Eventi climatici estremi nelle regioni del nord, in particolare in Lombardia e Liguria (su Genova sono caduti in sole 24 ore oltre 200 millimetri d’acqua di cui 80 in una sola ora), mentre in Sicilia gli incedi continuano a distruggere ampi spazi naturali nel palermitano, nel messinese e nel trapanese. Frane, smottamenti, alluvioni.
È questa la rappresentazione di una situazione italiana che da straordinaria sta diventando ordinaria. Gli eventi atmosferici estremi non sono più un’eccezione, ma quasi la normalità: si susseguono con una frequenza tale che non si fa in tempo a dichiarare uno stato di emergenza che subito arriva la richiesta per dichiararne uno nuovo. Un trend pericoloso e drammatico a cui dovremmo abituarci, trovandosi l’Italia proprio al centro del Mediterraneo, una delle regioni del Pianeta più minacciate dalla crisi climatica.
Eppure, il nostro Paese continua a non mettere al primo posto dell’agenda politica i temi del contrasto alla crisi climatica e dell’adattamento ai cambiamenti già in corso. Anzi sembra quasi che voglia mettere da parte, ignorare e persino negare la necessità di azioni non più rimandabili, facendo finta di non vedere le pesanti conseguenze sulle vite umane e sull’economia dovute alla inazione politica.
In questi giorni si discute della prossima legge di bilancio e della difficoltà di trovare i miliardi che mancano attraverso tagli a servizi o a bonus fiscali, ma ben ci si guarda da discutere di intervenire sui Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) che secondo i dati del Ministero dell’Ambiente ammontano a 22,4 miliardi di euro l’anno (Catalogo dei sussidi ambientali 2022). Sussidi che continuano a ritardare la necessaria transizione ecologica, rafforzando attività economiche (tra cui la produzione e il consumo di combustibili fossili) che amplificano la crisi climatica a suon di miliardi e di vittime. Come se questo non bastasse, nei circa 16 miliardi di definanziamenti al PNRR decisi a luglio dal Governo ci sono, guarda caso, molti degli interventi che erano previsti per la prevenzione e l’adattamento al cambiamento climatico (soprattutto nel contrasto al dissesto idrogeologico), l’efficienza energetica dei Comuni, la rigenerazione urbana, la promozione di impianti rinnovabili innovativi, fino alla tutela e al miglioramento del verde urbano ed extraurbano.
Scelte incomprensibili se si osserva la situazione del nostro Paese che su questi settori registra fortissimi ritardi.
Per completare il quadro drammatico non possiamo non ricordare come ad oggi l’Italia non abbia ancora una Legge sul Clima, né una Legge sul consumo del Suolo, nonostante la cementificazione del territorio proceda a ritmi impressionanti (due metri quadrati al secondo, 19 ettari al giorno, secondo l’ultimo Report ISPRA) e nonostante l’impermeabilizzazione del suolo aumenti notevolmente gli effetti negativi delle precipitazioni straordinarie sempre più frequenti.
È ancora in discussione il Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) le cui versioni fin qui uscite non mostrano il coraggio necessario per raggiungere gli obiettivi di uscita da tutti i combustibili fossili con conseguente passaggio alle fonti rinnovabili.
Allo stesso modo non è stato ancora approvato il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) che dovrà indicare obiettivi specifici e conseguenti investimenti per garantire una gestione ambientalmente e socialmente sostenibile della crisi climatica.
Di fronte a queste “false calamità”, si preferisce continuare a fare l’elenco dei danni che la collettività subisce e di cui si dovrà poi fare carico, invece che agire per contrastare le cause che determinano queste situazioni.