Il professore Luigi Gatti insegna lingua e cultura giapponese a Bergamo ed ha passato una vita lavorativa tra Italia, Spagna e Giappone. E’ autore di un libro (Il cammino del Giappone – Shikoku e gli 88 templi) edito di Mursia, ma che ordinando direttamente a lui (luigigtt@gmail.com) è possibile ricevere con tanto di ideogramma dedicato eseguito in china.
Il suo libro è affascinante e si legge come un romanzo d’avventura dove le usanze quotidiane, i comportamenti e il credo del popolo giapponese si susseguono innanzi ai nostri occhi rese vivide dalle descrizione dei paesaggi percorsi. Si consiglia la lettura a chi è incuriosito o appassionato del Giappone, a chi pensa di visitare questa nazione o a chi studia da anni la cultura di questo popolo perché sicuramente vi troverà nozioni inaspettate.Il libro è corredato da foto e da un dizionario al termine del libro.
Cammino di Santiago e 88 templi. Quali sono le fondamentali differenze di approccio?
Una risposta che meriterebbe ampio spazio. Cerco di sintetizzare: I due percorsi sono entrambi dei cammini di fede ma, a mio modo di vedere, il Cammino di Santiago ha perso l’aspetto religioso, o meglio, lo ha relegato ad un ruolo secondario. Nello Shikoku, invece, è mantenuto vivo dalle migliaia di Ohenro ( Pellegrini sacri) che ogni anno “visitano” gli 88 templi dell’itinerario. In ogni loro gesto si percepisce, si vede, si vive quella sacralità che fa nascere un senso assoluto di rispetto. L’approccio è, di conseguenza, sicuramente diverso. In punta di piedi…così mi piace definire l’atteggiamento da adottare nell’isola giapponese.
Questi cammini sono solo spirituali?
No, sicuramente no. In particolar modo le vie per Santiago, grazie alla internazionalità acquisita negli ultimi anni, hanno richiamato milioni di viaggiatori, ognuno con il proprio bagaglio socio-culturale-religioso. Durante il giorno si cammina…ognuno al proprio passo, ognuno genera la propria cadenza e decide di farlo da solo, in gruppo, velocemente o senza fretta. Il camminare diviene una forma di meditazione o di aggregazione, a seconda dei casi. La sera, negli ostelli, si vanno formando delle piccole famiglie internazionali itineranti, alcune più “filosofiche” di altre, alcune più chiassose di altre…in poche parole, c’è un poco di tutto. Sul cammino di Shikoku l’aspetto di condivisione e di scambio interculturale è meno evidente, complice il numero inferiore di pellegrini che attualmente lo percorrono, ma i dati sono in continua crescita!
Durante la lettura di “Il Cammino del Giappone” si avverte un continuo oscillare tra un sentimento di ammirazione e una perplessità verso la società giapponese. Come è rapportarsi con loro nella quotidianità?
Una relazione non facile. Uau ed assurdo. Queste sono le due espressioni involontarie che ancora oggi, dopo più di dieci anni, caratterizzano il mio quotidiano in Giappone. Uau…che bello, Assurdo …non ci posso credere! Un misto tra stupore, meraviglia, smarrimento… incredulità. Troppe le diversità culturali per rimanere indifferenti. Quando sono in quella terra vengo continuamente bombardato da input…a volte positivi, altre volte al limite della mia comprensione. Il giapponese ti accoglie, ti coccola, ti vizia…ma, a volte, lo fa perchè “deve” e non perché “vuole”. Questa un’amara scoperta fatta dopo qualche mese a Kyoto. Honne,”Reale intenzione” e Tatemae, “Costruzione davanti”, non sempre coincidono, e non è facile da gestire per noi occidentali.
In casa, in amore e in amicizia spesso sono i giapponesi asfissianti: ti danno l’anima ma ti tolgono l’aria… uau ed assurdo ….anche tra le mura domestiche.
Differenti le relazioni che ho avuto durante l’esperienza lavorativa a Kyoto da quelle vissute tra le montagne dello Shikoku. Forse da questo nasce la mia duplice visione. In ogni caso, ritengo che i giapponesi siano in grado di stupirmi, meravigliarmi, sorprendermi, migliorarmi, incuriosirmi.. a volte deludermi e “disilludermi”, ma mai annoiarmi! Per concludere e rispondere alla tua domanda…ho imparato che il miglior modo di rapportarmi è, anche in questo caso, in punta di piedi, pronto ad accettare le loro peculiarità… a volte incantevoli, altre volte stravaganti.
La natura paesaggistica del Giappone è molto presente nel tuo libro. C’è un luogo in particolare che serbi nel tuo cuore?
Molti i luoghi che non dimenticherò, ma quello al quale sono più affezionato è Furusato-Mura , un paesello nelle montagne dell’ Ehime. Il nome stesso Furu, “vecchio”, Sato “villaggio”, mi aveva attratto sin dal principio. Nascosto tra le vette più alte dell’isola, tra altissimi pini, aceri e cedri, bagnato da quelli che vengono definiti “gli ultimi corsi d’acqua puri del Giappone”…questo antico borgo mantiene intatto lo stile antico. Molte le Kominka, case in vecchio stile legno e paglia, abitate da una popolazione contadina dal cuore grande: sono loro la vera ricchezza di quei luoghi ai confini del reale.
Siamo più incuriositi noi del mondo giapponese o viceversa?
La mia esperienza mi porta ad affermare che la curiosità è reciproca. A Kyoto ero solito frequentare i cosiddetti International bar, ovvero quelli in stile occidentale dove i giapponesi si recano per conoscere stranieri, praticare le lingue ( in particolar modo l’inglese). In questi locali abbandonano, seppur per poche ore, parte della loro consueta rigidità e si riescono ad interagire. Nei locali in stile autoctono, invece, quasi sempre non esiste il concetto di “bancone”: si è soliti appartarsi in stanze private o comunque, in tavolini isolati, spazi riservati dove è impossibile comunicare con qualcuno che non sia del tuo “gruppo”.
Lo Shikoku è meno internazionale, per ora, è distante dai circuiti turistici più inflazionati. Mi è capitato di non vedere stranieri per settimane intere! Questa condizione ha un risvolto positivo: ovunque tu vada, vieni considerato come un “alieno” e, di conseguenza, fanno a gara per parlare con te, scoprire da dove tu provenga e cosa tu stia facendo in quelle terre isolane e isolate.
Quando hai compiuto il percorso degli 88 templi c’è stato un momento in particolare in cui ti sei sentito connaturato ai giapponesi che stavano facendo le tue stesse visite ai santuari?
Durante il cammino si ha l’opportunità di dormire nella zona di accoglienza dei templi, per la precisione sono 16 i templi che offrono questa soluzione. La mia prima esperienza è stata al tempio n°6 , Anraku-ji, dove sono stato letteralmente obbligato a partecipare alla cerimonia Buddhista della sera. Ringrazio ancora quel monaco così insistente perché, grazie a quell’esperienza così intima ed intensa, sono entrato in contatto con la vera essenza spirituale del Cammino di Shikoku. Celebrazione legata ma non vincolata al Buddhismo, una sorta di “comunione” senza barriere religiose. Quella sera ho avvertito con forza la connessione tra me, i miei compagni di percorso e l’ambiente che ci ospitava.
Spesso sentiamo dire che i templi giapponesi sono tutti uguali a differenza delle nostre Chiese. Trovi sia un’affermazione veritiera?
Assolutamente no. Partiamo con il dire che un tempio non è un edificio ma è un luogo. Questa la prima differenza con le nostre chiese. Un tempio è composto da molti edifici disseminati un uno spazio che può essere circoscritto o coprire l’intera superficie di una montagna. Conosci il termine giapponese Shakkei? Significa “Scenario prestato”. Questa tecnica architettonica porta a includere degli elementi del paesaggio nei giardini interni, ma non solo, anche nella costruzione dei templi stessi. Questo fa sì che ogni costruzione sia celata e si confonda con l’ambiente che la ospita. Per questi motivi la mia risposta è No, non sono tutti uguali. Per esempio, lo Shikoku offre paesaggi variegati: 4 città, periferie, campagne, montagne, costa pacifica e costa del mare interno… quindi immagina come ambientazioni così diverse abbiamo influenzato la costruzione degli 88 templi distribuiti lungo il perimetro dell’isola.
Tu insegni lingua giapponese, quale è il miglior approccio allo studio di una lingua così lontana dalla nostra?
Una precisazione: Più che la lingua, che lascio insegnare ai professionisti, Io cerco di suggerire un Approccio alla lingua e alla cultura. Inizio la mia prima lezione dicendo: “Dimentichiamo la nostra età e il nostro luogo di residenza: siamo tutti bambini e ci troviamo a Kyoto, sospesi tra un passato più o meno remoto e un futuro più o meno prossimo…” Questo per dire che dobbiamo fare uno sforzo cancellando quanto appreso fino ad oggi, pronti per aprire la botola ed osservare, senza preconcetti, qualcosa di estremamente nuovo. Il giapponese più che una lingua è una vera e propria sfida, quindi, un’altra caratteristica necessaria per l’approccio è una grande curiosità associata a una buona dose di determinazione.
Ora siamo tutti bloccati nei viaggi, ma grazie al tuo libro ne possiamo compiere uno. Hai già idea di cosa vorresti visitare nel tuo prossimo viaggio?
Grazie per le tue parole. Mi fa molto piacere che anche un esperto di Giappone come te abbia potuto viaggiare grazie al mio racconto. Sinceramente sì, ho molta voglia di tornare nel Giappone sub-tropicale, dove la natura selvaggia ha ispirato molti anime dei capolavori di Miyazaki. L’isola precisa non l’ho ancora scelta, ma la zona è sicuramente quella a Sud del Kyūshū.
Da leggere Luigi Gatti Il cammino del Giappone – Shikoku e gli 88 templi, edito di Mursia
Intervista di: Luca Ramacciotti