Sarà che ascoltando la radio o guardando la pseudomusica proposta nei talent sembra che non si sappia più far belle canzoni in Italia, certo è che vien da scrivere che è un vero peccato, che Renato Zero col volume 1 di “ZeroSettanta” termini di presentare i quaranta magnifici inediti che da solo ha sfornato in tre mesi. E il prossimo mese, che ascolteremo di bello? Bisognerà che Renato pensi a un volume 4…
Fortuna, comunque, che Renato Zero c’è, è vitale e ispirato e prende di petto la vita tramite la musica, donandoci al contempo chiavi per affrontarla e quello che egli correttamente definisce “il salvagente della musica”, cioè delle canzoni utili a sollevarci, curarci, rinforzarci l’anima. Il progettone dei settant’anni di Renato Zero arriva a compimento con il volume 1 in uscita in questi giorni, che completa una triade di notevole pregio con tredici ulteriori pagine di spessore stavolta per lo più lavorate da -e scritte assieme a- Danilo Madonia, con portati significativi però sul piano delle composizioni dei sodali Maurizio Fabrizio, Dario Baldan Bembo, Lorenzo Vizzini, e su quello della produzione ancora di Adriano Pennino che era stato primattore del volume 2.
Ora che i capitoli della trilogia sono tutti disponibili, fra l’altro, Renato ci spiega sornione che sì, sono usciti in ordine inverso per il gusto di aderire al grido sorcino “3, 2, 1… Zero”, ma vanno ascoltati al contrario. “Il viaggio inizia con l’1 e finisce col 3”, dice lui sorridente e divertito dei suoi continui spiazzamenti. “A rileggere tutto in quell’ordine scoprirete che c’è un crescendo di sonorità, tematiche, atmosfere. Si parte nell’1 con “Amara melodia” che è l’esigenza dell’artista-Zero di denunciare come la musica sia in Italia bistrattata, e si finisce nel 3 con “Seduto sulla luna” che è un ritratto fedele di Renato, fedele e nella musica e nel testo”.
E, detto che a nostro avviso i tre album sono tanto riusciti -specie il 2, davvero immenso capolavoro- che si possono anche shakerare a caso, il bilancio dell’operazione, l’ennesima ardita e fuori da ogni canone del signor Fiacchini, non può che essere ottimo. Del resto, la scorsa settimana nella hit parade Zero era contemporaneamente primo e terzo, roba da Beatles. “Il mio bilancio è positivo” conferma infatti lui, “Ho visto che i dischi sono stati accolti con entusiasmo sia dal pubblico che da voi critici. E a me interessava anche sottolineare, con questa modalità anomala di uscita dei volumi, che questo “ZeroSettanta” è un’opera diversa dalle altre mie, fondamentale nel suo insieme, che vi dice chi sono oggi a trecentosessanta gradi”.
Poi Zero aggiunge come “ZeroSettanta”, e per com’è scritta e pensata, e per il periodo cupo nel quale s’è trovata a uscire, confermi una volta di più il suo ruolo -ancora una volta unico- nel panorama autorale italiano; il ruolo di un “Jolly”, come si definì, capace di mettere in scena noi, abbracciandoci e confortandoci, mentre canta sé e il mondo. “Con questo lavoro ho approfondito il rapporto di fiducia con chi s’identifica in quanto scrivo; sono un fratello maggiore che lenisce sofferenze, ritardi, insoddisfazioni, mi sostituisco all’amico mancante o all’amore non pervenuto. Insomma, questo disco continua il mio percorso, e sotto Natale è il mio dono: il mio panettone, un panettone che contiene Renato, carezze e scossoni, l’esigenza della sincerità, del mettere in evidenza male e bene, quando cantando per gli altri canto anche per me”.
Ma cosa canta, Renato Zero nel primo volume di “ZeroSettanta”? Un’infilata di brani di qualità, s’è già scritto; con testi arguti e attualissimi, slanci lirici struggenti, sarcasmi sornioni, melodie sublimi e una voce che è ancora bella, intensa, pulita, coinvolgente come agli esordi. Il “top” del disco, a nostro avviso, viene ancora dalla bella penna del giovane Vizzini: ed è “Gli anni della trasparenza”, brano poetico e melanconico, a tratti toccante, con un testo strepitoso. Un vero gioiello dello Zero di oggi, che sottolinea: “Ho voluto analizzare i vari step della mia vita sino ad arrivare all’età odierna, che spesso purtroppo comporta perdita di coscienza e considerazione da parte del mondo. E l’abbiamo visto, nei tanti anziani andati via dalla vita anche in forma violenta, le bare sui camion, la storia d’Italia e l’insegnamento ai giovani rapitici dal Covid”. Maiuscola anche la preghiera -con recitativo dedicato ai lavoratori dello spettacolo- “Orfani di cielo”, un brano ispidamente danzante, di modernità metallica, che con ruvidità da soul alterna denunce e slanci spirituali, quasi aggiornando al 2020 il grande classico “Il cielo”. “Sai” dice lui “Quel brano vedeva il cielo passivo, qui invece c’è una consapevolezza maggiore di un’entità spirituale forte, il cielo è attivo, c’è aspettativa nei suoi confronti”.
Altra pagina doc è l’arcobaleno di colori sfoderato per “Ti ricorderai di me”, brano di presa emotiva notevole che però sfugge sempre alla retorica ed è dedicato alla vita. Mentre è dedicata esplicitamente ai fans “Non mi stancherò mai di te”, ballad efficace e coinvolgente su un amore allargato come esigenza anche del darsi, dell’osare denunce, del condividere appunto un ruolo e la sua responsabilità: contro ogni possibile omertà del mondo. E attenti a “Io e te”, che non per caso Renato ricollega al capolavoro di qualche anno fa “Magari” perché parla ancora dell’amare nella maturità: fra le pieghe d’un brano di romanticismo terrigno con passaggi da brividi, che lui racconta dicendo “La differenza d’età può far andare un amore anche più lontano, e mi piace cantare che gli anni sono uno steccato da abbattere, quando si ama veramente”.
Fra bolero e sospensione, elettronica e lirismo, impatto ed eleganza è il singolo “C’è”: che canta l’amore con qualità melodica assoluta e una voce piena, bella, la voce di Renato Zero insomma. Mentre si ritorna a faccende gustose -e profonde- come “Sbattiamoci” o “Baratto” con il groove teatrale e sapido di “Finalmente te ne vai”, brano che rimane, diverte e dice molto, fra eco dance anni Settanta, ottoni magnifici e …un gatto. Micio che però non farà male ai sorcini, crediamo… Il volume 1 di “ZeroSettanta” allinea poi brani-denuncia contro questa musica d’oggi di “voci lontane dal sentimento” (“Amara melodia”), si rivolge fiero ai detrattori dello Zero-linguaggio (“Nemico caro”), ancora guardando a certe hit anni Settanta canta di romanticismo in modo circense e sfiziosamente provocatorio (“L’ultimo gigolò”), ringrazia e prega Madre Terra con eleganza soffusa (“Il tuo eterno respiro”).
“L’Italia si desta?”, nel sottofinale, è invece il passaggio più politico -in senso alto- dell’opera, un carillon rock fintamente e sfacciatamente graffiante, per un’Italia che cambi e si assuma le proprie responsabilità. E Renato non le manda a dire, commentando il pezzo, anche perché -sottolinea- “Questa musica non è leggera manco per il ca…, ci sono passaggi nella storia della canzone che smentiscono chi vuole imprigionarla dentro un vezzo o una velleità”. E de “L’Italia si desta?” spiega: “La democrazia di oggi, fra informazione fatta male e fake life proposta in continuo, viene messa in discussione; però non è una parola cementata, la democrazia, deve essere applicata e rispondere alle esigenze reali del Paese. Oggi la tutela democratica per molti non c’è, io mi inalbero e lo dico”.
Infine, questo lungo e magnifico viaggio nell’ispirazione di uno che, detto fra noi, potrebbe vivere replicando all’infinito almeno una decina di capisaldi storici dell’intera vicenda dell’arte musicale nostrana, anziché continuamente sfornare inediti e rimettersi in gioco, si chiude con “Un mondo perfetto”. Che non sarà la chiusa effettiva del progetto “ZeroSettanta” visto che dovremmo rileggerlo in ordine 1-2-3, ma certo sigilla bene questo suo primo volume, con una pagina d’autore (tutta di Zero) insieme tradizionale e moderna, autobiografica e universale, coinvolta e spesso commovente. “Il mondo perfetto” dice Renato “è qualcosa che ognuno di noi ha, è dentro di noi, è un orto personale nel quale coltivare la speranza. Andiamo a ritrovarlo, abbattiamo le forme superate di dialogo, i vari razzismi; accostiamo le generazioni”.
E ora? Ora Renato va in stand-by, si fa per dire ovviamente, anche perché “Se riposo mi annoio”. E quando tornerà in tour, ovvero purtroppo solo quando il Covid ce lo consentirà, dovrà “soltanto” risolvere il busillis d’infilare quaranta begli inediti in concerti che già se li facesse soltanto coi successi durerebbero tre ore. Come farai, Renato? “Hai presente la Seigiorni ciclistica di Milano?” sogghigna lui, “Ecco! Farò come per “SeiZero”, diluirò in più riprese questo plateau di canzoni. All’epoca proposi 96 brani in otto concerti diversi e consecutivi, vorrà dire che per portare “ZeroSettanta” in tour tornerò a fare il jukebox. Anzi, direi che un jukebox non saprebbe fare meglio…”
Capito, dunque, che cosa dovete aspettarvi, sorcini e non? E che bella notizia, però. Allora a presto, Renato: non vediamo l’ora, che torni ad …accamparti su di un palco.
Aricolo di: Andrea Pedrinelli