Chiara Pancaldi Precious (Challenge Records)
Davvero prezioso come da titolo, questo magnifico album che ci permette di conoscere l’arte compositiva -originale- e interpretativa -di grande personalità- di Chiara Pancaldi: autrice di peso e cultura, voce bella, sicura, limpida, compresa d’ogni sfumatura d’un entertainment della miglior scuola.
Sette inediti “per parlare di me”
In “Precious” Chiara Pancaldi licenzia sette brani inediti, in parte scritti con la collaborazione ai testi di Julia Hart, che esplorano vari colori della musica creando piccoli mondi d’autore insieme lievi e dolenti, lirici e arguti; e inseguendo l’obiettivo di scrivere -dice- “per conoscermi e per parlare di me” riesce poi a ben pescare anche in altri repertori (elegantissimo il suo rileggere Stevie Wonder in “You And I”) con un uso della voce ch’è sempre davvero splendido, arricchito com’è da magnifiche sfumature di cultura jazz.
I pezzi
I primi cinque pezzi di “Precious” sono un crescendo di qualità autoral-interpretativa, che viene interrotto (si fa per dire) solo dalla bella parentesi in vocalese, canto saltellante e lirismo musicale melanconico dotato però di solida profondità ritmica, di “The Distance Between Us”.
Il brano d’abbrivio, “Better To Grow”, è un biglietto da visita folgorante a ritmo di Bossa nova, dal testo sbarazzino ma intenso e interpretato con eleganza jazzata, e voce sorridente quanto smagliante. Segue poi una poetica, sognante “Nothing But Smiles”, ispirata a Emily Dickinson e aperta ai valori umanistici, che nel suo andamento a ballad viene tenuta ad alti livelli da raffinate ombreggiature strumentali e interessanti sincopi.
“Adeus”, in portoghese, mette in luce la voce della Pancaldi grazie alla sua cantabilità aperta, e non svilisce certi struggimenti della melodia grazie al bel lavoro su essa di basso e chitarra, e a certe svasature volute nel suo arrangiamento.
“Urban Folk Song”, di Darryl Hall (eccellente contrabbassista che collabora al lavoro in un paio di passaggi), è una pagina moderna, di gran classe e sicuro effetto: con testo che oscilla fra denuncia della frenesia del vivere e recupero del valore della musica tout-court, ed esecuzione valorizzata dalle nervosità del contrabbasso dell’autore e dagli scintillii del piano di Roberto Tarenzi.
Infine, la prima parte del CD di Chiara Pancaldi si chiude con la title-track, e “Precious” è un vero e proprio gioiello, misurato e toccante. In esso l’artista dichiara l’intima esigenza di ripartire da un “tu”, cantando l’amore con sensibilità e poesia, e riuscendo a dar vita a un episodio molto italiano -per melodismo- che sa rimandare però alle vette più efficaci d’un classico Songbook USA.
Nel finale, il CD “Precious” si fa più lieve, con l’eleganza R’n’B rallentata e senza scivoloni nel patinato di “You And I (We Can Conquer The World)” di Stevie Wonder (brano in cui peraltro voce e contrabbasso emergono magnificamente), e nell’entertainment soft, comunque garbato e vocalmente attento, di “Our Time”.
Ma siamo sempre dentro un volare a quote interessanti; e intanto Chiara Pancaldi ha aggiunto ai gioielli del CD anche un’autobiografica, intensa “Songs Don’t Grow Old Alone”: melodia splendida sviluppata in modo alto verso un intimismo di gusto, con chitarre, piatti e spazzole in primo piano, che dà voce a un testo originale non di rado poetico.
Chiara Pancaldi è insomma l’ennesima dimostrazione d’un continuo, contemporaneo fiorire in Italia di voci e scritture al femminile capaci di dire cose nuove, d’osarsi su territori musicali internazionali e di peso, di proporre linguaggi originali e moderni ma sempre ben consci della storia.
E va da sé che la iscriviamo d’acchito al nostro già lungo elenco di cantautrici-interpreti che bisognerebbe trovassero spazio fra airplay e piccolo schermo, magari mandando a casa orrori trap, il nostro pseudo-rap e soprattutto un trash dilagante. Però, si sa, siamo in Italia, fra Amadeus e Maria De Filippi. Continui comunque così, Chiara, e non se ne pentirà.
Da ascoltare/guardare, “Precious”:
https://www.youtube.com/watch?v=HrYkIc0ybP4
Articolo di: Andrea Pedrinelli