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Conosciamo meglio Piergiorgio Paterlini

Piergiorgio Paterlini torna con un nuovo romanzo dal titolo di “Bambinate” per l’editore Einaudi.

Uno stile asciutto, un ritmo incalzante, una lucida descrizione di ciò che gli innocenti bambini son capaci di fare.

Grafica Divina

Il libro parrebbe far notare che il fenomeno del bullismo esiste da sempre. Negli ultimi tempi è solo in crescita o ci si pone maggior attenzione?

Ho ambientato il libro nel 1965, almeno per quanto riguarda l’episodio di violenza fra bambini(non uso più il termine bullismo perché diventato modaiolo ed equivoco) proprio per sottolineare che l’inaudita violenza nel “gruppo dei pari” (che “pari” non sono affatto) non è qualcosa che è nato con l’avventi degli smartphone. Non c’è un solo libro che racconti lucidamente, onestamente l’infanzia e l’adolescenza in cui non ci sia questo mare di dolore, di ingiustizia, di esclusione. Del resto, le citazioni che contrassegnano ogni sezione del romanzo partono addirittura dall’Antico Testamento. Direi dunque da un bel po’ di tempo fa. E certamente quando i cellulari ancora non c’erano.

Gli adulti non vedono o non vogliono vedere ciò che fanno i ragazzi tra di loro?

E questo è il secondo aspetto del romanzo. Gli adulti non vedono e non vogliono vedere, cioè capire. A loro volta i bambini e i ragazzi – che vedono e sentono e capiscono eccome – mai ammetterebbero di essere stati feriti da un loro “pari”, appunto. Troppo umiliante. I bambini e i ragazzi sono inesorabilmente preda dell’ideologia degli adulti, in questo, e cioè che pari età significhi pari potere. Naturalmente è vero il contrario, qualunque genitore, insegnante, psicologo lo sa. Lo sa ma non lo sa. E il malefico cerchio in questo modo non si spezza mai.

Un viaggio nella memoria, nei luoghi, nei sensi di colpa, una vera e propria Via Crucis per il protagonista.

Esatto.

Quanto della mentalità descritta del paese in cui si svolge la vicenda può essere vista come mentalità di tutta l’Italia?

Totalmente. Anche se la “provincia” ha connotazioni proprie che possiamo dire, credo, rappresentano il terzo elemento fondante del romanzo: i bambini fra loro, gli adulti e i bambini, la provincia appunto.

C’è qualche aneddoto, ricordo biografico nel libro?

Nessuno. O davvero pochissimi e secondari. Mi diverte il fatto che la pagina che immagino il lettore possa – e con qualche ragione – pensare costruita ad arte – la lettera del mio amico Paolo, da Casarsa, il paese di Pasolini – sia invece completamente vera. Vera la lettera, vero il luogo da cui mi è arrivata, vero il nome del mio amico, che si chiama Paolo anche nella realtà, non solo nella finzione romanzesca. Per il resto, si tratta davvero di una storia di invenzione, ambientata in un paesino riconoscibile ma che ho reinventato in mille particolari.

 

Intervista di: Luca Ramacciotti

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