In libreria Le ragioni dell’ombra di Paolo Lanzotti edito da tre60 seguito ideale de I guardiani della Laguna e ancora una volta ci troviamo proiettati in una Venezia lontana avvolta nel mistero rapiti da una storia intrigante, saientemente intessuta dalla maestria dell’autore che ci accompagna nelle pieghe del tempo trascinadoci tra intrighi e misteri da svelare. Ecco cosa ci a raccontato!
Ci eravamo lasciati con un possibile secondo libro con stessa ambientazione e stessi protagonisti squadra vincente non si cambia?
Direi proprio che le cose stanno così. Ma, almeno in parte, la scelta è obbligata. In una serie è scontato che i personaggi principali debbano ripresentarsi sulla scena ad ogni puntata, ovviamente affiancati da figure nuove e inseriti in una storia diversa. In caso contrario sarebbe difficile parlare di serialità. La stessa cosa si può dire dell’ambientazione che, nel caso del romanzo storico, è anche legata al periodo cronologico scelto. Poi, quasi inevitabilmente, nello scrivere il romanzo d’apertura capita di lasciare lungo la strada delle situazioni irrisolte, dei “fili pendenti” che hanno bisogno d’essere riannodati. Infine, se i lettori si affezionano alle figure letterarie che gli proponiamo – se la squadra risulta vincente, appunto – è doveroso dare a questi personaggi la possibilità di proseguire nella loro esistenza virtuale, fatta di gioie e di dolori come la vita reale. Insomma, quando scrivi un romanzo con la speranza che diventi il primo di una serie sai già che questo influenzerà buona parte dei tuoi lavori successivi, se ci saranno. Un po’ come se il primo fosse il tronco di un albero e gli altri fossero i suoi rami.
Quali i limiti e le possibilità dei personaggi “seriali”?
Credo che limiti e potenzialità siano contenuti nella parola stessa: “seriale”. Dovendoli seguire in una successione di eventi spalmati nel tempo ci troviamo a sviluppare i personaggi un po’ alla volta, per tappe, mantenendo coerentemente le loro caratteristiche di base ma aprendoli anche a quei mutamenti, a quegli adattamenti che noi tutti subiamo nella vita reale, quando ci troviamo di fronte a nuove esperienze, nuovi problemi, nuove necessità, nuove conoscenze. Il personaggio seriale e la sua storia personale possono evolvere di puntata in puntata, in un arco temporale più o meno vasto, e credo che questo sia l’aspetto più positivo della serialità, quello che permette alle figure letterarie di sembrare maggiormente reali. In quanto ai suoi limiti, ancora una volta sono contenuti nel concetto stesso di serie. Gettate le basi, i personaggi devono rimanere vivi, interessanti, coinvolgenti. In un romanzo singolo, concluso in se stesso, il problema non è così evidente. In una serie, ogni volta che aggiungiamo alla storia una nuova puntata il rischio di una “caduta” aumenta. E questo, a mio parere, è il limite principale della serialità.
In che modo le tue passioni entrano nella scrittura?
Quando si scrive non si può fare a meno di riferirsi ai propri orizzonti culturali, a ciò che ci attrae, a ciò che ci piace. Per me la scrittura è già una grande passione in sé. A questa si affiancano sicuramente molti altri dei miei interessi. La Storia, anzitutto. Quella con la S maiuscola. Non è un caso che io, negli ultimi anni, mi sia specializzato in gialli storici, sia pure dopo numerose esperienze fatte con generi letterari diversi, dalla fantascienza al fantasy al romanzo per ragazzi. Ma poi, se noti, il primo romanzo della serie, “I guardiani della laguna”, si svolge in gran parte nel mondo del teatro: una forma d’arte che mi ha sempre attratto, anche se oggi non posso più seguirla come un tempo. In questo secondo, “Le ragioni dell’ombra”, faccio spesso riferimento al mondo della musica e dei conservatori – che, nella Venezia del ’700, erano istituzioni pubbliche molto importanti – e la musica classica è, appunto, un’altra delle mie vecchie passioni. Infine, il protagonista della serie, Marco Leon, è un uomo a cui piacciono la lettura e lo studio, esattamente come succede a me. In tutto questo resta in ombra il mio interesse per la divulgazione scientifica, che mi ha sostenuto a lungo quando scrivevo racconti e romanzi di fantascienza. Ma sarebbe difficile farlo emergere in un giallo storico.
Ne le ragioni dell’ombra aleggia la presenza di un complotto internazionale che minaccia Venezia? Perché i complotti sono materia letteraria interessante?
Siamo tutti attratti dal mistero, credo. E quando all’orizzonte si profila l’ombra di una macchinazione segreta, di una trama oscura non possiamo fare a meno di sentirci incuriositi e gettare un’occhiata. È come sbirciare in una stanza nascosta, in un solaio dimenticato dove potremmo trovare chissà cosa. Nella vita reale il complotto può spaventarci, come una presenza invisibile e minacciosa nell’oscurità. Quando diventa complottismo può addirittura portarci ad abbracciare posizioni irrazionali e pericolose. In un romanzo, semplicemente, ci diverte. Dal punto di vista dello scrittore, poi, il complotto offre la possibilità di sviluppare una trama complessa, piena di colpi di scena. L’ideale, in un romanzo d’azione.
Ombra, segreti, complotti perché la parte oscura affascina tanto?
Probabilmente perché l’oscurità fa parte di noi. Perché rappresenta quella zona segreta che sappiamo esistere nella nostra anima ma che speriamo di non dover mai combattere seriamente. Affrontarla “in sicurezza”, attraverso la finzione di un romanzo, in un certo senso ci permette di esorcizzarla, osservandola dall’esterno e studiandone gli aspetti senza esserne coinvolti di persona. Una valvola di sfogo, insomma. Come ho sentito dire una volta, giustamente, è molto meglio affrontarsi in un campo di calcio che in un campo di battaglia.
E adesso?
E adesso spero di continuare. I personaggi ci sono. La loro storia ha assunto contorni che promettono degli sviluppi interessanti. E poi c’è sempre quel filo pendente, quel filo rosa tra Marco e Marion che bisognerà pure annodare, prima o poi. Per quanto mi riguarda ci sto già lavorando. Come al solito, però, spetterà ai lettori decidere se gli Angeli Neri dovranno avere un futuro. Io posso solo sperarlo.
Intervista di: Elena Torre