È la storia d’amore dei suoi genitori, quella che Ivanna Rosi racconta nel libro “Aida e Umberto”, appena pubblicato dalla casa editrice Le Lettere.
Una storia d’amore ambientata nella provincia toscana, che nasce negli anni Venti, sotto gli occhi inquisitori dei gerarchi fascisti, e viene narrata dall’autrice sino agli anni Cinquanta, attraverso la Guerra prima e la ricostruzione poi.
Il lessico è quello “famigliare” delle storie di casa, da cui affiorano luoghi, personaggi e modi di vita che sono oggi lontanissimi eppure profondamente nostri. Passioni e pregiudizi, sofferenze e ambizioni, nel piccolo mondo di Vescovado di Murlo e poi in altri paesi della provincia, sono filtrati dallo sguardo retrospettivo benevolo e affettuoso di Ivanna Rosi che, lungi dal gravare di postume riprovazioni gli errori e anche le colpe, pur non taciute, riscopre il tesoro che è dentro la storia di ogni famiglia.
Perché la vicenda di Aida e Umberto potrebbe essere quella dei nostri nonni e bisnonni, è la storia universale attraverso la quale è stato scritto il romanzo di una nazione.
L’intervista
Ivanna Rosi suo libro racconta di aver ricostruito le vicende dei suoi genitori attraverso le testimonianze, scritte ed orali, lasciate da suo padre. Sembra quasi un artificio letterario. Vuole raccontarci, nella realtà, come è riemersa questa storia familiare?
Ho insegnato per quaranta anni nell’Università: il mio primo saggio risale al lontano 1966, il mio ultimo libro di analisi letteraria al 2010. Ho dunque una lunga consuetudine di scrittura e di indagine critica. Dopo la morte di mio marito, Vincenzo Bugliani, nel 2014, spinta da un forte impulso emotivo, ho spostato la mia ricerca sul materiale familiare, cominciando col raccogliere, rileggere e presentare i suoi articoli sparsi.
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È nato così il primo libro di documentazione e storia familiare (Le Lettere, 2016). Proprio durante la preparazione di questo volume la mia attenzione si è spostata prepotentemente sui ricordi, le testimonianze e i documenti – lettere, poesie – che riguardavano più intimamente la nostra tormentosa ma vivissima vicenda coniugale e che mi sono serviti per una ricostruzione appassionata della nostra storia. Ne è uscito un secondo libro, dal carattere personalissimo ma fondato anch’esso su una ricostruzione analitica di quel passato (La versione di Candida, 2019).
In questo libro erano già presenti i miei genitori, sia per gli avvenimenti della mia infanzia, sia per il loro ruolo nella mia vicenda coniugale. A questo punto, penetrata sempre più nel passato familiare, e avendo anche scoperto una mia felice vena narrativa per queste resurrezioni di un passato al quale posso ormai guardare con obbiettività e lontananza oltre che con intensa nostalgia, mi sono dedicata alla lettura dell’abbondante documentazione lasciata da mio padre: racconti, confessioni, poesie, registrazioni, lettere.
Questa lettura è stata un’emozionante scoperta: in primo luogo delle capacità letterarie di mio padre, che in effetti avrebbe voluto essere uno scrittore e un poeta, ma soprattutto di tanti aspetti ignorati della sua vita anteriore alla nostra vita comune, la giovinezza drammatica, dolorosa, sregolata, la sua esistenza sotto il fascismo, la sua storia d’amore con mia madre di cui conoscevo solo alcuni episodi, e che mi ha rivelato la bellezza e la capacità di amare di Aida.
Nel rimettere insieme gli episodi della sua famiglia, si è imbattuta nella storia con la S maiuscola che vi scorre sullo sfondo (e a volte nemmeno troppo): che cosa ha significato per lei?
Sempre grazie agli scritti di mio padre si è disegnata con forza l’atmosfera di un periodo storico che va dal ’20 alla Guerra e all’immediato dopo guerra. Quello che vi ho scoperto è il modo in cui mio padre ha vissuto il fascismo, cosa che non ha mai raccontato e che per noi figli era difficile intuire dal distacco dalla vita politica dei suoi anni maturi. Ha vissuto il fascismo con disagio psicologico e non con opposizione ideologica.
Lo ha sofferto nelle frustrazioni di carriera, nella diffidenza verso le donne, sempre sospettate di darsi a chi indossava una uniforme, e soprattutto nella sua condizione di funzionario pubblico, segretario comunale, indagato e osservato nella vita privata. Infine come vittima di un processo che lo oppone, nell’immediato dopoguerra, ad un medico fascista che ha la meglio su di lui a proposito di fatti avvenuti a Radicondoli durante il passaggio del fronte, nell’agosto del ’44. Le sue testimonianze fanno anche rivivere le ansie e le preoccupazioni degli abitanti del borgo di Vescovado di Murlo, ambiente della storia di Aida e Umberto, nell’imminenza della guerra.
Pochi anni fa, sempre mettendo le mani nella sua personalissima storia, aveva dato alla luce il suo primo romanzo. Allora l’incontro tra lei e la letteratura sembrava avvenuto quasi per caso, sulla scia di una necessità, ma questa sua nuova opera fa pensare ad un’acquisita consapevolezza come scrittrice. È vero?
Come ho già detto, tra questi libri c’è una concatenazione, una comune attrazione istintiva ed emotiva verso il passato personale e familiare. Però è vero che l’esperienza narrativa di Candida mi ha rivelato una nuova modalità di scrittura che mi è piaciuto molto riprendere in “Aida e Umberto”. Ho sentito questa modalità come mia, priva di modelli, molto spontanea. Mi ci sono avventurata con grande piacere.
Ha già nel cassetto qualche progetto letterario futuro? Sempre legato alla sua storia personale o si sente pronta per affrontare storie non sue?
Niente di corposo. Forse materiale per qualche racconto sempre fondato su esperienze personali. Non possiedo la capacità inventiva del romanziere e non desidero cimentarmi in un campo che non è il mio.
Sono felice di aver percorso nei miei ultimi anni una strada originale che ho trovato in modo semplice e spontaneo. Quello che ho ora in cantiere è invece una traduzione, genere di scrittura che ho già sperimentato in passato e anche recentemente. Il testo che traduco è quello delle Confidences di Lamartine, un classico decisamente inattuale di cui ammiro la scrittura densa di immagini e di poesia.