Joey Weber ha da poco pubblicato per le Edizioni Mediterranee Perché la mindfulness non basta un prezioso libro che ci mostra quanto la mindfulness sia utile per il nostro benessere, ma come lo diventi molto di più se unite alla compassione e all’empatia. Ecco che cosa ci ha raccontato in questa intervista!
Negli ultimi anni la mindfulness ha avuto una larghissima diffusione, quali secondo lei i motivi?
Penso che ora più che mai il mondo sia diventato polarizzato – i social media e la nostra intera identità sembrano basarsi sulla connessione con determinati gruppi e non altri. Ci piace o non ci piace e i nostri giudizi diventano molto chiari e categorici. Le nostre identità allora ruotano intorno a questi giudizi e così facendo perdiamo di vista noi stessi. Penso che il mondo avesse bisogno di una qualche forma di aiuto – una via d’uscita dal caos disordinato e il ritorno a qualcosa di più semplice. Siamo anche ampiamente influenzati dal punto di vista scientifico e l’esplosione di studi per dimostrare l’efficacia della mindfulness ha portato tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso o dall’etnia, a interessarsi e a mettere in discussione le cose. Penso che sia arrivata in un momento di crescente angoscia e disagio e la mindfulness è stata un metodo di auto-aiuto per contrastare la naturale sofferenza della vita.
Joey Weber conoscere se stessi in che modo aiuta ad andare verso gli altri?
Se non conosciamo noi stessi stiamo semplicemente proiettando e diluendo la potenzialità terapeutica della nostra relazione con gli altri. Solo conoscendo un po’ te stesso puoi iniziare a offrire un aiuto autentico e genuino. Altrimenti, i “giochetti” a cui giochiamo, potremmo farli perchè la società ritiene che vadano bene o perché ce l’hanno detto i nostri genitori! Penso che conoscere noi stessi sia un modo per capire quanto ci auto-inganniamo ed essere liberi dall’imputare i nostri pregiudizi agli altri.
Stiamo vivendo un momento di forti contraddizioni e in cui c’è la tendenza a polarizzare tutto, a separare, opporre. Quali secondo lei i motivi di questa tendenza e cosa fare per superare o accogliere questo contrasto?
Sono completamente d’accordo! Penso che il modo in cui ci piace o non ci piace, il continuo scorrere dei social, il mettere tutto in categorie significa che, col tempo, ci riduciamo alle nostre simpatie e antipatie invece di riconoscerle come una parte del nostro condizionamento passato. Perdiamo il senso di sé e la connessione perché siamo in gran parte dissociati da noi stessi. Quando questo succede iniziamo a funzionare in uno stato di nervosismo e paura. Quindi nella nostra cara vita ci aggrappiamo ai nostri “mi piace” e “non mi piace” mentre questo ci rende sempre più polarizzati e ancora più disconnessi. Penso che la polarizzazione sia una disfunzione della relazione perché abbiamo perso il metodo di creare legami e armonia sociale.
Quali sono gli ostacoli più grandi che si pongono sul nostro cammino?
Il Sé. Gli strati di autoinganno e il modo in cui la società ci sta impedendo di prosperare. È colpa nostra, delle nostre società o una via di mezzo? I miei ostacoli sono la paura di perdere occasioni, la paura di decisioni sbagliate e di indecisioni, nonché i vizi del passato come il fumo o l’alcol intesi come un modo per far fronte a un mondo pazzo che ora mi sta rincorrendo!
La compassione è una via percorribile? Come camminarci dentro?
L’antica convinzione è che nasciamo con una quantità limitata di compassione: io dico che è pazzesco perché può essere insegnata e può crescere man mano che la persona si evolve nel corso della vita. Cambiando questa prospettiva, la società deve riordinare le sue priorità e insegnare la compassione come una funzione umana fondamentale – forse l’unica funzione che abbia senso. Dobbiamo passare dalla mindfulness come forma di auto-aiuto a un approccio più socialmente orientato che affronti una prospettiva più ampia. Lavorando su entrambi allo stesso tempo – chissà che forse un giorno qualcosa succederà. Forse è come con l’uovo e la gallina. Cosa è venuto prima: compassione o illusione. Dal mio punto di vista, l’unico modo per camminare nella compassione è praticare l’equanimità, che è ciò di cui parla il mio libro: essere onesti rispetto a chi si pensa di essere e mettere sul tavolo i propri pregiudizi.
Da Leggere Joey Weber Perché la mindfulness non basta Edizioni Mediterranee
Intervista di: Matilde Alfieri