostro nuovo disco, ne siamo contenti.
Con quali artisti siete cresciuti?
Molti, sia italiani che internazionali, suggestioni immagazzinate ed elaborate nel tempo, le abbiamo lasciate decantare evitando di scadere in quel provincialismo che porta a cercare un paragone estero di successo per giustificare le cose che succedono a casa nostra, possiamo dire che siamo interessati a quei musicisti che partono da una tradizione ma che allo stesso tempo non scadono nel citazionismo, ma anzi tentano di aggiungere qualcosa al già detto, qualcosa di interessante che ridefinisca le coordinate dei generi. Siamo ontologicamente contrari a qualsiasi purismo, a qualsiasi manierismo e cerchiamo di premiare maggiormente l’urgenza comunicativa e il tentativo di originalità.
Come nasce la vostra musica? Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Ognuno apporta il suo contributo nella fase di scrittura, cerchiamo sempre di guardarci intorno con curiosità, l’ispirazione non per forza deve nascere dall’ascolto di altra musica; può nascere da un viaggio personale, una fotografia, un aperitivo, una notte insonne. Il processo consiste nel mettere sul piatto qualcosa che abbia senso condividere, qualcosa che sia appetibile non solo a noi. Siamo una band che si lascia ispirare da diverse suggestioni per fare musica d’insieme.
Di cosa parla la tua nuova avventura musicale?
“Outset” è un rituale che porta a guardare ad ogni giorno come un possibile nuovo inizio, non ha la formula del concept album, anzi, ogni canzone è come una fotografia sfocata sulla complessità dei nostri tempi. Al suo interno ci sono canzoni che ci piace definire come frutto di un meticciato contemporaneo che tenta di raccontare un desiderio di emancipazione all’interno di una realtà a tratti violenta e superficiale, altre volte leggera e trasognata. “Outset” è una parola dal gusto cinematografico, un set in cui da Cabo Sao Vicente guardiamo verso sud/ovest alla ricerca di un mondo che ci somigli, un mondo immaginario, minaccioso e romantico.
Quali sono i generi in cui spazi nella tua produzione?
Abbiamo l’attitudine di un gruppo rock, poi se si va ad ascoltare più attentamente di rock c’è meno di quanto possa sembrare, un’ispirazione è sicuramente la musica americana, quella di frontiera e di scrittura, poi la black music e l’afro blues, reminiscenze del twang italiano, film pulp e chissà cos’altro. Si parla sempre poco del sound di una band, invece è una cosa su cui soffermarsi, perché è materia davvero delicata e mutevole, figlia di equilibri interni ed esterni, variabile difronte a connotati geografici ed emozionali. Abbiamo cambiato qualche componente nel corso degli anni, e anche volendo impegnarsi a rimanere sui binari di uno stile, ogni cambio di formazione ti porta inevitabilmente in altre direzioni, anche noi stessi, due, cinque o dieci anni fa eravamo altro da ciò che siamo ora, anche le canzoni di Outset risuonano diversamente ogni volta che vengono riprodotte dal vivo, ogni tanto è bello anche lasciare che la musica si muova libera, senza dover per forza definirne i confini.
Cosa ne pensi dei social e del web in generale come mezzo per farsi conoscere?
Il media va bene, è uno strumento per comunicare in maniera diretta con chi segue la tua proposta. Noi ci serviamo dei social, ma cerchiamo anche di non esserne servi, si cerca di usare il media con stile ed eleganza, ma ci rendiamo conto che non è sempre semplice essere dei buoni comunicatori senza scadere nello “stay tuned”. Tendenzialmente bisogna avere qualcosa dire, se si ha la si può dire ovunque, sul palco, sui social, al bar. Nei momenti in cui non si hanno cose da dire o da fare, crediamo sia più dignitoso un bel silenzio stampa che abbandonarsi a postare un selfie con il cibo.
Cosa non deve mai mancare in un brano che ascoltate e in uno che scrivete?
Il racconto ed il coraggio nell’esporre, una visione personale e un bel suono, sembrano cose semplici, ma appartengono a pochi.