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Rosa elettrica torna in libreria con Sellerio

«Rosa è un tipo tosto, l’opposto della fragile donnina di tanta cattiva letteratura o della dark lady del noir tradizionale». Giancarlo De Cataldo, L’Unità

Il ritorno di Rosa elettrica

In Rosa elettrica pubblicato per la prima volta nel 2007 Giampaolo Simi conferma le sue abilità di narratore di noir e traccia un ritratto inedito di un giovanissimo boss della camorra; i suoi pensieri, il suo modo di agire e vivere nel racconto in prima persona della poliziotta Rosa. Rosa ha trent’anni, vive da sola in un appartamento, ad un passo dalla laurea in Filosofia decide di mollare ed entrare in polizia. Da bambina credeva di avere i superpoteri, di essere in grado di generare energia elettrica e ricaricare le pile, di essere diversa, speciale. Ma ora si trova davanti al suo primo incarico importante: proteggere Daniele Mastronero detto Cocìss, l’appena maggiorenne capozona più feroce del quartiere 167 di Napoli accusato di un triplice omicidio che coinvolge anche due bambine.

Grafica Divina
Rosa Elettrica

Subito dopo la cattura Cocìss decide di collaborare e rivela preziose informazioni sulla sanguinaria faida d’Aprile. Da qui l’arresto di molti nomi illustri e la necessità di metterlo al riparo da possibili vendette. Rosa entra così in contatto con lui, diciotto anni, un volto sfregiato da due tagli dai quali gli sono colati via con il sangue gli anni di vita che ha già quasi vissuto. Una belva, un soggetto dai tratti paranoidi con scompensi umorali, legati anche all’uso di sostanze stupefacenti. Eppure tra sospetti e presentimenti, bugie e mezze verità, Rosa inizia a nutrire dei seri dubbi sul programma di protezione del ragazzo: chi è davvero Cocìss? Chi lo vuole morto? Decisa a fare fino in fondo il suo dovere, quando intuisce che forse il truce boss è la vittima sacrificale designata dai clan e che tutta la faccenda nasconde manovre più grandi di lei, la poliziotta si ribella. Da carceriera a complice si ritrova in fuga sulle strade del Nord Europa per salvare la vita a un sanguinario carnefice. Un romanzo asciutto, un intrigo mozzafiato che avvince fino alla fine, raccontato in prima persona con gli occhi di una donna, ostinata e insicura, che in un incastro sorprendente riesce con la sua voce a mescolare tensione e sorpresa, tenerezza e sentimento.

Giampaolo Simi

Giampaolo Simi, soggettista e sceneggiatore di serie come «ris» e «Crimini», è autore della fiction «Nero a metà». Con Sellerio ha pubblicato Cosa resta di noi (Premio Scerbanenco 2015), La ragazza sbagliata (Premio Letterario Chianti 2018), Come una famiglia (2018) e I giorni del giudizio (2019).

Giampaolo Simi

Da piccola mi chiamavano la bambina elettrica.

Quando ci mettevano a dormire, mio fratello Diego spegneva la luce e voleva che «facessi le lucciole». Qualsiasi maglia sintetica, appena la sfilavo dalla testa, mandava schiocchi e scintille.

Gli piaceva da matti, gli sembrava una magia. A me piaceva un po’ meno quando prendevo la scossa dalla portiera dell’auto, dal tostapane o dall’antenna della tv portatile. Diego giunse alla conclusione che io avessi dei superpoteri, così un giorno mi chiese di stringere in mano per tutta la notte le pile ministilo del walkman che gli avevano regalato per Natale. La mattina dopo il suo walkman funzionava. Allora era vero, avevo un superpotere. Ricordo di averci creduto senza grosse meraviglie. Mi sembrava ragionevole che ogni persona potesse avere qualche superpotere.

Il mio superpotere doveva restare un segreto fra me e Diego, ma il giorno in cui fui costretta a mettermi l’apparecchio ai denti capii che la mia popolarità in classe stava per avere un calo verticale e lo rivelai. Anzi, me ne vantai proprio e una mia compagna mi dette da ricaricare le mezze torce di quei bambolotti che strillano. Dato che erano pile più grosse, annunciai con fare da esperta che mi ci sarebbero volute almeno due notti. Con il terrore che mio fratello se ne accorgesse, strinsi le pile fra le dita per tre notti, l’ultima delle quali insonne. Ma quello stupido bambolotto non ne volle sapere di piangere.

Diventai lo zimbello della classe. Confessai tutto a mio fratello e la sua sentenza fu ovvia: chi rivela il proprio superpotere lo perde per sempre.

Un mese dopo mio padre mi spiegò che era sempre stato Diego a sostituire le pile mentre dormivo. Quanto alle pile ricaricabili, un giorno sarebbero state diffusissime e per la natura sarebbe stato molto meglio. A me, della natura non fregava nulla e ci rimasi malissimo, più che altro del fatto che nessuno avesse i superpoteri.

Glielo chiesi un paio di volte, a mio padre.

–          No, nessuno, – mi ripeté.

–          Neanche tu, papà?

–          Figuriamoci.

Di colpo mi parve di vivere in un mondo tristissimo.

Neanche una comunità di recupero è un posto tanto allegro.

Questa però è dentro un’abbazia benedettina (e lamentatevi). Si chiama Spaccavento e l’ho sempre vista da lontano. Devo dire che, ad arrivarci dal vecchio sentiero coperto da croste d’asfalto, fa il suo effetto (tutte queste buche invece fanno il loro effetto al mio principio di cistite).

Dopo l’ultima (spero) curva il muro di cinta mi arriva quasi addosso, alto e verticale come una diga che argina ondate di rampicanti.

Spengo il motore e mi appoggio al volante. Il campanile della chiesa è ruvido e squadrato, fra le lingue scure dei cipressi. Recupero una salviettina dalla borsa, mi controllo nel retrovisore e decido di ripassare il rossetto (non sciatta, non troppo in tiro).

Apro la portiera. Se Dio esiste, saprà bene quanto ora, a trent’anni, avrei bisogno di un superpotere. Uno qualsiasi, a sua scelta, non importa. Invece l’unica cosa elettrica che sento è un formicolio alle ginocchia. Per il resto anche il cellulare è a zero. Di batteria e di campo.

Da leggere Rosa elettrica di Giampaolo Simi

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