Perché propio il Memoriale della Shoah per raccontare il carcere tra finzione e realtà? Perché questo luogo in cui viene testimoniata forse la più grande ingiustizia della storia del secolo scorso ha avviato un percorso di riflessione sui diritti civili; giustizia riparativa, pena giusta e sul concetto di rieducazione in particolare. Ecco perché il Memoriale di Milano ed il collegamento tra fiction e realtà!
“Mare fuori” infatti è la prima fiction in assoluto che racconta il carcere. Ambientata in un carcere minorile narra le vicende di un gruppo di ragazzi che la vita ha posto ai margini della società e pone al centro l’elemento rieducativo prendendosi cura di mostrare attraverso le loro storie, il loro back ground ciò che li ha condotti a delinquere, a sbagliare. Il tutto descritto senza pregiudizi e senza che prevalga alcun giudizio, ma col solo scopo di dare loro una possibilità di riscatto. Certo la fiction non rappresenta la nuda e cruda realtà di ciò che è in concreto la vita in un carcere. Ci sono amori, ci sono storie di amicizia di fuga o di violenza; c’è ovviamente quella parte di finzione necessaria ad attirare la curiosità dello spettatore senza perdere di vista però quello che è il fulcro di tutto questo lavoro: cioè il riscatto, la parte riabilitativa.
Forse per questo motivo, complice anche il lungo periodo della pandemia (siamo alla quarta stagione TV con proiezioni su RAI Play e Netflix delle passate edizioni), forse per la presenza di attori giovanissimi, bravissimi attraverso i quali i giovani si possono identificare che questa serie ha riscontrato e sta riscontrando un enorme successo; o forse perché l’argomento prima d’ora non era mai stato trattato.
Il memoriale della Shoah sfruttando il successo di quest’opera ha colto l’occasione per allargare l’orizzonte di quello che è il progetto educativo di dialogo con i ragazzi affinché non possa più ripetersi ciò che è accaduto in passato.
Il memoriale della Shoah è nato come luogo del ricordo grazie al lavoro di chi è sopravvissuto a quegli orrori ed ha prevalentemente dialogato con le scuole. È grazie ai racconti forse un po’ tardivi di chi ha voluto testimoniare ciò che realmente è accaduto che questo luogo esiste e che può ospitare oggi fino a ottocento studenti circa al giorno. Da qui la necessità di andare oltre al racconto; di sensibilizzare, di educare al rispetto dei diritti civili.
L’incontro che si è tenuto presso il Memoriale partendo dalla fiction aveva proprio questo scopo oltre che raccontare il carcere, dare un aspetto umano a chi ha sbagliato; la giusta pena ma anche la rieducazione. Un progetto indirizzato specialmente alla società del domani.
Non a caso è stato portato ad esempio il carcere di Bollate (paese vicino a Milano) come eccellenza di un percorso rieducativo e di grande successo anche grazie al lavoro svolto dagli operatori sociali di Cooperativa Articolo 3. Durante l’incontro sono intervenute persone detenute presso la casa di reclusione di Bollate per raccontare la loro esperienza e l’attuale percorso, per fare presente quanto sia importante mettere in risalto la provenienza, ciò che sta dietro alle storie delle singole persone detenute; così come fa la fiction e come fanno gli educatori o i detentori nella realtà che non alzano muri di pregiudizio nei confronti dei detenuti. Attori di “mare fuori” come Vincenzo Ferrera che ha confessato di essersi ormai identificato col personaggio dell’educatore Beppe da lui interpretato; o come Clara Soccini attrice entrata a far parte della fiction nella terza stagione che è apparsa molto emozionata nel descrivere il suo controverso personaggio. Paola Pannicelli produttrice RAI che ha portato il suo contributo da un punto di vista strutturale di questo progetto. Tutti con lo scopo di confrontarsi di apprendere l’uno dall’altro di fare tesoro delle proprie esperienze, sia che si tratti di realtà o di finzione; purché se ne parli per contribuire al miglioramento del futuro della nostra società.
Articolo di: Ugo Negrini