In libreria per tre60 il nuovo libro di Paolo Lanzotti “I guardiani della laguna”.
Noi ne abbiamo voluto sapere di più ed ecco cosa ci ha raccontato
La tua storia si apre in tempo di Carnevale a Venezia. Cosa rappresenta per te il Carnevale? E quanto Venezia è protagonista al pari degli altri personaggi?
Credo che il Carnevale abbia un significato universale e uguale per tutti. La sua essenza è la trasgressione, la trasfigurazione, la possibilità d’essere ciò che normalmente non si è. Ma, forse, per la Venezia del ‘700 era anche qualcosa d’altro. Era la realizzazione, il culmine di un bisogno di vivere quasi disperato che, in realtà, durava tutto l’anno.
È sempre difficile interpretare un’epoca a secoli di distanza ed è possibile che io esageri, ovviamente. Ma, studiando la storia della città, ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a una rappresentazione nello stesso tempo tragica e comica. Hai presente la storia dei passeggeri che continuavano a ballare mentre il Titanic affondava? L’impressione che ne ho tratto è più o meno questa. Venezia stava affondando, ma i veneziani si rifiutavano di ammetterlo. Che lo facessero senza rendersi conto della realtà o che il loro fosse un atteggiamento consapevole, una sfida, una reazione al dramma imminente ha poca importanza. La fine era vicina e si poteva fare ben poco per evitarla. L’unica soluzione era chiudere gli occhi e vivere in un eterno Carnevale.
In quanto al resto della tua domanda, nel mio romanzo Venezia è una protagonista insostituibile. Senza Venezia il romanzo non potrebbe esistere. I campielli silenziosi, sempre un po’ oscuri, gli odori intensi, le nebbie, lo sciabordio dell’acqua contro le rive, l’eco dei passi lungo le calli strette e tortuose sono parte fondamentale della storia, così come il chiasso delle taverne, delle caffetterie e dei teatri. Non c’è un’altra città che potrebbe fare da sfondo a una vicenda come quella che racconto. O, almeno, io non la conosco.
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In che modo la finzione teatrale si mescola alla realtà?
Possiamo dire che, all’epoca, per Venezia la vita era tutta una rappresentazione teatrale e viceversa. Goldoni insegna. Se guardi le sue commedie ci trovi uno spaccato perfetto delle abitudini, dei vizi, delle aspirazioni, delle paure, delle illusioni del tempo. È per questo che ho voluto scrivere una storia ambientata, per molta parte, nel mondo del teatro. Ho pensato che intrecciare realtà e finzione scenica fosse il modo migliore per sottolineare il carattere dell’epoca.
Un romanzo storico obbliga ad una grande preparazione precedente la scrittura. Come l’hai condotta?
Io non sono uno storico di professione, anche se ho insegnato storia per anni, e pur essendo veneziano di nascita avevo del ‘700 lagunare una conoscenza parziale, non sufficiente a sorreggere un romanzo. Ho rimediato nell’unico modo possibile: studiando, riflettendo e cercando d’interiorizzare quello che andavo scoprendo mano a mano, immergendomi idealmente nel mondo del diciottesimo secolo. Per farlo mi sono servito di tutto ciò che riuscivo a trovare, fossero libri, articoli, filmati, documenti originali o altro.
Devo dire che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, di materiale sul ‘700 veneziano non ce n’è moltissimo. Tuttavia, ciò che ho trovato è stato sufficiente a fornirmi un quadro dell’epoca che ritengo sufficientemente preciso. La ricerca è durata un paio d’anni, ma non ha avuto fine con la stesura del romanzo. Prosegue tutt’ora. Tanto che, nel frattempo, ho scoperto sulla storia della mia città molte altre cose interessantissime, curiose e perfino “incredibili”, che spero di poter utilizzare più avanti.
Qual è la cosa che hai scoperto studiando che ti ha maggiormente sorpreso?
Di scoperte sorprendenti ne ho fatte molte. Accanto a un’amministrazione rigorosa e a una legislazione spesso all’avanguardia, per l’epoca, la Venezia del ‘700 era caratterizzata da consuetudini, atteggiamenti, modi di essere davvero curiosi. Pensa solo, tanto per fare un esempio universalmente noto, alla figura del cicisbeo: personaggio pressoché unico nel panorama sociale d’Europa.
Come ti dicevo, alcune di queste consuetudini sono così bizzarre da sembrare perfino poco credibili. Ce n’è una, in particolare, che ho scoperto leggendo un diario, scritto intorno al 1750, da un viaggiatore in visita alla città. Si tratta di qualcosa che ha a che fare con i borseggiatori. Se devo dare credito a quanto scrive il diarista – ma non vedo perché non si dovrebbe – Venezia aveva un atteggiamento davvero unico nei confronti dei cosiddetti “ladri con destrezza”. Se ti spiegassi di cosa si tratta non mi crederesti. Ma permettimi di non aggiungere altro. Come ho detto, spero di poter usare le mie nuove “scoperte” in un prossimo romanzo e non vorrei bruciarle.
Cosa c’è di vero e quanto di inventato ne “I guardiani della laguna”?
Un romanzo storico ha il dovere d’essere scientificamente attendibile, per quanto riguarda la Storia con la s maiuscola. Tuttavia non è un saggio. È normale che, nel costruirlo, si mescolino realtà e finzione. Anzi, credo che la sfida maggiore, per chi lavora in questo campo, sia proprio fare in modo che le due cose si fondano così strettamente da rendere difficile distinguerle.
Detto ciò, come chiarisco nella nota finale, tutto quanto ha a che fare con la trama propriamente detta, con la vicenda “gialla” o la spy story, è frutto di fantasia. Anche i personaggi sono, per lo più, inventati. Ovviamente ci sono delle eccezioni. Goldoni, per esempio, o Joseph Smith e i coniugi Medebach, tanto per citarne alcuni. Tuttavia, anche in questi casi, la descrizione che faccio degli individui realmente esistiti è fantasiosa e le vicende in cui li coinvolgo non hanno nulla di storico. In sostanza la sola cosa davvero reale, nel romanzo, è Venezia, con le sue atmosfere, i suoi riti, le sue leggi, le sue abitudini e quel modo di vivere, celebre in tutta Europa, che ha segnato un’epoca.
Come hai costruito il personaggio di Marco Leon?
Mi sono chiesto che tipo di uomo si sarebbe potuto opporre alla realtà del tempo. Di Marco Leon ho cercato di fare, in sostanza, il contraltare della Venezia settecentesca. Un uomo deluso dalla vita, alle prese con un passato doloroso e un senso di colpa quasi insostenibile, ma tuttavia saldo nel proprio rigore intellettuale. Un idealista ancora capace di sognare la rinascita di una Venezia d’altri tempi e di combattere per essa. Un uomo onesto, con un grande senso della lealtà e del dovere. Insomma, il contrario di ciò che dovevano essere molti veneziani dell’epoca.
So bene che, in questo, Marco Leon non è un personaggio “alla moda”. Oggi vanno di più gli eroi negativi, pieni di ambiguità e di lati oscuri. Di loro si dice che sono “umani”. La nostra umanità, insomma, si misurerebbe sulla quantità e la qualità dei difetti. Io sono il primo a riconoscere che noi uomini siamo pieni di limiti e di contraddizioni. Ma, dovendo costruire un personaggio di fantasia, ho voluto concedermi una boccata d’ossigeno. Immaginare ciò che vorrei fossimo tutti.
Ci sarà un seguito?
“I guardiani della laguna” è nato, dichiaratamente, come primo romanzo di un possibile filone. Ovviamente, io spero che la serie continui e sto lavorando in tal senso. Oggi come oggi le prospettive sono incoraggianti, ma il futuro non lo conosce nessuno. Dipenderà tutto dalle scelte dell’editore e, prima ancora, dal favore dei lettori. Insomma, se il primo Marco Leon funziona c’è speranza che ce ne sia un secondo e magari un terzo. Staremo a vedere. Io incrocio le dita e continuo a scrivere. È tutto ciò che posso fare.
Paolo Lanzotti è stato recentemente premiato dall’Accademia Res Aulica proprio per questo libro!
Intervista di: Elena Torre