Il mio incontro con Javier Castillo avviene con il thriller “I giorni della follia” ed è amore prima vista con uno stile altamente letterario, una suspense che ricorda i film di Hitchcock, un incastro di personaggi dove nessuno è quello che sembra (come nei gialli della Christie) e un impatto visivo che permette al lettore di immaginarsi perfettamente la vicenda quasi ne fosse protagonista.
L’uscita per Salani de “La ragazza di neve” ha semplicemente confermato il talento di questo ragazzo giovanissimo originario di Malaga. Una storia costituita da puzzle ambientati in diverse poche che, poco alla volta, vanno a comporre il quadro generale della vicenda. Personalmente sono un appassionato di gialli da sempre e, difficilmente, trovo libri dove i colpi di scena siano impensabili o imprevedibili. Castillo invece riesce, non solo a far sì che non possa interrompere la lettura, ma che io non riesca mai a comprendere dove andrà a parare.
La trama (il mio consiglio è di non leggerla e lasciarvi sorprendere) è dirompente e, purtroppo, molto attuale. 1998, New York, parata del Giorno del Ringraziamento: Kiera Templeton, tre anni, sparisce. Succede tutto in un attimo: il padre perde la presa calda e leggera della mano di sua figlia e improvvisamente non la vede più, inghiottita dalla folla che si spintona. Inutile chiamarla, chiedere aiuto e disperarsi. Dopo lunghe ricerche, vengono ritrovati solo i suoi vestiti e delle ciocche di capelli. 2003, cinque anni dopo, il giorno del compleanno di Kiera: i suoi genitori ricevono uno strano pacchetto. Dentro c’è una videocassetta che mostra una bambina che sembra proprio essere Kiera, mentre gioca con una casa delle bambole in una stanza dai colori vivaci. Dopo pochissimo lo schermo torna a sgranarsi in un pulviscolo di puntini bianchi e neri, una neve di incertezza, speranza e dolore insieme.
Davanti al video c’è anche Miren Triggs, che all’epoca del rapimento era una studentessa di giornalismo e da allora si è dedicata anima e corpo a questo caso. È lei che conduce un’indagine parallela, più profonda e pericolosa, in cui la scomparsa di Kiera si intreccia con la sua storia personale in un enigmatico gioco di specchi che lascia i lettori senza fiato.
Vorrei ringraziare Riccardo Barbagallo (Responsabile Ufficio Stampa Salani Editore) per l’intervista concessa con l’autore.
Javier Castillo come nasce l’idea di questo romanzo?
Il libro nasce da un’idea molto semplice. Ero per strada con mia figlia di tre anni quando lei labbandonò la mia mano per raggiungere la madre. In quel frangente mi chiesi cosa sarebbe successo se lei mi avesse lasciato la mano non per un attimo, ma per sempre e avessi perso le sue tracce. Cosa sarebbe accaduto se non avessi più avuto sue notizie salvo ricevere cinque anni dopo un video dove lei si vede. Che tipologia di persona avrebbe potuto inviarmi quel video e perché? Lo avrebbe fatto a fin di bene o di male? Vorrebbe farmi soffrire ancora?
In episodi di cronaca come questo narrato nel libro, da parte delle persone quanto c’è di empatico e quanto di morboso?
Nel mondo reale sicuramente la gente prova empatia per la famiglia, ma il giornalismo trasforma questo sentimento, per avere maggiori vendite, in qualcosa di morboso superando il limite. C’è sicuramente una stampa sensazionalistica che vuole sfruttare il dolore. Per questo ho voluto affrontare questi due temi nel mio libro.
Miren, la protagonista, non è un personaggio completamente buono, nonostante questo il lettore è solidale con lei. Questo vuol dire che in tutti noi si cela un giustiziere?
Il lettore si pone totalmente dalla sua parte perché è un personaggio molto umano e soprattutto perché il romanzo verte sulle molte ingiustizie che si subiscono nella vita. I Templeton che hanno perso la figlia Kiera, Miren stessa che subisce una violenza sessuale, quindi ci sono delle sorte di identificazioni personali sia nella sofferenza sia nel condividere un’ansia nel portare la giustizia nel mondo.
La struttura del romanzo prevede un continuo salto temporale. È stato difficile scrivere il romanzo seguendo questo processo facendo sì che il lettore non scordi mai cosa è accaduto precedentemente?
È il mio stile che applico sempre ai miei romanzi. Mi piace costruire un puzzle che possa essere una sfida, qualcosa in più, per il lettore che andando a unire tutti i tasselli arriva a una conclusione che è anche in parte sua, come se avesse contribuito a delineare il quadro di insieme. Il romanzo, in questo modo diviene anche una sorta di gioco mentale che termina con un WOW! da parte di chi legge.
Nel romanzo ci sono riferimenti continui alla storia, all’epoca, l’evoluzione dei mezzi di comunicazione. Quanto lavoro di ricerca ha fatto per questo romanzo?
Ho studiato molto l’epoca in cui ho ambientato il romanzo e mi interessava perché è un periodo di transizione dall’era analogica al digitale e da un giornalismo trionfante come era una volta a questo attuale che deve tener conto anche dei social media e della diffusione delle notizie. Sono molto meticoloso dedicando quattro o cinque mesi a questo aspetto anche se non voglio che vada poi ad appesantire lo svolgimento del romanzo. A me interessa che chi legge possa riconoscere le tipologie dell’epoca. Se, a esempio, parlo di un negozio che c’era nel 1998, ma oggi non esiste più, questo lo ritroveremo nel romanzo proprio per caratterizzare i cambiamenti che avvengono attorno ai protagonisti.
Da questo romanzo sarà tratta una serie su Netflix. Quale sarà il tuo ruolo?
Sono consulente per la sceneggiatura che è affidata a un gruppo di sceneggiatori molto bravi, ma voglio che restino ben vivide e come da me ideate le figure dei vari personaggi a partire ovviamente da quella di Miren e che resti protagonista anche il ruolo che il giornalismo di inchiesta ha in questa vicenda.
Il libro pone il lettore in uno stato di angoscia fin dall’inizio, ancor prima della tragedia, e al termine ci si aspetterebbe un lieto fine che però manca. Quindi avremo, immagino, un seguito.
Sì mi piaceva che la scena iniziale che è di felicità si tramutasse in una tragedia e il finale dove abbiamo la risoluzione di questa prima storia resti con una domanda sospesa o forse più di una domanda. Ovvero cosa accade a Kiera ora che ha ritrovato i suoi genitori? La storia avrà un seguito, ma non riguarderà Kiera proprio perché, come dicevo prima, il fatto di cronaca non sia un evento dove si fa leva su di un sentimento sensazionalistico e morboso dello stampa che vorrebbe sapere cosa accade poi alla ragazzina fino a che il tutto non perderà di interesse per il pubblico. Il seguito si intitolerà “Il gioco dell’anima”.
C’è qualcosa di Miren che avrebbe voluto dire in questo romanzo e non l’ha fatto o qualcosa che ha cambiato mentre scriveva il romanzo?
Sì perché quando io scrivo un libro vi metto molte più cose di ciò che poi sarà nella stesura finale per cui ci sono molti pensieri che sono rimasti, per ora, in sospeso. C’erano moltie riflessioni sul dolore e sulla violenza nei confronti delle donne, ma al termine ho ridotto in parte. Però sicuramente il personaggio di Miren ha una forza, un impatto e un’energia che vengono fuori con un’evoluzione nei vari romanzi che la vedono protagonista.
Articolo di: Luca Ramacciotti