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Conosciamo meglio Tobjah

Tega è assai lieta di presentare “Panfobia di un pellegrino“, un concerto sinergico di Tobjah e Petardo (Riccardo Salvini). Dopo anni di collaborazioni tra le loro band (C+C=Maxigross e Indianizer), i due musicisti hanno deciso di condividere nuovamente una parte di questo comune viaggio senza meta. L’occasione è la presentazione dei rispettivi dischi solisti, due visioni distinte ma complementari, due facce della stessa medaglia: La via di un pellegrino (Tobjah) è la metà luminosa, Panfobia (Petardo) quella tenebrosa. Come la notte e il giorno si susseguono eternamente, entrambe avvolte da ciò che non si può spiegare.

Noi abbiamo deciso di lasciarci conquistare e abbiamo scambiato quattro chiacchiere proprio con Tobjah

Grafica Divina

L’intervista

Tobjah com’è nata di unire il tuo progetto con quello di Petardo?

Ci conosciamo da molti anni, abbiamo iniziato a incrociarci in giro ai festival coi C+C (probabilmente quasi dieci anni fa ricordo un Miami dove suonava coi Foxhound), poi abbiamo suonato (assieme agli Indianizer) in un deserto Spazio 211 di Torino nel 2016 e da allora siamo rimasti costantemente in contatto, combinandone molte assieme. Questa del tour in duo è solo l’ultima!

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E come sono stati strutturati i concerti che state portando in giro per l’Italia?

Saranno formati da alcuni brani dei nostri rispettivi repertori (molto boomer da dire), io farò qualcosa anche uscito a nome C+C come sempre, qualche cover e poi quando capiterà ospiteremo musiciste e musicisti della città che visiteremo. A Milano ha suonato con noi Marco Giudici (Any Other e molto altro), a Torino Anthony Sasso (collaboratore storico di Andrea Lazslo) mentre a Roma ci aspetta il progetto Lac Observation e a Bologna Laura Agnusdei. Ogni volta naturalmente succederà qualcosa di diverso e imprevisto, essendo tutte queste persone diversissime tra loro.

I live sono tornati come ce li ricordavamo prima del Covid?

Direi che evidentemente nulla è come “prima”. Anche se la “narrazione” (termine che non mi piace, ma che in questo caso mi pare utile proprio per rappresentare qualcosa che non condivido, a partire dal termine stesso) insiste nel raccontare tutto il contrario. L’esplosione di migliaia di festival estivi, folle spropositate che si riversano sulle spiagge, mentre ovviamente i live club di media capienza (200/300 persone), ossia il nostro circuito), se prima del covid sopravvivevano a fatica, negli ultimi due anni sono stati decimati. Ora per esempio una nostra data al Bottega Roots di Colle Val d’Elsa (SI) è saltata a due settimane dal tour perché a causa del caro bollette hanno deciso di chiudere il locale fino a data da destinarsi. E al Bottega Roots ci passava gente tipo Edda, Canali, per dire due nomi storici di questo circuito (ma passano anche le nuove leve eh!). Non lo dico per alzare il dito o fare polemiche, credo semplicemente che farebbe meglio a tutto il settore sensibilizzare il pubblico (quanto meno il pubblico di questo circuito) che le cose NON vanno bene, e che più partecipazione è fondamentale. Senza entrare poi nel discorso del ricambio generazionale. Io da trentaquattrenne non lo sto vedendo nel mio giro, dove è raro incontrare gente sotto i 25 anni. Aggiungo infine, visto che ho praticamente parlato solo di “affluenza” e fattori “esterni”, che naturalmente degli anni così difficili hanno cambiato le nostre abitudini “internamente”, quindi credo sia presente un fattore “psicologico” che non si può risolvere da un giorno all’altro. Riabituarsi a stare insieme in un Mondo così “malato” come oggi, è secondo me un vero proprio impegno quotidiano, da abbracciare con convinzione e passione.

Ti sei trasferito in pianta stabile in Sardegna? Come mai?

Mi sono trasferito in Sardegna (dopo un periodo a Nuoro ora sono a Cagliari) ma continuo a spostarmi tra l’isola e il continente per i concerti, quindi spesso sto a Verona, la mia città natale. Oltre ai motivi personali, la Sardegna è per me un luogo e una terra da cui sono sempre stato attratto, dove quando arrivavo sentivo qualcosa che non si può spiegare, e che ho provato rarissimamente in altri luoghi. Inoltre credo che prendere un po’ di distanze dalla propria terra natale faccia sempre del bene, per cambiare aria e prospettiva.

Come riuscite a provare con gli ospiti locali di alcuni live? Per esempio a Milano avevate sul palco Marco Giudici, a Torino Sasso… Avete improvvisato?

L’elemento improvvisativo è per noi parte integrante dello stare assieme, come negli anni lo è diventato coi C+C. Per quanto alla base ci siano (quasi) sempre dei brani veri e propri, in forma “pop”, tutto il resto è organico, si muove e si evolve in base al contesto, alla serata, alle persone coinvolte da un lato o dall’altro del palco, come l’umidità dell’aria influenza la lievitazione dell’impasto della pizza. È un grande controsenso cercare il controllo assoluto nella musica, come nella cucina.

E alla fine l’hai finito Moby Dick?

Eh direi!

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