Non si può più dire niente? Non si può più dire niente. È il commento più abusato di fronte a tentativi di mediazioni e dialogo tra opinioni divergenti, quando i temi sono il sesso, il genere o gender. La “contesa ideologica”, per dirlo con le parole di Federica D’Alessio, è quantomai dura, a tratti violenta e rappresenta ormai un ventennio di pensieri divergenti all’interno di un mondo femminista in cui “la soggettività femminile e le soggettività queer” sembrano non poter trovare una casa comune. Il tema è di quelli da scontro generazionale, affrontato in modo così frammentario da far girare la testa nelle discussioni parlamentari, ma anche all’interno delle aziende, nelle scuole, sui giornali, in televisione ma anche sui social network. Un argomento complesso e divisivo anche per la sfera privata delle famiglie o gruppi di amici.
Non si può più dire niente?
Non si può più dire niente. L’espressione più comune per provare a sedare qual cortocircuito celebrale a cui assistiamo quando le opinioni sembrano inconciliabili e non sappiamo come sostenere il senso di vertigine di fronte a un mondo che sappiamo non esser ancora ma percepiamo che sarà.
Quattordici punti di vista sul politicamente corretto e la cancel culture è il modo che UTET sceglie per offrire una piazza in cui scambiarsi pacatamente punti di vista. Da Jennifer Guerra a Vera Gheno, da Elisa Cuter a Matteo Bordone, da Christian Raimo a Daniele Rielli, che trovano spazio in questo saggio per le loro opinioni discordanti.
Una lettura preziosa per tutti quelli che hanno bisogno di tempo, spazio per la riflessione e meditazione per farsi la propria idea su temi talmente trasversali da coinvolgerci tutti. Da coinvolgere anche quelli per i quali non si può più dire niente.
Da leggere: Non si può più dire niente?
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Articolo di: Cinzia Ciarmatori